APIS
. Dal gr. Απις, che trascrive la voce egiziana ḥape (h'p.j), copto hape, probabilmente significante "il corridore". Era un torello nero con un triangolo bianco sulla fronte, bianchi pure il ventre, le zampe, il fiocco della coda. Lo adoravano principalmente a Menfi, nell'Apieo; secondo Manetone il suo culto sarebbe stato introdotto dal faraone Kechoos della II dinastia, secondo Eliano, invece, da Menes. Già nella prima dinastia menzionavano una festa religiosa detta "corsa di Apis" gli annali conservati sulla Pietra del museo di Palermo. Forse un particolare funzionario era adibito alla sua cura e aveva il titolo di "bastone di Apis". In origine venne assimilato al sole e perciò tra le corna porta il disco con il serpente ureo. Più spesso lo dichiararono figlio del dio Ptah di Menfi e suo messaggero. Dava appunto gli oracoli accettando o rifiutando il cibo, ovvero battendo con una zampa. Quando moriva riceveva solenne sepoltura nel "serapeo" della necropoli menfitica, abbellito da molti faraoni dalla XVIII dinastia in poi, quello che Mariette scoprì ad as-Saqqārah nel 1851. La tomba del dio, che morto diveniva Osiride e si chiamava User-hape, in greco Osirapis, era meta di devoti pellegrinaggi. Sotto i Tolomei, egli fu pure identificato con il dio Sarapis introdotto allora in Egitto. Un torello sacro fu rinvenuto ancora sotto l'imperatore Giuliano, nel 362 d. C., e Gerolamo afferma che il suo oracolo veniva sempre consultato. Le leggende seriori narrate intorno a questo famosissimo dio non sono finora avvalorate da testimonianze antiche egiziane.