APOTEOSI (ἀποϑέωσις, apotheōsis)
Deificazione, elevazione di un mortale allo stato divino (confronta anche consecratio, termine usato dai Romani con significato analogo). In Egitto, vero e proprio paese d'origine dell'a. dei re, troviamo che, fin dai tempi più remoti, i Faraoni si erano messi in relazione di parentela o d'identità con gli dèi protettori della dinastia, e l'arte li presenta come imparentati o identificati con essi, effigiandoli quali Horus, Rē῾, Ammone, Osiride ed altri. Dopo che i re di Sais (XXVI dinastia) ebbero dato alla religione di Osiride, già prima molto diffusa, la posizione predominante nella vita religiosa dell'Egitto, il culto di Osiride divenne il rito sacro più importante di tutti i templi e le raffigurazioni dei templi e delle tombe mostrano il faraone come la figura centrale in quel rito: egli viene identificato con Osiride e si presenta come questo, ma mummificato, con i simboli della potenza di questo dio, circondato dai membri della famiglia di esso: Horus, Thoth, Anubis ed Iside; egli è soggetto agli stessi riti, alle stesse cerimonie di purificazione e redenzione ed allo stesso atto d'incoronazione; egli riceve anche lo stesso sacrificio di Osiride. Il faraone non solo muore come Osiride, ma come Osiride risuscita, viene incoronato dello pshent e santificato per mezzo dell'abbraccio del dio, al quale il tempio è consacrato.
La forma generale della rappresentazione di faraone-Osiride è il re coperto dalle ali di un falcone: è il falcone Horus che protegge il faraone-Osiride, come nel culto della morte Horus restituisce ad Osiride la sua forza di vita. Questo motivo si trova, per esempio, in una statua di Amenophis III al Cairo ed in una serie di statue di Chefren. Però non è soltanto il faraone che viene rappresentato in questa a.; il rito di Osiride diventa un rito d'immortalità, che assicura l'imperiturità a tutti i morti. Anche dopo la conquista macedone i re vengono adorati nei templi egiziani secondo il rito di Osiride. Nei rilievi e nelle iscrizioni dei templi, Alessandro, i Tolomei e poi gli imperatori romani vengono rappresentati come faraoni-Osiride. Il mondo classico identificò Osiride con Dioniso. Ora, tanto Alessandro quanto i Tolomei e poi Antonio sono stati presentati come Dioniso, nell'arte e nella realtà. Forse questa a. in aspetto di Dioniso ha la sua vera origine nella vecchissima divinità faraonica di Osiride.
Il faraone è Sa-Rē῾, il figlio del Sole; anche Ammone è dio del Sole e padre del faraone. A Deir el-Baḥrī è rappresentata la nascita divina della regina Ḥashepsowe; si vede come Ammone si unisca con la madre della regina e come questa ultima venga allevata dalla dea Hathor. Anche Alessandro è figlio di Ammone e si fa perciò raffigurare dagli scultori con le corna di ariete (Clemens Alex., Protr., ed. Stählin, vi, 54, 2 s.). Vediamo nei rilievi come la forza divina si trasferisca ai faraoni con l'imposizione di una mano o con lo spruzzamento di acqua o unguento; le gocce si trasformano nei segni di vita ankh. Gli imperatori romani vengono rappresentati con gli stessi attributi degli antichi faraoni. A File, per esempio, Augusto, incoronato da dee egiziane, viene condotto davanti ad Iside.
