TOZZI, Antonio
– Nacque intorno al 1736 a Bologna, dove studiò con padre Giambattista Martini, che lo tenne in grande stima, annoverandolo tra i suoi migliori allievi.
Dal carteggio martiniano si evincono alcuni dati biografici: una lettera di Giuseppe Colla databile alla fine di ottobre del 1758 attesta la presenza a Parma di Tozzi, «giovine di talento e di merito», in veste di compositore strumentale: un suo concerto per fagotto «pieno di spirito» riscosse particolare successo (Bologna, Museo della musica, I.1.162). Alla fine di settembre del 1760 il compositore, in compagnia del collega Giovanni Richedi, prestò servizio a Medicina, nel Bolognese, nel teatrino del palazzo di Francesco Albergati, il quale si complimentò con Martini per la bravura dei suoi due scolari (ibid., H.84.1).
Il 9 gennaio 1761 fu aggregato all’Accademia filarmonica di Bologna (si conserva l’antifona a quattro voci richiestagli come saggio compositivo) e di quel titolo si fregiò poi in tutte le produzioni operistiche, a cominciare dal debutto avvenuto nel teatro di S. Angelo a Venezia nel maggio del 1762 con il Tigrane, libretto di Carlo Goldoni; il teorico francescano Giuseppe Paolucci riferì a Martini che l’«opera ha fatto un buonissimo incontro, e se la compagnia dei cantanti (alias virtuosi) fosse migliore avrebbe assolutamente ottenuto il primo [posto]» (ma confessava candidamente di non avervi assistito di persona; ibid., I.5.12). Il 5 novembre 1763 Tozzi diede La morte di Dimone ossia L’innocenza vendicata, il libretto d’esordio di Giovanni Bertati, il quale per l’occasione adattò una Maschinenkomödie viennese del 1758, Die von Minerva beschützte Unschuld, dell’attore, drammaturgo e impresario Giuseppe de Kurtz (ossia Joseph Felix von Kurz, il famoso Bernardon). L’esito di questo «dramma serio-giocoso» di taglio sperimentale, con il quale si riaprì il restaurato teatro di S. Cassiano, è testimoniato da una lettera che il compositore indirizzò a padre Martini (ibid., I.4.39), lusingato tanto per essere stato paragonato a Johann Adolf Hasse quanto per aver ricevuto «un abito di veluto [...] ricamato d’oro» dall’impresario e «una belissima scatola di smalto al’ultima moda» da Marianna Bianchi, la prima donna, che egli sposò pochi mesi più tardi in Venezia. Da una lettera dell’oboista e compositore Sante Aguilar a padre Martini si evince che il matrimonio fu celebrato l’11 marzo 1764 (ibid., I.8.193). Pochi giorni prima, il 3 marzo, Tozzi aveva chiesto al maestro l’approvazione delle nozze, rassicurandolo che quella scelta non avrebbe compromesso i suoi studi (ibid., I.4.40). Dall’estate del 1764 alla fine del 1768 i due sposi novelli prestarono servizio con un contratto quadriennale a Braunschweig, alla corte del principe Carlo I di Braunschweig-Wolfenbüttel: Tozzi affiancò il maestro di cappella di corte Johann Gottfried Schwanenberger e fu incaricato di comporre le musiche dei balletti, varie arie da aggiungere alle opere in cartellone e cinque melodrammi: l’Andromaca, da Antonio Salvi (1° agosto 1765, poi spedita in omaggio alla corte di Prussia, come Tozzi scrisse a Martini il 13 febbraio 1766; ibid., I.4.43), Arcifanfano re dei matti di Goldoni (febbraio 1766) nonché Il re pastore (1766-1767), Il Parnaso accusato e difeso (13 marzo 1767, in collaborazione con Schwanenberger) e Siroe (1° agosto 1767) di Pietro Metastasio.
