SOMMA, Antonio
SOMMA, Antonio. – Nacque a Udine il 28 agosto 1809, figlio di Jacopo e di Teresa Rizzotti.
Frequentò il ginnasio e il liceo nella città natale. Si avvicinò al teatro in gioventù e, tra il 1829 e il 1831, recitò in diverse commedie allestite dalla Società filarmonico-drammatica udinese. La precaria situazione economica della famiglia lo costrinse a lavorare come impiegato nel locale ufficio delle ipoteche, ma grazie a un sussidio comunale poté studiare giurisprudenza nell’Università di Padova, dove si laureò in legge nel 1836. Nel 1837 si trasferì a Trieste per praticare l’avvocatura. Qui strinse amicizia con diversi patrioti, tra cui Francesco Dall’Ongaro e Antonio Gazzoletti, e si segnalò come giornalista, collaborando al periodico irredentista La Favilla. Acquisita fama di drammaturgo grazie al successo della sua prima tragedia, Parisina, andata in scena nel 1835 (subito edita a Venezia, fu ristampata l’anno dopo a Livorno e a Milano), diresse dal 1841 al 1847 il teatro Grande, la massima sala triestina. Dal 1848 visse a Venezia, dove prese parte ai moti insurrezionali e occupò ruoli di spicco nell’amministrazione della Repubblica di San Marco come membro dell’Assemblea, segretario di presidenza del Governo provvisorio e segretario del Consiglio di giureconsulti. Caduta la Repubblica, tornò alla professione legale senza rinunciare all’attività letteraria.
Pur avendo licenziati componimenti d’occasione e due novelle in versi – La maschera del giovedì grasso (San Vito 1840), ispirata a una popolare leggenda udinese che fu tema anche dell’omonima ballata di Dall’Ongaro (Udine 1843), e l’incompiuta Filippina de’ Ranfi in ottava rima (nella Strenna triestina, 1842), apprezzata da Niccolò Tommaseo per lo stile semplice e affettuoso (Intorno a cose dalmatiche e triestine, Trieste 1847, p. 141) – Somma fu sostanzialmente poeta teatrale. Messa in scena al Malibran di Venezia nella primavera del 1835 dalla compagnia di Luigi Petrelli, con Carolina Internari protagonista, la sua prima tragedia, ispirata alla Parisina di George Byron, fu additata dalla Biblioteca italiana (luglio 1836, pp. 84-89) come una rivelazione, l’annuncio di «una nuova speranza che sorge per l’Italia», quantunque l’anonimo recensore non ne nascondesse le mende stilistiche e teatrali, confrontandola in particolare con l’omonimo melodramma di Felice Romani per Gaetano Donizetti (1833), e segnalandone la dipendenza da Vittorio Alfieri, Silvio Pellico e Alessandro Manzoni. Incerto tra classicismo e romanticismo, Somma si era mosso senza originalità nell’alveo del teatro tragico coevo, intessendo nello schema classico l’elemento patetico-sentimentale e quello patriottico, non senza riferimenti al teatro d’opera corrente.
All’opera prima seguì la tragedia di tema moderno Marco Bozzari, sul patriota greco caduto nel 1823; creato a Trieste il 5 novembre 1847 dalla compagnia di Gustavo Modena e subito pubblicato, con alcune chiose erudite, in un’edizione numerata di settantuno esemplari, il secondo lavoro teatrale di Somma, nonostante il coinvolgente tema patriottico, non conquistò né critica né pubblico. Non ebbe miglior esito La figlia dell’Appennino, tragedia ambientata al tempo della battaglia di Pavia (1525), scritta per la Drammatica Compagnia Lombarda diretta da Alamanno Morelli e andata in scena a Venezia il 19 aprile 1852 (pubblicata postuma nelle Opere scelte di Somma, 1868). Il lavoro, accolto tiepidamente, fu stroncato sull’Italia musicale da Giuseppe Rovani, spettatore di una recita milanese nel dicembre del 1853: la recensione accese un’aspra polemica con l’autore, protrattasi fino a febbraio. Le reazioni di pubblico e critica, che generalmente approvarono solo i primi tre atti, spinsero comunque Somma a modificare lievemente la conclusione del terzo atto e a riscrivere quasi per intero gli ultimi due (la versione definitiva apparve a Milano nel 1874).