Come il faraone viene identificato con Osiride, così la regina viene identificata con Iside, la sorella-moglie di Osiride e rappresentata con la corona cornuta di Iside sul capo. La dea Iside si confonde con la dea Ḥatḥōr (dea dall'aspetto di mucca) e perciò il suo ornamento per la testa è provvisto di corna; questo simbolo passa anche alla regina. Come il falcone protegge il re, così l'ibis, l'uccello delle divinità materne, stende le sue ali sopra la testa della regina. In un rilievo di Kōm Ombo, Tolomeo IX con Cleopatra II e Cleopatra III si presentano a Horus. Tutte e due le regine portano la benda con l'ureo del dio del Sole attorno al capo ed inoltre le penne e il disco solare di Ammone, nonché le corna di mucca di Iside-Ḥatḥōr; nella mano destra portano il segno della vita ankh. Tolomeo le precede; porta la corona atef di Osiride, la benda con l'ureo sopra la fronte, corna e disco solare e nella mano sinistra ha lo scettro di Osiride. Ancora Antonio e Cleopatra in rilievi e statue si fanno rappresentare come la coppia mitica Osiride-Iside (Plut., Anton., liv, 6; Dio Cass., l, 5).
Anche nel Medio Oriente troviamo nell'arte, sin dai tempi più antichi, il sovrano divinizzato. Spesso si vede chiaramente m tali rappresentazioni l'influenza dell'Egitto; si veda ad esempio un rilievo, probabilmente rappresentante il re Giro: sul capo il re porta la corona atef di Osiride, mentre le quattro ali dei geni babilonesi si dipartono dalle sue spalle. Sulle pietre incise e in rilievi monumentali il re viene rappresentato sotto il simbolo del sole, il quale ora, con variazioni importanti della forma originale, acquista un nuovo significato e diventa il simbolo del dio universale, per esempio del dio assiro Assur e di quello persiano Miura Mazdāh. Il re è l'immagine del dio sulla terra e viene rappresentato come il dio stesso in mezzo al cerchio del mondo (v. oltre), cioè divinizzato come sovrano dell'universo. Un tipo di immagine che nell'antico Oriente si va formando sempre più chiaramente e che si ripete nella tarda epoca persiana (sassanide, III-VII sec. d. C.) è quello del re fra il Sole e la Luna: il re come "il pari delle stelle, il fratello del Sole e della Luna" (Amm. Marcell., xvii, 5, 3), come suonava un titòlo reale sassanide. Già nei rilievi delle tombe reali achemènidi a Persepoli vediamo il re portato sul suo trono verso il Sole e la Luna in una processione simbolica. Egli viene sollevato fino alle stelle e ha, come queste, una potenza cosmica del destino. Il re di Babilonia costruisce il suo trono "sopra le stelle di Dio" (Isaia, 14, 12 ss.). Nell'epoca sassanide il suo trono fu circondato da un sistema planetario con pianeti vaganti, ecc.
Con Alessandro la raffigurazione divinizzata del sovrano si affermò anche nel mondo classico (dopo che Filippo II di Macedonia aveva compiuto il passo decisivo facendo innalzare statue crisoelefantine sue e della sua famiglia nel Philippeion a Olimpia (Paus., v, 20, 9 s.). Come re dell'Egitto e della Persia è rappresentato nell'antico stile regale di questi paesi, in forma divina e trasfigurata. Ma in quest'immagine si avverte lo spirito proprio dei popoli classici. Nell'arte egiziana o orientale antica l'uomo divinizzato o s'identificò completamente con il dio o tenne la sua personalità, aggiungendo soltanto le insegne del dio. Invece nella raffigurazione divinizzata ellenistico-romana egli rappresenta la fusione del divino con l'umano, l'uomo stesso trasformato in dio (tuttavia si trova anche nell'arte ellenistico-romana una pura assunzione delle insegne del dio, come è detto in seguito).
Con Alessandro si affermano due tipi di raffigurazioni, che corrispondono a due gradi della divinizzazione: 1) l'immagine ispirata e 2) quella trasfigurata.
