AOSTA (A. T., 24-25-26)
Città del Piemonte, con oltre 10.000 ab., capoluogo di provincia e dell'ampia valle alpina a cui dà il nome e che già costituì il ducato di Aosta. Situata in una piana abbastanza vasta, sulla sinistra della Dora Baltea, ove confluiscono le due strade del Piccolo e del Grande S. Bernardo, questa città ebbe sempre una grande importanza nella storia delle relazioni commerciali e politiche fra l'Italia, la Francia e la Svizzera.
Colonia di tremila pretoriani dedotta dall'imperatore Augusto l'anno 25 a. C. nel territorio abitato dalla popolazione ligure o ligure-gallica dei Salassi, dopo la vittoria riportata su questi dal legato Terenzio Varrone e la loro parziale distruzione e dispersione, Augusta Praetoria sorse nel luogo stesso in cui Varrone aveva stabilito il suo campo, presso alla confluenza del torrente Buthier e della Duria Maior (Dora Baltea). Vi si congiungevano le due grandi vie alpine commerciali, già frequentate non solo durante l'età gallica, ma anche in più remota antichità per i valichi del Gran San Bernardo (Alpis Poenina) e del Piccolo San Bernardo (Alpis Graia). A valle di Augusta Praetoria la via era unica fino allo sbocco nella pianura presso Eporedia (Ivrea). Augusta Praetoria era compresa nella regione XI augustea o Transpadana (Plinio, Nat. Hist., III,. 17, 123; Tolomeo, 3, 1, 34) e assegnata alla tribù Sergia (Corpus Inscr. Lat., V, 6838; Suppl., 916). I Salassi incolae per qualche tempo verosimilmente ebbero soltanto diritto latino. Le iscrizioni nominano dei magistrati i duunviri, gli edili, i questori; dei sacerdoti gli augustali. Un'iscrizione di buona età imperiale (Corpus Inscr. Lat., V, 6840) ricorda una flaminica. Gli scavi compiuti nei ruderi delle mansiones e dei templi esistenti al sommo dell'Alpis Poenina e dell'Alpis Graia provarono che il territorio di Augusta Praetoria giungeva fino ad esse; a valle, presumibilmente, alla stretta di Bard.
Augusta Praetoria fu fondata in una zona pianeggiante, con forma rettangolare molto regolare, che ancora oggi la città conserva. Le vie e le sottostanti cloache si incontravano ad angolo retto. Le mura di cinta erano già state costruite il 23 a. C.; sono molto dirute per lunghi tratti, ma conservate per quasi tutto il loro perimetro (m. 2592). Nella fronte orientale delle mura stesse si apre la Porta pretoria, col suo vasto cortile d'armi: una delle più belle e più grandiose porte romane finora note. La porta decumana, ad occidente, è stata invece distrutta durante l'ultimo dominio francese (1812). L'arco onorario, mancante dell'attico e dell'iscrizione, era stato innalzato verosimilmente ad Augusto. Entro la città sono visibili gli avanzi del teatro, dell'anfiteatro (presso il convento di S. Caterina), di un criptoportico e di un basamento di tempio: questi due ultimi nella probabile area del fòro.
Nei luoghi montani più aspri della valle, superiormente ed inferiormente alla città, arditissime costruzioni in muratura e tagli di rocce - quello di Donnaz è lungo più di duecento metri - attestano la cura e la fatica con cui i Romani, subito dopo la sottomissione dei Salassi, diedero alle vie augustane la sistemazione rimasta quasi immutata fino ad epoca recente.