L’ultima tragedia, Cassandra, dall’autore considerata il suo miglior lavoro, fu commissionata nell’ottobre del 1858 da Giuliano Capranica, marito dell’attrice Adelaide Ristori. Creata al Théâtre des Italiens di Parigi il 12 maggio 1859, con scene e costumi degni di uno spettacolo d’opera – l’autore aveva fornito precise indicazioni –, ebbe solo quattro repliche e poche riprese successive. Sottoposto a modifiche, il testo fu pubblicato a Venezia nello stesso anno, corredato di alcune note. La critica non fu unanime, divisa tra stroncature e plausi, ma la tragedia piacque a Théophile Gautier che, se fu impressionato dal fascino della messinscena, notò anche come Somma avesse compreso l’antico e superata la rigidità delle tragedie alfieriane sviluppando, con i modi del dramma romantico, «la vigoureuse ébauche» tracciata da Eschilo nell’Orestea, capolavoro che la Cassandra «côtoie et touche, par plusieurs points» (Le Moniteur universel, 16 maggio 1859).
Strettamente intrecciata alla produzione tragica fu quella librettistica. Somma esordì come poeta per musica con una cantata allegorica, intonata da Alessandro Buri e allestita nel teatrino di Società di Gorizia il 19 aprile 1837 per celebrare il genetliaco di Ferdinando I d’Austria. Fu quindi tra gli autori, con gli amici Dall’Ongaro e Gazzoletti, di Un duello sotto Richelieu, melodramma di Federico Ricci (Milano, Teatro alla Scala, 17 agosto 1839; il libretto fu stampato adespoto, ma gli autori figurano sul frontespizio dello spartito di una pagina dell’opera, la ballata Oh cacciator valente, pubblicata da Ricordi lo stesso anno).
Fondamentale fu l’incontro con Giuseppe Verdi, propiziato forse da comuni conoscenze veneziane: tra il 1853 e il 1858 l’operista e l’avvocato intrattennero un costante scambio epistolare, ma già nel 1847 Somma aveva inviato al musicista lo schema di una riduzione librettistica di Usca, ballata di Dall’Ongaro. Nell’aprile del 1853, proposti invano alcuni soggetti estranei alla drammaturgia verdiana, Somma accettò con entusiasmo di lavorare al Re Lear da William Shakespeare, un arduo e ambizioso progetto che il musicista aveva intavolato intorno al 1850 con Salvadore Cammarano (morto nel 1852). Verdi ebbe grande stima del suo nuovo collaboratore, ma fin dall’ideazione dell’ossatura del libretto si manifestarono le difficoltà di Somma a calarsi nelle logiche della scrittura per musica e a comprendere le esigenze dell’operista; e tuttavia la collaborazione, improntata a reciproco cortese rispetto, si protrasse senza scontri. Terminata in settembre una prima redazione del libretto, Verdi, insoddisfatto soprattutto della lunghezza del testo, avviò subito una revisione, sospesa nel maggio seguente per il completamento e l’allestimento di Les Vêpres siciliennes a Parigi. In questi mesi Somma continuò a pensare al libretto, e alla ripresa della corrispondenza, nel gennaio 1855, propose di sopprimere due importanti personaggi, Edoardo e il Duca di Gloucester, con la piena approvazione di Verdi. Prese così forma la seconda redazione del libretto: pronta in marzo, essa continuò a non convincere appieno l’operista, sia per la lunghezza sia per alcune incoerenze drammatiche, e fu discussa e modificata fino al 1856.