1) L'immagine ispirata. In questo tipo di immagine il sovrano viene presentato come lo strumento o il mezzo del cielo: permeato di volontà divina, pieno di spirito divino, egli è la guida ispirata degli uomini, σωτήρ, salvator. L'ispirazione divina ebbe, nell'arte, la sua espressione stereotipata nello sguardo entusiastico-patetico, rivolto verso il cielo, che incontriamo per la prima volta nelle immagini di Alessandro. Lisippo raffigurò il sovrano "guardante verso l'alto" (ἀνωβλέπων) "guardante verso Zeus" (εἰς Δία λεύσσων); così lo vediamo in innumerevoli monete e in gran numero di statue. Dopo Alessandro moltissime sono le rappresentazioni di sovrani ellenistici, appartenenti a questo tipo, che, nonostante la forte resistenza romana a tale concezione, ebbe la sua influenza anche sulle immagini dei governanti romani al tempo della Repubblica e dell'Impero. Come esempi si possono citare le immagini di Scipione, di Nerone, di Gallieno, di Costantino e dei suoi figli. Durante l'ultimo periodo dell'arte antica e nel periodo bizantino, lo sguardo sovrumano espresso dai grandi occhi spalancati in un modo soprannaturale, sostituisce lo sguardo patetico rivolto verso l'alto come espressione di ispirazione ed elevazione divine. Apprendiamo dalle fonti che, in una visione simile, chi guarda e chi è guardato, cioè l'uomo e la divinità, diventano tutt'uno. L'uomo divino, sia il saggio, il santo o l'imperatore, si rivela nello sguardo impressionante e profetico. Si è conservata una serie di sculture monumentali, specialmente degli imperatori del IV sec., che mostrano questo sacer vultus, sacrum os, divinus vultus dell'imperatore. A questa appartiene la colossale testa di Costantino il Grande nel cortile del Museo dei Conservatori, in Campidoglio.
2) L'immagine trasfigurata. Qui il sovrano non ha soltanto contatto ispirato con l'essere supremo; ne è il figlio o trasmette perfino la missione e l'aspetto del dio su se stesso. Alessandro è il figlio di Zeus Animone, un nuovo Dioniso o Ercole. Apelle dipinge Alessandro col fulmine in mano, cioè come Zeus (Plin., Nat. hist., xxxv, 92; Plut., De Is. et Os., 24). Morto, Alessandro viene glorificato con le a. più diverse: viene rappresentato con le corna di Ammone; con le corna taurine e le spoglie di elefante di Dioniso; con la pelle di leone e la mazza di Ercole, ecc.; ma anche nella realtà egli si presentava con questi attributi (cfr. Athenaios, xii, 537 E; Plut., Al., 67). Nello stesso tempo il viso diventa raggiante ed acquista l'ideale bellezza giovanile degli dèi e la loro divina abbondanza di capelli. La corona di riccioli attorno al viso di Alessandro è tipica degli dèi del IV sec., ed in certe immagini di Alessandro è evidente l'accostamento al tipo di Helios; Alessandro si trasforma in Alessandro-Helios. Sull'esempio di Alessandro Magno questa trasfigurazione diventa caratteristica per l'a. nelle immagini dell'epoca ellenistico-romana. Il sovrano divino "somiglia agli dèi nell'anima e nel viso" (dis animo voltuque compar, C. I. L., iii, 8193) come si dice di Gallieno, dis simillimus princeps di Traiano (Plin., Paneg., i, 3); così come anche i profeti e i grandi savi "somigliano ad angeli" e rappresentano "l'immagine di Dio". Ancora nel viso del santo cristiano si avvertirà la χάρις di Dio. La divina abbondanza dei capelli è un particolare caratteristico delle immagini divinizzate; ne sono buoni esempi Gallieno raffigurato come genius populi Romani e Settimio Severo nel tipo di Serapide. Anche la capigliatura di Cristo si trasferirà ai santi e li distinguerà dalla gente comune. Citiamo alcuni esempi di questo tipo di immagine trasfigurata: rilievi e statue di Antonio come Osiride-Dioniso, Cleopatra come Iside-Selene (Dio Cass., l, 5); immagini di Augusto come Mercurio, come Apollo (habitus ac status Apollinis, ps.