La città, che accolse ben presto il cristianesimo, nei primi tempi fece parte dell'archidiocesi milanese, indi della diocesi vercellese, sinché nel sec. V costituì diocesi a sé. Tolta ai Burgundî da Teodorico, re degli Ostrogoti (522), e poi a questi dai Bizantini di Giustiniano, divenne longobardica non molto dopo l'arrivo delle milizie di Alboino nelle Alpi Cozie e Pennine; ma l'interregno longobardico costrinse i duchi a cedere Aosta alla Borgogna, e in tale occasione la sua diocesi passò successivamente dalle dipendenze della chiesa metropolitana milanese a quella di Vienne e della Tarantasia. Nel 774, distrutto il regno dei Longobardi, Aosta passò sotto il dominio dei re Franchi, e quindi, nel 904, dei re della Borgogna transgiurana, dai quali la città fu ceduta in feudo comitale al vescovo locale. Patì poi le invasioni devastatrici dei Saraceni, quando i suoi ospizî, già esistenti sui monti di Giove all'epoca romana e risorti con nomi cristiani, furono distrutti. Non sappiamo in quale anno preciso Umberto Biancamano, fedele al re Rodolfo III ed al suo erede germanico, abbia avuto in premio Aosta: certo, nel 1025 si era già spenta l'autorità vescovile nel comitato, ora nelle mani di questo capostipite dei Savoia. Risorgevano quindi gli ospizî intitolati a S. Bernardo, mentre nasceva ad Aosta S. Anselmo. In questo scorcio di tempo si costituiva una fitta rete di famiglie viscontili e visdominali, che tennero in feudo le varie terre della valle, e contro cui la carta del 1191 di Tommaso I assicurava le libertà comunali, riconfermate da altre concessioni fino al 1230. La contea di Aosta rimase poi sempre ai Savoia, tranne nel 1249-50, quando Guglielmo d'Olanda, anti-imperatore contro Federico II, fece occupare gli stati del ghibellino conte sabaudo da Eberardo di Nydow, per il quale si schierarono i Valdostani. Amedeo IV, tornato padrone nel 1251, punì parte dei feudatarî, ne premiò altri, e riconfermò nel 1253 le guarentigie comunali, come fecero Amedeo V, nel 1296, e Aimone, nel 1337. Così, mentre i Savoia consolidarono il loro potere, sostituendo al viscontato il balivato nell'amministrazione civile, giudiziaria e militare (1263-1268), e trasformando nel 1302 la contea di Aosta in ducato, secondo un decreto di Federico II del 1238, il comune prendeva sempre più consistenza. La sua codificazione civile e penale si raccoglieva nel Coutumier, e la sua organizzazione si rinvigoriva con le settennali Congregazioni generali, le quali nello sfacelo sabaudo del sec. XVI si costituirono in una specie di costituente per dare l'autonomia al ducato; ed esso come aveva saputo difendere le franchigie comunali contro gli attentati di Amedeo VIII e di altri suoi successori, sapeva ora salvarsi dalle mene francesi e da quelle, forse ancor più pericolose, dei calvinisti di Ginevra. La nobiltà valdostana si trovò coinvolta nelle vicende dei Savoia, spesso seguendoli fedelmente, talvolta imbarazzandoli con le sue guerre fratricide, come quella per la successione Challant nel sec. XV, e più raramente cospirando contro di essi. Prima terra italiana passata nelle mani dei Savoia - che non venne però considerata come regione piemontese, quando, dopo l'estinzione degli Acaia, nel 1468 sorse il principato di Piemonte, e che rimase invece sempre dipendente dalla corte di Chambéry - Aosta appartenne sempre alla casa dei Savoia, nonostante brevi dominazioni francesi nel 1691, 1704-1706, 1798-99, 1800-1814. Ancora oggi da essa si intitola il ramo secondogenito dei Savoia, detto dei duchi d'Aosta.
Durante la guerra mondiale, grazie all'abbondanza dell'energia idroelettrica dovuta alla Dora ed ai suoi monti e alla vicinanza delle miniere di ferro di Cogne, si è sviluppata l'industria elettrosiderurgica (Ansaldo Cogne). Sempre crescente è lo sviluppo dell'industria dei forestieri, specialmente nei mesi estivi. La ferrovia Torino-Aosta si sta prolungando sino a Pré Saint Didier: da molti anni esiste il progetto del traforo del Monte Bianco.
La città, che nel 1573 contava oltre 3000 ab., non sembra aver variato molto hanno al principio del sec. XVIII; nel 1734 le vengono attribuiti circa 3100 ab., saliti poi a 5100 nel 1774 e a 5300 nel 1787. Secondo il censimento del 1839 aveva 7126 ab.; nel 1881, 7376; nel 1901, 7875; nel 1921, 9554.
I monumenti dell'Aosta medievale e moderna non possono gareggiare con quelli dell'Augusta Praetoria romana. Fra i più memorabili e meglio conservati sono le torri medievali sulla cinta delle mura romane. Le diciotto torri romane furono distrutte prima del mille dalle irruenti invasimi barbariche. Al loro posto alcune famiglie nobili elevarono nel Medioevo castelli fortificati con torri, costruzioni di cui quattro sussistono ancora. Il castello dei visconti d'Aosta, conti di Challant, della fine del sec. XI, chiamato Torre del Bramafan, del quale le mura e la torre soltanto sono press'a poco intatte, dà una buona idea delle fortificazioni del primo Medioevo. Le altre torri della stessa epoca sono la Torre dei Baglivi, poi detta Torre delle Prigioni, all'angolo NE. della città, la Torre du Pailleron, vicino alla stazione, la Torre del Lebbroso, anticamente detta de Friours, conosciuta pel racconto di Saverio de Maistre, Le lépreux de la cité d'Aoste.