L’affermazione professionale dell’operista bolognese, rientrato in patria, fu coronata nel 1769 dall’incarico (annuale) di principe dell’Accademia filarmonica e dal successo che il suo Adriano in Siria metastasiano riscosse al Ducale di Modena il 17 gennaio 1770 (ne dà ampia conferma una lettera di Ferdinando Noceti a padre Martini; ibid., I.7.123). Nel 1771 tornò all’opera buffa goldoniana con Il paese della cuccagna per il Formagliari di Bologna (6 gennaio); ma nella citata lettera a Martini del 13 febbraio 1766 il compositore descriveva un abito di velluto regalatogli dal direttore del teatro di Braunschweig «in benemerito di quella opera buffa intitolata La Cucagnia che feci»: dunque l’allestimento bolognese fu la ripresa di un dramma giocoso già composto per quella corte. Nel 1771 produsse per i cappuccini di Castelbolognese il suo primo oratorio, Il trionfo di Gedeone, versi del conte cesenate Gian Francesco Fattiboni (22 settembre 1771). Nel Carnevale del 1772 in compagnia della moglie fu scritturato al teatro di S. Sebastiano di Livorno per una Semiramide (Un almanacco drammatico, 1996, ad annum). In tempo per il Carnevale successivo la coppia si trasferì a Monaco di Baviera alla corte di Massimiliano III Giuseppe per la messinscena di Zenobia (6 gennaio 1773). Nel 1774 Tozzi vi fu nominato maestro di cappella di corte, addetto agli allestimenti delle opere italiane. Il 9 gennaio 1775 riscosse un buon successo con l’intonazione dell’Orfeo ed Euridice di Ranieri Calzabigi, in una versione assai ampliata rispetto all’originale di Christoph Willibald Gluck (1762): un poeta anonimo vi aggiunse tre personaggi e un atto iniziale del tutto nuovo, e ciò anche al fine di arricchire la parte di Euridice, destinata alla signora Tozzi; primo uomo fu Gaetano Guadagni, ossia il contralto che a Vienna aveva creato l’«azione teatrale» di Gluck. Christian Friedrich Daniel Schubart (1975) riportò il giudizio piuttosto severo di un intenditore: l’opera, disse, «ha il solito difetto delle opere italiane d’oggidì: imperversa dove dovrebbe mormorare, è terribile dove dovrebb’essere mesta, è burlesca dove dovrebb’essere gaia»); giocava a sfavore il confronto con la «divina semplicità» della partitura di Gluck, «che con poche note fa il più profondo effetto sull’animo». Lodò nondimeno la bravura di Tozzi come direttore dell’orchestra di corte bavarese.
Lo scandalo suscitato da una liaison con Emanuela Maria Josepha Sedlnitzky von Choltitz, consorte del conte Anton Joseph Clemens von Törring-Seefeld, costrinse il musicista ad abbandonare in tutta fretta la corte (della vicenda fa cenno anche Leopold Mozart nelle lettere alla moglie del 21 febbraio e 1° marzo 1775). In maggio ritornò sulle scene di Venezia con Rinaldo, ricalcato sull’Armida di Jacopo Durandi, nel teatro di S. Salvatore, stavolta senza la moglie al fianco (forse allontanatasi in seguito allo scandalo di Monaco; di certo continuò a portare i due cognomi). Con l’Orfeo ed Euridice di Ferdinando Bertoni, il Giulio Sabino di Giuseppe Sarti e L’olimpiade di Giovanni Paisiello, Rinaldo fu tra le pochissime opere italiane stampate in partitura nel XVIII secolo, in questo caso per iniziativa degli editori Luigi Marescalchi e Carlo Canobbio durante la fiera dell’ascensione.
Nell’estate del 1776 per Tozzi s’inaugurò l’avventura spagnola. Alla corte di Madrid fu a capo della compagnia d’opera italiana per i reales sitios di Carlo III: in estate compose Le gemelle, dramma giocoso di Girolamo Tonioli, nel palazzo reale della Granja de San Ildefonso. Pochi mesi dopo fece rappresentare nel Burgtheater di Vienna Le nozze deluse, che restò sulle scene soltanto tre sere il 23, 24 e 29 ottobre; si trattava del recupero di un vecchio libretto adespoto, La Fiammetta, musicato nel 1743 da Giuseppe Maria Orlandini e ripreso nel 1768 da Alessandro Felici con il titolo La serva astuta; con quest’ultimo titolo l’opera di Tozzi fu poi inscenata a Monaco nell’estate del 1785 in forma di Singspiel, diretta da Virgilio Michel.
Nel 1777 Carlo III ordinò la chiusura dei teatri dei reales sitios e le compagnie italiane lasciarono il Paese. Dopo quella data mancano documenti che attestino l’attività di Tozzi, almeno fino al 1779 quando divenne maestro stabile del teatro de la Santa Creu a Barcellona. Qui per il Carnevale del 1783 scrisse Lo scherzo della magia, o sia La casa incantata, riscrittura dell’Osteria di Marechiaro di Francesco Cerlone, e la favola in musica I due gemelli Castore e Polluce, data in dicembre per la nascita (il 5 settembre) degli infanti di Spagna, Carlo Francesco e Filippo Francesco. Negli anni seguenti la sua carriera operistica sembra essersi concentrata tanto su Barcellona – scrisse Caio Mario (Gaetano Roccaforte, 1785), La caccia di Enrico IV (per la riapertura del ricostruito teatro della Santa Creu, 4 novembre 1788; «fu preceduta [...] da una rappresentazione intitolata Il caffè di Barcellona fatta dalla compagnia comica spagnola con un prologo composto dal M° Vincenzo Fabrizi»: Un almanacco drammatico, 1996), Zemira e Azor (da Jean-François Marmontel, autunno del 1791, poi ripresa nella stagione 1793-94; il libretto presenta i dialoghi in prosa anziché i recitativi), L’amore della patria, ossia Cordova liberata dai Mori, «rappresentazione serio-giocosa» (Pietro Chiari; 1793 e 1801); I due ragazzi savoiardi (Giuseppe Carpani da Benoît-Joseph Marsollier, 27 gennaio 1794) – quanto su Madrid, dove nel biennio 1790-91 diresse le Academias místicas (sul modello dei Concerts spirituels parigini), mentre per la Quaresima del 1790 il teatro Caños del Peral diede l’azione sacra metastasiana S. Elena al Calvario (in quello stesso anno e teatro diresse due opere di Pietro Alessandro Guglielmi, La bella pescatrice ed Enea e Lavinia, che talvolta gli sono state attribuite per errore).