-Acron, ad Horat., Ep. i, 3, 17; cum Apollinis cunctis insignibus, Serv., ad Ed., iv, 10), come Giove, sulla gemma augustea a Vienna; la statua colossale di Claudio come Giove nella Rotonda del Vaticano; statue di Nerone come Apollo-Helios; statue e rilievi di Antinoo in diverse a.; il busto di Commodo come Ercole nel Museo dei Conservatori a Roma. Come esempî estremi di a. si possono citare le immagini di Gallieno, così come le vediamo ripetersi di anno in anno sulle monete e sui medaglioni. In queste, già l'adozione del busto nudo solleva l'imperatore al di sopra della realtà e significa eroicizzazione; poi vengono a. in sembianze di Ercole, con la spoglia di leone; di Mercurio, con il caduceo; di Sol, nell'enorme statua esquilina che non fu terminata (Script. hist. aug., Gall., xviii, 2 ss.); come genius populi romani, dove la fusione dei lineamenti dell'uomo con quelli del dio è condotta con massima coerenza; poi l'a. eleusina dell'imperatore come Demetra, quindi femminile, e con l'iscrizione Galliena Augusta; e infine l'a. massima come Zeus-Giove.
L'a. dell'immagine può limitarsi a dare al divinizzato gli attributi del dio; come, per esempio, l'aquila o il fulmine di Giove, la corona di raggi o il globo del Sole, la falce lunare di Luna, il tirso, la corona di vite o di edera di Dioniso, l'egida di Minerva, la pelle di leone di Ercole, il caduceo di Mercurio, ecc. Ma spesso si prendono dal dio non soltanto i suoi attributi, ma tutto il tipo statuario. Così, per esempio, si trova in una quantità di a. sotto l'aspetto di Marte il tipo classico dell'Ares Borghese e tipi di Afrodite classici o ellenistici in numerose a. romane sotto l'aspetto della romana Venere. Caratteristico e frequentemente ripetuto nei rilievi dei sarcofagi e nell'arte statuaria di Roma è il gruppo di coniugi con l'uomo nel tipo dell'Ares Borghese e la donna nel tipo di Afrodite. Su sarcofagi romani con scene mitologiche, il defunto viene trasfigurato, specialmente nel III sec. d. C., sotto l'aspetto della figura mitica principale: egli viene completamente assorbito dal mito, sempre conservando nella testa i lineamenti individuali; così vediamo, per esempio, la defunta effigiata come Musa, o come la divina amante di Adone, Afrodite, che piange per lui, infine come Anadyomène; il defunto viene trasfigurato in Marte, Ercole, Endimione, Ippolito; frequenti sono le coppie di coniugi raffigurati nelle parti di Afrodite e di Adone. Spesso ci si limita a presentare il divinizzato nell'azione o nell'atteggiamento caratteristico del dio in questione: così l'imperatore può essere posto nel carro del Sole come imperatore-Sole, oppure essere rappresentato addirittura come il Sol Invictus della tarda antichità, in atto di porgere la mano destra nel gesto magico proprio di questo dio, come lo troviamo, per esempio, per Costantino sull'arco di questo imperatore e su certe monete, dove egli viene accompagnato da Sol.