La cattedrale è una costruzione di epoche diverse. La cripta può risalire al sec. IX nella sua parte più antica. Il coro, la nave maggiore, l'abside e il deambulatorio subirono restauri e aggiunte tra il sec. XII e il XV. Attualmente, l'interno della chiesa ha tre navate divise da piloni quadrangolari con archi a sesto abbassato. Da notare i musaici del pavimento, gli stalli intagliati del coro, le vetrate, un monumento sepolcrale di Tommaso II di Savoia. Dei musaici nel coro uno rappresenta l'Anno seduto, che sorregge nelle mani protese i dischi del Sole e della Luna; tutt'intorno corrono dodici piccoli dischi con le figurazioni dei mesi, e ai quattro angoli sono rappresentati i quattro fiumi biblici del paradiso terrestre. Il secondo musaico sembra essere il frammento di una composizione maggiore; vi sono raffigurati diversi animali, reali e fantastici; anche qui appaiono due fiumi biblici, il Tigri e l'Eufrate; si può forse supporre che i due altri fiumi si trovassero accanto in un musaico andato perduto. Il Toesca pensa che i due musaici siano del sec. XII-XIV. Stalli di legno intagliato, di stile gotico, della seconda metà del sec. XV, recano sul dossale figure in bassorilievo di apostoli, profeti e santi. Sono opera dei maestri Giovanni Vion di Samoens, savoiardo, e Giovanni de Chetro, aostano. Le vetrate dipinte, pur di diverso valore artistico, sono tutte della stessa epoca, come prova lo stemma del vescovo De Prez (fine del sec. XV). La sacrestia possiede reliquiarî di pregio, massime il reliquiario di S. Grato; paramenti e libri liturgici miniati, un dittico eburneo del console Probo (anno 406) con duplice figura dell'imperatore Onorio. Il chiostro, purtroppo mutilo, dà ancora l'idea del suo stato primitivo; è opera degli architetti Berger di Chambéry e Gerard di S. Marcel, e fu terminato l'anno 1460.
La collegiata di S. Orso, dove la vòlta della navata centrale ben s'accorda con gli stalli del coro e le vetrate dell'abside, è guastata alquanto, nella sua linea gotica, dall'altare maggiore, dal jubé e dal pergamo in stile barocco. Anche questa chiesa è costruzione di epoche diverse. La cripta può risalire al sec. X, le mura della navata centrale sono anteriori al mille, come anche l'antico tetto a capriate, al disopra della vòlta attuale, la cui parete conserva resti della decorazione romanica. La vòlta attuale, le vetrate dell'abside e gli stalli sono del finire del'400, dovuti al priore Giorgio di Challant. Gli stalli del coro, d'autore ignoto, sono di fattura squisita, coi dossali a ornati gotici e nei bassorilievi le figure degli apostoli e dei profeti. Nei sedili e sull'appoggiatoio recano figure di monaci, di guerrieri, di animali, e scene di caccia rese con vivace verità. Nel tesoro, fra buoni reliquiarî, calici e croci, è un messale miniato per Giorgio di Challant, attribuito a due artisti locali, forse canonici della chiesa, Bartolomeo de Carreria e Luigi Freydoz. Più tardi scolari di questa scuola, anch'essi canonici, erano chiamati a miniare dei libri liturgici a Lucerna, tra gli altri il can. Claudio Rosserio dal 1561 al 1567.
È da ricordare anche il chiostro di Sant'Orso di forma rettangolare. Le colonne, scempie abbinate, e i capitelli sono anteriori al 1133. Alcuni capitelli portano scolpite scene dell'Antico e del Nuovo Testamento e qualche episodio della vita di S. Orso. A compire il quadro suggestivo di quest'angolo artistico dell'Aosta medievale, si vedono, nel piazzale della chiesa, il maestoso campanile romanico, fatto fabbricare dal can. Gontier d'Ayme verso il principio del sec. XIII, e il Priorato, di cui si possono notare le terrecotte sulle cornici delle finestre e gli affreschi della cappella interna.
Degni di menzione sono inoltre: il Palazzo Roncas, costruito nel 1606, il Vescovado della fine del sec. XVIII, il Seminario fabbricato nel 1774. Opere pregiate sono i monumenti moderni a S. Anselmo, a Vittorio Emanuele II, ai Caduti della grande guerra. Collezioni di oggetti artistici, specialmente libri liturgici, si hanno nei ricchi archivî della Cattedrale, della Collegiata, del Vescovado, dell'Accademia di S. Anselmo. L'incipiente Museo provinciale avrà anch'esso una preziosa raccolta, accogliendo quanto ora è disperso nella valle. (V. tavv. CXXXIII a CXXXVI).