Il 24 ottobre 1793 Tozzi si associò con Antonio Capò firmando un contratto quinquennale per la gestione del teatro della Santa Creu, ma la società fu angustiata da una causa per morosità intentata il 13 marzo 1798 dal commerciante Joan Amat, che risultò infine vincitore. Il licenziamento della compagnia d’opera italiana nel dicembre del 1794 comportò il quasi definitivo stallo della produzione operistica del «vago Tozzi», che in quello stesso anno veniva dato per morto da Giovanni Battista Dall’Olio nel poemetto La musica (Modena 1794), dove figurava accanto ai grandi operisti della sua generazione («è stata una vera perdita per la buona musica che al teatro sia così presto mancato questo maestro che assai giovine dava le più lusinghiere speranze», p. 74). Pare che nell’ultima fase della sua direzione al teatro della Santa Creu, conclusasi nel 1808, Tozzi si adoperasse per valorizzare i giovani compositori catalani e sviluppare lo spettacolo d’opera in lingua spagnola. Gli ultimi lavori di cui si ha menzione furono la cantata El triunfo de Venus (ottobre 1802) e Angelica e Medoro, «dramma eroico-pastorale», parafrasi di Metastasio (gennaio 1805).
Morì a Madrid il 13 gennaio 1819. La data si ricava dall’elenco dei defunti tra i membri dell’Accademia filarmonica di Bologna, la quale celebrò le esequie per l’aggregato il successivo 22 marzo in S. Giovanni in Monte (Bologna, Museo della musica, M.428, ad annum; Bologna, Accademia filarmonica, Campione G, p. 115).
Le otto partiture pervenute dei lavori teatrali di Tozzi permettono di delinearne alcuni atteggiamenti compositivi. Rispetto alla dominante koinè operistica napoletana, la scrittura degli allievi di padre Martini esibiva un ritmo armonico più serrato, non senza qualche modulazione piuttosto brusca e una gestione più contrappuntistica delle parti dei violini primi e secondi: tratti che si osservano nelle opere di Tozzi. Il fatto di scrivere, sin dall’esordio, per contesti produttivi spesso estranei a quelle dei normali teatri impresariali – difatti quasi nessuna delle sue opere fu gratificata di riprese dopo la prima rappresentazione – obbligò Tozzi a impratichirsi con la gestione di ampie pagine corali e coreutiche, come pure di estesi recitativi accompagnati. Nelle due opere di Monaco, Zenobia e Orfeo ed Euridice, si registra un trattamento concertante dei fiati e una certa indipendenza tra la linea del canto e quelle dei violini che le distanziano dallo stile di Paisiello, allora dominante. La stessa ricercatezza nel trattamento dell’orchestra si ritrova però anche nel Rinaldo destinato a un teatro impresariale veneziano, a testimonianza di una coerenza stilistica di fondo. Recentissimi rinvenimenti di alcune arie di Zemira e Azor a Olot, in Catalogna (Pessarrodona, 2019), testimoniano come anche durante gli anni spagnoli Tozzi avesse mantenuto un elevato livello qualitativo nella sua produzione operistica.
Tozzi lasciò anche un certo numero di composizioni da chiesa (tra cui una Missa solemnis del 1782) e una manciata di musiche strumentali.
Marianna Bianchi, il soprano che Tozzi sposò nel 1764, era nata a Venezia intorno al 1735, fu allieva di Baldassarre Galuppi e debuttò nel 1753 a Parma e Piacenza in particine di opere serie di Hasse e Niccolò Jommelli. Cantò poi assiduamente a Firenze, Livorno, Genova e nel circuito lombardo-veneto, fino alla partenza per Braunschweig. Anche grazie ai rapporti dinastici e artistici tra i Borbone-Parma e gli Asburgo, già nel 1762 era giunta a Vienna: in quell’anno Gluck confezionò per lei la piccola parte dell’eroina eponima nell’Orfeo ed Euridice, l’«azione teatrale» che la cantante interpretò poi di nuovo nelle riprese variamente ‘pasticciate’ di Firenze (1771) e Bologna (1771 e 1788), e nella nuova intonazione del marito a Monaco nel 1775. A Vienna tra il 1762 e il 1763, sempre al fianco del primo uomo Guadagni, con il quale aveva ripetutamente condiviso il palcoscenico fin dal 1756, fu inoltre prima donna nel Trionfo di Clelia metastasiano di Hasse, nel pasticcio Arianna (testo di Giovanni Ambrogio Migliavacca) e nell’Artaserse di Giuseppe Scarlatti. Ebbe la stima di Metastasio, che in una lettera del 14 dicembre 1768 la raccomandò a Farinelli.