Un'importanza particolare ha l'a. del sovrano come signore dell'universo, kosmokràtor, che spesso viene a indentificarsi con Sol. Questo tipo di a., che ha la sua origine nell'Egitto o nel Medio Oriente, costituisce la spiegazione della concezione di Alessandro come sovrano del nuovo mondo, ed è, dopo di lui, inseparabilmente collegato con il concetto del regno universale. Così, per esempio, sappiamo che Demetrio Poliorcete era stato rappresentato in un dipinto con delle stelle sulla testa mentre sedeva sull'Ecumene: "i suoi amici come le stelle, lui stesso come il Sole" (Athenaios, vi, 253 D). Durante la festa per Tiridate, sulla tenda stesa per riparare dal sole sopra il teatro di Pompeo fu rappresentato Nerone stante, sul carro del Sole (Dio Cass., lxiii, 5), e tanto Nerone quanto Gallieno e poi Costantino si lasciarono rappresentare in colossali statue del Sole. Una statua di Settimio Severo venne posta in mezzo alle divinità planetarie nel Septizodium (v. Roma), dove stava a raffigurare l'imperatore quale sovrano dell'universo. Su monete romane si vede come il dio, sovrano dell'universo, consegna all'imperatore le sue insegne di dominatore. Costantino afferra lui stesso la ruota del cielo con il segno dello Zodiaco. Perciò gli imperatori divinizzati siedono sulla vòlta del cielo, come li vediamo per esempio sull'arco di trionfo di Galerio a Salonicco e, secondo Eusebio, (Vita Const., iv, 69), così fu dipinto Costantino dopo la sua morte. Lo stesso concetto si esprimeva, quando gli imperatori dell'ultima epoca antica venivano rappresentati fra il Sole e la Luna. Tutti questi tipi di immagini, create dall'a. dell'imperatore, vengono più tardi adottate per la rappresentazione del Cristo Pantocratore. Come abbiamo visto, l'origine di questi tipi si trova nella antica teocrazia dell'Egitto e del Medio Oriente.
Nell'arte egiziana e orientale il dio, o il re divinizzato, posa spesso sotto un baldacchino che rappresenta il cielo. Così lo vediamo, per esempio, nei rilievi del palazzo di Persepoli, dove siede sotto un baldacchino, ornato con il simbolo del sole, e nell'arte posteriore persiana, dove il re è raffigurato sotto l'arco del cielo. Nell'arte tardo-antica e bizantina il trono dell'imperatore si trova sotto un ciborio inarcato che deriva dalla stessa tradizione e imita l'arco del cielo (similans convexi climata caeli: Corippus, In laud. Iust., iii, 91 ss.). In tal modo l'imperatore viene glorificato come il sovrano dell'universo. Quando l'imperatore (e poi il santo) viene posto sotto un frontone, si tratta di una glorificazione analoga.
In un particolare tipo di raffigurazione dell'antico Oriente il sovrano dell'universo, prima il dio, e poi il re, viene posto in un cerchio o clipeo, il quale rappresenta il cerchio del mondo. La civiltà classica adotta questo tipo di raffigurazione e pone il sovrano nel cerchio del mondo; questa è l'origine delle imagines clipeatae, le immagini nello scudo, la forma per l'a. delle immagini più comunemente adottata nell'èra antica (v. Clipeate, immagini). In un primo tempo queste immagini nello scudo sono riservate all'a. del sovrano, più tardi diventano espressione comune per la divinizzazione del morto nella sfera celeste. Dell'epoca ellenistico-romana si sono conservate numerosissime le immagini di defunti di questo tipo, sui sarcofagi e nelle pitture delle tombe; spesso i segni zodiacali vengono posti nel cerchio del clipeo per indicare che questo è il cerchio del mondo. Talora l'immagine viene sollevata verso le stelle da Atlanti, Vittorie o Amorini. Anche la cerimonia della investitura imperiale, nella quale si solleva l'imperatore su uno scudo, assorbe l'idea dell'a. dell'immagine nello scudo.