Verdi avrebbe voluto allestire il Re Lear al San Carlo di Napoli nella stagione 1857-58, ma nel 1857, non disponendo di cantanti adatti, ripiegò sulla riscrittura del Gustave III ou Le bal masqué, l’opéra historique di Eugène Scribe, musica di Daniel-François-Esprit Auber, dato a Parigi nel 1833. Già nel marzo del 1855, essendogli stato richiesto da Verdi un argomento per un nuovo libretto, il poeta aveva indicato un soggetto originale, Il monaco; nell’aprile 1856 il maestro aveva rimandato al poeta un suo programma, forse quello del Monaco, perché non sufficientemente vario e con caratteri «un po’ troppo tristi e truci», mentre desiderava un dramma sentimentale, «quieto, semplice tenero». Il 9 ottobre 1857 gli propose Gustavo III, e il 13 ottobre Somma, consapevole di essere esentato da qualsiasi responsabilità drammaturgica, accettò di verseggiare la sceneggiatura approntata dal musicista, a condizione di mantenere l’anonimato o di firmare il libretto con uno pseudonimo (propose poi l’anagramma Tommaso Anoni). Verdi, in effetti, stilò e inviò a Somma l’intero libretto in prosa. Non per questo il poeta seppe reprimere la propria immaginazione letteraria, legata al teatro di parola. La sua autonomia su questo versante non mancò di alimentare le perplessità dell’operista, che dal canto suo non lesinò riflessioni e suggerimenti tanto sulle situazioni drammatiche quanto sull’efficacia scenica delle parole da intonare. Nonostante l’imperfetta sintonia tra gli autori e le noiose richieste della censura napoletana, il lavoro di versificazione procedé comunque spedito, tanto che a dicembre il libretto, intitolato Una vendetta in domino, fu pronto. Verdi giunse a Napoli il 14 gennaio 1858. Quello stesso giorno, a Parigi, Felice Orsini attentò alla vita di Napoleone III. La notizia proveniente dalla Francia irrigidì le opposizioni della censura, che non poté non bocciare una vicenda culminante in un attentato contro un regnante. Il 17 febbraio gli fu così consegnata una goffa trasformazione del testo di Somma, reintitolata Adelia degli Adimari: ne nacque una controversia che si chiuse liberando Verdi dall’impegno napoletano. L’opera fu destinata al teatro Apollo di Roma, dove Un ballo in maschera andò in scena il 17 febbraio 1859, non senza ulteriori modifiche laboriosamente negoziate con la censura pontificia. Peraltro Somma, «nauseato» dalle ultime varianti, ribadì di non volere che il suo nome comparisse: non immaginava che la sua fama futura sarebbe dipesa in realtà proprio da questo sofisticato e spesso frainteso libretto, un testo invero assai originale, dal linguaggio complesso e innovativo, trapunto di dotti echi letterari – da Virgilio a Manzoni – eppure a lungo criticato per presunte stramberie poetiche (Curnis, 2003).
Caduta nel vuoto la proposta di un soggetto dalmata, discusso forse a voce a fine 1857 e ricordato nel seguente aprile, nel 1863 il poeta, spinto forse da difficoltà economiche, si rivolse a Verdi con «un po’ d’imbarazzo», dopo un lungo silenzio epistolare, offrendogli un libretto in quattro atti, «fatto in gran fretta […] cavando le situazioni e i caratteri dai frammenti che Schiller lasciò d’una tragedia intitolata Demetrio» (Carteggio, 2003, p. 288). Ma il maestro dichiarò di non essere attratto dal soggetto, già propostogli inutilmente da Andrea Maffei nel 1861.
Morì a Venezia l’8 agosto 1864, celibe. La polizia austriaca, ricordandone il ruolo nella repubblica di Daniele Manin, proibì ogni pubblica onoranza alle sue esequie, tollerando una commemorazione solenne solo trenta giorni dopo.
Fonti e Bibl.: G.B. Cipriani, In morte di A. S. Trenodìa, Venezia 1864; G. Gomirato, Elogio funebre del poeta ed avvocato S. dott. A., letto nell’Ateneo di Bassano, Este 1865; A. Pascolato, Della vita e degli scritti di A. S., in Opere scelte di A. S., edite per cura di A. Pascolato, Venezia 1868, pp. VII-XXXII; U. Sogliani, Tre precursori [Dall’Ongaro, Gazzoletti e S.], Trieste 1875; A. Pascolato, “Re Lear” e “Ballo in maschera”. Lettere di Giuseppe Verdi ad A. S., Città di Castello 1902; R. Barbiera, Il patriotico tragedo di Udine: A. S., in Id., Ricordi delle terre dolorose, Milano 1918, pp. 199-217; T. Viziano, Cassandra. Tragedia in 5 atti di A. S., in Ead., Il palcoscenico di Adelaide Ristori. Repertorio, scenario e costumi di una Compagnia Drammatica dell’Ottocento, Roma 2000, pp. 300-311; G. Verdi - A. Somma, Per il “Re Lear”, a cura di G. Carrara Verdi, Parma 2002; M. Curnis, «Salamandre ignivore… orme di passi…». Sul libretto di “Un ballo in maschera”, in Studi verdiani, 2003, n. 17, pp. 166-192; Carteggio Verdi-S., a cura di S. Ricciardi, Parma 2003; G. Sparacello, L’esperienza teatrale di A. S. fra tragedia e melodramma, in Rassegna della letteratura italiana, CX (2006), 1, pp. 72-84; L. Nassimbeni, S., A., in Dizionario biografico dei friulani, Nuovo Liruti online, a cura di C. Scalon - C. Griggio - G. Bergamini, Udine 2011, http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/ somma-antonio/ (10 settembre 2018).