Nell’unica esperienza sulle scene del S. Carlo a Napoli (1770-71) fu prima donna nel Demofoonte di Jommelli e nell’Eumene di Francesco De Majo. Charles Burney, che la sentì nelle prove dell’opera di Jommelli, ne lodò la «voce dolce», dal «timbro raffinato, sempre perfettamente intonata»: «esegue mirabilmente i portamenti; mai ho sentito cantare con maggior naturalezza e in modo così totalmente privo di affettazione»; ma nella recita gli piacque meno (Burney, 1771). Nel 1773, stabilitasi con Tozzi a Monaco, fu insignita del titolo di «virtuosa di camera» dell’elettore di Baviera, ch’ella esibì poi in alcuni libretti italiani. Dopo il rientro in Italia e la probabile separazione dal marito, le tracce di Marianna Bianchi si confondono con quelle di un’omonima cantante di opera buffa, documentata a partire dal 1760 e fino alla fine del secolo. Le ultime comparse che si possono attribuire con certezza alla moglie di Tozzi sono, tra Carnevale e Quaresima del 1788, l’Orfeo ed Euridice di Gluck e un anonimo Sisara dati in teatri nobiliari a Bologna; la Gazzetta di Bologna del 1° febbraio 1788 riferisce che il soprano cantò come fosse «nel primiero vigore». Sono ignoti data e luogo del decesso.
Fonti e Bibl.: C. Burney, Viaggio musicale in Italia (1771), Torino 1979, pp. 322, 331; A. Bignotti, Gli italiani a Barcellona, Barcellona 1910, pp. 119-121; R. Engländer, Zu den Münchener Orfeo-Aufführungen 1773 und 1775, in Gluck-Jahrbuch, I (1915), pp. 26-55; E. Cotarelo y Mori, Orígenes y establecimiento de la ópera en España hasta 1800, Madrid 1917, ad ind.; A. Par, Representaciones teatrales en Barcelona durante el siglo XVIII, in Buletín de la Real Academia española, XVI (1929), pp. 492-513, 594-614; J. Subirá, La ópera en los teatros de Barcelona, Barcelona 1946, pp. 41-44; C.F.D. Schubart, Deutsche Chronik 1775, a cura di H. Schneider, Heidelberg 1975, pp. 239 s.; R. Alier i Aixalà, L’òpera a Barcelona, Barcelona 1990, pp. 347, 365, 390, 424, 446-449, 578, 604, 606; M.P. McClymonds, Haydn and the opera seria tradition: “Armida”, in Napoli e il teatro musicale in Europa tra Sette e Ottocento, a cura di B.M. Antolini - W. Witzenmann, Firenze 1993, pp. 191-206; Un almanacco drammatico: l’“Indice de’ teatrali spettacoli” (1764-1823), a cura di R. Verti, Pesaro 1996; K. Böhmer, Mozarts “Idomeneo” und die Tradition der Karnevalsopern in München, Tutzing 1999, pp. 93-100, 357-359; R. Stevenson - M.P. McClymonds, T. A., in New Grove dictionary of music and musicians, XXV, London-New York 2001, pp. 670 s.; N. Dubowy - S. Martinotti, T.A., Die Musik in Geschichte und Gegenwart, XVI, Kassel 2006, pp. 985-987; G. Polin, «Un divertimento serio-giocoso può far piacere quando sia ben condotto». Appunti su alcune sperimentazioni drammaturgico-musicali a Venezia a metà Settecento, in I due mondi di Duni. Il teatro musicale di un compositore illuminista fra Italia e Francia, a cura di P. Russo, Lucca 2014, pp. 191-223; P. Howard, The modern castrato. Gaetano Guadagni and the coming of a new operatic age, New York 2014, pp. 80, 88, 93, 98, 101 s., 142, 158-161, 177; L. Bianconi et al., I ritratti del Museo della Musica di Bologna, Firenze 2018, p. 637; A. Pessarrodona, Cimarosa a la Garrotxa: recepció i pràctica domèstica de l’òpera italiana del segle XVIII i inicis del XIX a Olot, in Revista catalana de musicologia, XII (2019), in corso di stampa.