Alle rappresentazioni glorificate dell'imperatore, (e più tardi anche dei santi della chiesa cristiana) appartiene l'aureola. Sotto l'influenza orientale vennero compresi nei paramenti di gala dell'imperatore il diadema brillante di pietre preziose e la splendida veste di tessuto dorato, coperta di gioielli. Gli effetti luminosi furono accresciuti spargendo polvere dorata non soltanto sui capelli dell'imperatore, ma anche sulla piattaforma dove la cerimonia si svolgeva. Se si considera che simili cerimonie si svolgevano, tanto di giorno quanto di notte, accompagnate dalla luce delle fiaccole, si può immaginare lo "splendore divino" che circondava l'imperatore; non soltanto la αἴγλη οὐράνιος, clarus orbis, che era intorno al suo capo (Script. hist. aug., Comm., xvii, 3; Herodian., i, 7), ma tutto il pulchrum et caeleste miraculum (Paneg. Constantin., ed. Baerens 1874; 7, 17; cfr. 6, 6) dell'epifania imperiale. L'a. dell'immagine espresse questo splendore di luci in due modi: 1) con la piccola aureola che circonda il capo degli imperatori su innumerevoli monete e nei ritratti di Costantino e di Licinio sui medaglioni dell'arco di Costantino; 2) con la grande aureola che circonda tutta la persona, come per esempio quella del Cristo, in innumerevoli mosaici paleocristiani e medioevali e che, nel suo ulteriore sviluppo, potrà anche assumere la forma di mandorla. Lo splendore dell'oro sta a significare la luce divina che gli uomini divinizzati emanano. Il fondo dorato, che nell'arte della tarda antichità e in quella bizantina sempre circonda angeli e uomini di Dio, ha in origine questo significato. Certe fonti della tarda antichità parlano anche di uno splendore dell'anima, che si manifesta come un'aureola divina attorno al capo del saggio o del santo, come quando, per esempio, Plotino o Proclo tengono i loro discorsi ispirati (Porphyr., Vita Plot., 13; Marinus, Vita Procli): anche questo genere di luce dev'essere intesa dietro la concezione dell'aureola nelle immagini.
Dacché in occasione della cremazione di Augusto fu vista un'aquila sollevarsi dalle fiamme (Dio Cassius, lvi, 42, 3; cfr. Suet., Aug., 100), si lasciò sempre un'aquila sollevarsi dal rogo dell'imperatore (Dio Cassius, lxxiv, 5, 5; Herodian., iv, 2, 11). Perciò l'aquila che porta al cielo l'anima dell'imperatore diventò l'espressione fissa per la rappresentazione dell'a. imperiale nell'arte, come vediamo, per esempio, su monete di consacrazione e sul rilievo nella chiave del fornice dell'arco di Tito. Quando si tratta di a. di donne, il pavone di Giunone prende il posto dell'aquila. Ma anche cavalli e grifoni, tutti e due animali di Apollo-Sol, possono portare il divinizzato al cielo. Su un dittico d'avorio del V sec. d. C. che si conserva nel British Museum, l'imperatore viene rappresentato nella sua pompa funeralis; vediamo le aquile che si sollevano sopra il rogo, la quadriga che entra galoppando nel cielo con il morto, gli dèi del vento che lo portano, i divi celesti che lo ricevono. Col tempo l'a. viene "democraticizzata" ed ogni morto viene, in questo modo, portato verso le stelle. Perciò si incontrano così spesso l'aquila e gli dèi del vento nell'arte funeraria ellenistico-romana, per esempio sui sarcofagi romani. Si incontrano anche Nike-Vittoria, Eros-Amore; che portano l'anima del morto (psychè, anima) nelle sfere celesti; la beatitudine raggiunta si esprime nell'immagine della riconciliazione fra Eros e Psiche nell'Olimpo. L'espressione cristiana per l'a. del morto, cioè gli angeli che portano l'anima, non si allontana molto da quella di Vittoria o Amore come portatore delle anime. L'origine dell'aquila come portatrice dell'anima si trova in Oriente, ove la concezione dell'aquila come portatrice di dèi e di anime (ϑεο- e ψυχοϕόρος) è antichissima. Troviamo lo stesso motivo nel mito greco di Ganimede che viene rapito in cielo dall'aquila di Zeus. In un cippo a S. Severino Marche (Palazzo Comunale) di età antonina, riadoperato per dedica a Costanzo Cesare, si hanno due scene di a., l'una su di un'aquila, nello schema di Ganimede, l'altra su figura femminile alata (Victoria?).
