Alternanza non condizionata di vocali, diverse per timbro o quantità, nel vocalismo di una stessa radice o di uno stesso suffisso. È fenomeno largamente documentato nelle lingue sia semitiche sia indoeuropee. Si dice qualitativa, quando le vocali alternanti sono di uguale quantità e diverse per qualità di timbro (come, per es., e e o nel lat. tĕgo/tŏga); quantitativa, quando le vocali alternanti sono diverse per quantità e di uguale (o simile) timbro (come ĕ ed ē nel lat. tĕgo/tēgula). I differenti aspetti che una radice o un suffisso assumono per l’alternanza delle vocali si dicono gradi apofonici: nel grado zero si ha assenza di vocale; nel grado normale (o pieno) appare una delle vocali alternanti; nel grado allungato la vocale alternante è lunga. Per es., dato il suffisso indoeuropeo -ter-, riconosciamo il grado zero nel lat. gĕne-tr-ix, il grado normale con ĕ e con ŏ nel gr. γενέτειρα «genitrice» e γενέτορος «progenitore». L’insieme dei gradi apofonici si dice serie apofonica. Perché due o più forme possano ritenersi gradi di una stessa serie apofonica è necessario: a) che siano etimologicamente affini; b) che l’alternanza delle vocali sia incondizionata, cioè non sia determinata dall’ambiente fonico: per es., tra le due forme latine făcit e confĭcit sussiste un evidente legame etimologico, ma non un rapporto apofonico in quanto l’alternarsi di ă e ĭ è condizionato (ogni a breve in sillaba aperta del latino arcaico nel latino classico si è chiusa in ĭ); viceversa è incondizionato l’alternarsi di ă ed ē in făcit/fēcit e pertanto si può ritenere che le due forme siano gradi diversi di una stessa serie apofonica.