Provincia di Aosta. - La provincia di Aosta, istituita dal decreto-legge 2 gennaio 1927, ha una superficie di 4759 kmq., e, sotto questo rispetto, tra le provincie piemontesi viene subito dopo Cuneo, Torino e Alessandria, superando Novara e Vercelli; ma per popolazione (226.885 ab.) è l'ultima delle provincie piemontesi ed è anche la meno densamente popolata (47,7 ab. per kmq.). Comprende gli antichi circondarî di Ivrea e di Aosta.
Fisicamente la provincia di Aosta comprende la valle di Aosta, la Valchiusella, la val Soana e la val di Locana (Orco), il paese collinoso formato dall'anfiteatro morenico della Dora Baltea, e un breve tratto della pianura del Canavese. Nelle Alpi Graie, che separano i bacini della Dora Baltea e dell'Orco, elevano le cime ardite la Rosa dei Banchi (3193 m.), quasi nel centro della provincia, e il Gran Paradiso (4061 m.), ricco di grandiosi ghiacciai.
Quella di Aosta è, quindi, una provincia alpina per eccellenza, e ciò spiega la sua scarsa popolazione. La Dora Baltea che la percorre in tutta la sua lunghezza, dalle sorgenti sino a pochi chilometri dalla confluenza col Po, è in certo qual modo l'arteria vivificatrice di tutta la provincia di Aosta, e lungo il suo corso, come lungo quello dell'Orco, sono distribuiti i più importanti centri industriali. Grandiosi sono gl'impianti idroelettrici della Valle d'Aosta: la città di Torino ha in costruzione il grande impianto che sfrutterà le acque dell'alto bacino dell'Orco. Aosta (ferro), Châtillon, Pont, Cuorgnè e Ivrea (cotone e seta artificiale) sono i centri industriali maggiori. Le basi, però, della vita economica della provincia sono la pastorizia e l'agricoltura. Celebri sono le "fontine" della Valle di Aosta, i vini di Carema e di Caluso. Per quanto lo consente l'altitudine, l'agricoltura è abbastanza progredita (frumento, granoturco, viti, gelsi, canapa, alberi da frutta, ecc.). Vi prevale la piccola proprietà, eccetto che per i boschi ed i pascoli, m0lti dei quali appartengono ai comuni o a speciali consorterie (Valle di Aosta). Fiorente, ma inadeguata alle bellezze naturali delle valli, è l'industria turistica.
Bibl.: Corp. Inscr. Lat., V, p. 756 e nn. 6828-6860; C. Promis, Le antichità di Aosta, in Mem. d. R. Accad. d. Scienze di Torino, sez. 2ª, XXI (1864); E. Pais, La romanizzazione della Val d'Aosta, in Rend. Acc. Lincei, 1916; V. Barocelli, La strada e le costruzioni romane dell'Alpis Graja, in Atti R. Accad. di Scienze di Torino, sez. 2ª, LXVI (1924); Edizione archeologica della carta d'Italia, foglio 28, Aosta, a cura di P. Barocelli, Firenze 1928.
Per gli statuti di Aosta, Fontana, Bibliogr. degli statuti dei comuni dell'Italia settentrionale, Torino 1907, I, pp. 34-39; per la storia, A. Manno, Bibliografia storica degli Stati Sardi, Torino 1891, II, pp. 276-315; J. B. De Tillier, Historique de la Vallée d'A., Aosta 1880; E. Aubert, La Vallée d'A., Parigi 1860; C. Terraneo, Dei primi conti di Savoia e della loro signoria nella valle d'Aosta, in Miscellanea di storia italiana, XV (1877); F. Savio, I primi conti di Savoia, ibid., XXVI, pp. 457-547; D. Carutti, Il conte Umberto I ed il re Arduino, Roma 1888; Labruzzi, La monarchia di Savoia dalle origini all'anno 1103, Roma 1900; T. Tibaldi, Storia della valle d'Aosta, Torino 1900-1909; C. Patrucco, A. dalle invasioni barbariche alla signoria sabauda, in Miscellanea valdostana, XVII della Bibl. della Società storica Subalpina, Pinerolo 1903; C. De Antonio, La valle d'A. ed Emanuele Filiberto, in Biblioteca della Società storica Subalpina, CVII; U. Santini, L'ascendente di Calvino in valle d'Aosta, in Rivista d'Italia, XXIII, 3 (15 marzo 1920), pp. 303-316; P. Toesca, Aosta, in Catalogo delle cose d'arte e di antichità d'Italia, I, Roma 1911; Ferrero, The Valley of A., Londra 1910; G. A. Duc, Hist. de l'église d'A., 3 voll., Aosta 1901-8.