Le ghirlande hanno anche una grande importanza nell'immagine dell'apoteosi. Su un rilievo di Archelaos di Priene (v.), che si trova nel British Museum, viene inghirlandato Omero divinizzato; così Ercole e Psiche vengono inghirlandati quando raggiungono l'Olimpo; così pure il morto glorificato, quando raggiunge il cielo come vincitore sulla morte. Perciò la ghirlanda trionfale è così comune nell'arte funeraria, tanto in quella pagana quanto in quella cristiana. In questa connessione va citata anche la ghirlanda del martire.
Il ramo di palma, anch'esso simbolo classico di vittoria, viene spesso raffigurato con lo stesso significato della ghirlanda trionfale nell'arte funeraria: l'a. del defunto.
Monumenti e schemi iconografici considerati. - Assimilazione del Faraone a Osiride: A. Moret, Du caractère religieux de la royauté pharaonique, in Annales du Musée Guimet; A. Mariette, Abydos, I, tav. 22; A. Moret, loc. cit., figg. 55, 73, 84, 93 ss. Statua di Amenophis III e statue di Chefren: F. v. Bissing, Denkmäler ägyptiscler Skulptur, tav. 10. Deir el-Baḥrī: E. Naville, Temple of Deir el Bahari, Egypt Exploration Fund, ii, tavv. xlvi-lv e p. 12 ss. Rilievo di File: F. v. Bissing, loc. cit.; Lepsius, Denkmäler aus Ägypten und Äthiopien, iv, 71 a. Iside e ibis: v., ad esempio, F. v. Bissing., loc. cit., tavv. 37 s., 47. Rilievo di Kōm Ombo: ibid., tav. 116.
Rappresentazioni del sovrano divinizzato nel Medio Oriente: Jeremias, Die Vergöttlichung der babylonischenassyrischen Könige, in Der Alte Orient, xix, 1919; M. Jastrow, Die Religion Babyloniens und Assyriens, ii. Rilievo con raffigurazione di Ciro: M. Dieulafoy, L'Art antique de la Perse, i, tav. 17.
Tombe reali di Persepoli: Sarre-Herzfeld, Iranische Felsreliefs, tav. 1 ss. e p. 14 ss. Trono con pianeti: H. P. L'Orange, in Serta Eitremiana, p. 68 ss.; id., Iconography of Cosmic Kingship, p. 18 ss. e passim.
1) L'immagine ispirata. - H. P. L'Orange, Apotheosis in Ancient Portraiture, p. 19 ss. e passim (Alessandro); p. 49 s. e fig. 29 (Scipione); p. 60 s. e fig. 34 (Nerone); p. 88 e fig. 6o a (Gallieno); p. 91 ss. e fig. 66 (Costantino e figli). Fonti per l'esegesi dello sguardo rivolto verso l'alto e esempî di questo tipo di raffigurazione: H. P. L'Orange, op. cit., p. 95 ss.; 110 ss.; v. anche G. v. Kaschnitz Weinberg, Spätrömische Porträts, in Die Antike, ii, 1926; R. Delbrück, Spätantike Kaiserporträts, Berlino 1933; A. Grabar, L'empereur dans l'art Byzantin; E. Beurlier, Le culte imperial, p. 285 s.
2) L'immagine trasfigurata. - Alessandro-Helios: H. P. L'Orange, loc. cit., p. 34 ss.; Alessandro in diverse a., v. per esempio: Th. Schreiber, Ueber das Bildnis Alexanders des Grossen, in Abh. Sächs. Ges. Wiss., xlviii, 1903, p. 142 ss. e tav. 13; p. 56 ss. e tav. 3 E; p. 145 s. e fig. 12; p. 149 ss. e fig. 13. L'imperatore e i profeti immagini di Dio: H. P. L'Orange, op. cit., p. 29 ss.; 96 ss. Gallieno come genius populi Romani: ibid., fig. 6o b. Gemma augustea: Fr. Eichler-E. Kris, Die Kameen im Kunsthistorischen Museum, 1927, 52, tav. 4. Immagini di Gallieno su monete: R. Delbrück, Die Münzbildnisse v. Maximinus b. Carinus, p. 48 ss. e tavv. 15-18. Gruppo dei coniugi effigiati come Marte e Venere: H. P. L'Orange, in Symbolae Osloenses, xi, 1932, p. 94 ss. Costantino con Sol: ibid., xiv, 1935, p. 86 ss. id., Iconography of Cosmic Kingship, p. 139 ss. Statua di Sett. Severo nel Septizodium: H. P. L'Orange, A. in Anc. Portr., p. 35 ss., 61 ss., 85, 89, 94. Arco di Galerio a Salonicco: K. F. Kinch, L'arc de triomphe de Salonique, tav. vi. Immagini di imperatori tra il Sole e la Luna: H. P. L'Orange-A. v. Gerkan, Der spätantike Bildschmuk des Konstantinsbogens, p. 179 ss. L'arco celeste: A. Alföldi, in Röm. Mitt., l, 1935, p. 130; E. Dyggve, Ravennatum palatium sacrum, p. 30 ss. Immagine nello scudo: H. P. L'Orange, Iconography of Cosmic Kingship, p. 90 ss. Mosaico con figure interamente circondate da aureola: J. Wilpert, Die Mosaiken u. Malereien der kirchlichen Bauten Roms, passim. Aureola: H. P. L'Orange, A. in Anc. Portr., pp. 66; 95 s. Dittico del British Museum: R. Delbrück, Die Consulardyptychen, tav. 59. Origine dell'aquila nelle rappresentazioni funerarie: F. Cumont, L'aigle funéraire, p. 94 ss. Ganimede, ψυχοϕόροι ecc.: H. P. L'Orange, op. cit., 64 ss. e passim. Cippo di S. Severino: C.I.L., ix, 5579.
Bibl: E. Beurlier, De divinis honoribus quos acceperunt Alexander et successores eius; Le culte impérial; H. Bréhier-P. Batiffol, Les survivances du culte impérial romain, Parigi 1920; A. Grabar, L'empereur dans l'art byzantin, Parigi 1936; Koch, Gottheit und Mensch im Wandel der römischen Staatsform, in H. Berve, Das neue Bild der Antike, II, Lipsia 1942; E. Neuffer, Das Kostüm Alexanders; Th. Schreiber, Ueber das Bildnis Alexanders des Grossen, in Abhandl. Sächs. Ges. Wiss., 48, 1903; R. Delbrück, Die Münzbildnisse von Maximinus bis Carinus, Berlino 1940; F. Cumont, Le symbolisme funéraire des Romains; La théologie solaire, in Mém. prés. à l'Acad. des inscr. et belles-lettres, XII, 2, 1913; L'Aigle funérair; A. Alföldi, Insignien und Tracht der römischen Kaiser, in Röm. Mitt., L, 1935; id., Die Ausgestaltung des monarchischen Zeremonials am römischen Kaiserhof, in Röm. Mitt., XLIX, 1934; E. Dyggve, Ravennatum palatium sacrum, Copenaghen 1941; H. P. L'Orange, Apotheosis in Ancient Portraiture, Oslo 1947; id., Iconography of Cosmic Kingship, Oslo 1953; A. Moret, Du caractère religieux de la royauté pharaonique; Le rituel du culte divin journalier en Égypte, in Annales du Musée guimet (varî nn. sino al 1902); Ch. Jeremias, Die Vergöttlichung der babylonisch-assyrischen Könige, in Der Alte Orient, XIX, 1919; E. Strong, Apotheosis and after Life, Londra 1915.