RICASOLI, Antonio
RICASOLI, Antonio. – Nacque il 20 giugno 1473, forse a Firenze, da Bettino di Antonio Ricasoli e da Cilia di Bartolommeo del Vigna, preceduto dalla sorella Bartolommea e primogenito dei dieci figli maschi della coppia.
Il padre, in linea con la tradizione di famiglia, fu un militare che combatté a fianco dei Visconti prima, e poi della Repubblica fiorentina nella guerra contro gli aragonesi. Grazie a questi servigi resi a Firenze ottenne l’ammissione della propria famiglia tra i popolari dopo che i Ricasoli erano stati allontanati dalla città nelle lotte antimagnatizie. Nello Stato fiorentino Bettino ricoprì numerosi incarichi di tipo prevalentemente militare fino al 1485, quando morì mentre era a Livorno come commissario di guerra di Firenze contro i genovesi. La madre di Antonio Ricasoli fu in grande familiarità con i Medici e, a seguito della cacciata di Piero ‘il fatuo’ nel 1494, si adoperò per fare uscire di nascosto da Firenze la moglie Alfonsina Orsini assieme ai figli. In conseguenza dell’appoggio dato alla fuga dei suoi signori, Cilia venne condannata dal nuovo governo al pagamento di una pena pecuniaria.
Una delle prime attestazioni documentarie che riguardano direttamente Ricasoli risale al 1493, allorché da Lione scrive a Lorenzo de’ Medici, figlio di Piero e futuro duca di Urbino, in merito a questioni finanziarie del Medici (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, f. 51). Svolse per gran parte della sua vita funzioni di tipo militare, in linea con le radici familiari: già al servizio di Braccio da Montone, con Antonio di Bettino e Bettino di Antonio, nonno e padre di Antonio, i Ricasoli avevano poi militato sotto le insegne della Repubblica fiorentina nelle guerre contro Alfonso d’Aragona, Sisto IV e i loro alleati, difendendo i propri castelli del Chianti (Brolio, Tornano, Cacchiano), i cui territori, oggi nella provincia di Siena, insistevano lungo il confine meridionale della Repubblica fiorentina. Questa tradizionale vocazione guerriera nel secondo Quattrocento era stata messa al servizio della fedeltà ai Medici, con cui Antonio si era unito in parentela sposando Ginevra di Jacopo di Conte Medici.
Fin dall’inverno del 1494 Ricasoli si adoperò per raccogliere uomini fidati che consentissero a Piero de’ Medici un immediato rientro in città. Per questa azione, sulla testa di Antonio, messo al bando dalla città, fu imposta una taglia. Per lui iniziò da allora un periodo di servizio militare itinerante, prevalentemente accanto ai fedeli di Piero de’ Medici, ma non solo. Nel 1495 fu tra le fila del condottiero veneziano Bartolomeo di Alviano, allorché Piero cercò di rientrare in città. Con i veneziani che appoggiavano le sorti medicee, Ricasoli passò al loro servizio, e combatté per la Serenissima in Casentino. Nel 1502, a fianco dei fuoriusciti medicei, fu impegnato nell’impresa di Arezzo, che si era ribellata al commissario mediceo e si era posta sotto la protezione delle truppe di Vitellozzo Vitelli. Negli anni difficili delle guerre d’Italia, segnati da continui e repentini cambi di campo dei protagonisti, Ricasoli prestò i propri talenti militari sia ai francesi di Luigi XI, cui anche Piero de’ Medici si era unito quando cercarono di riconquistare il Regno di Napoli, sia agli stessi aragonesi dopo la morte del Medici. Nel luglio del 1499 Ricasoli si trovava a Lione, da dove scriveva in merito a certi interessi finanziari di Piero, la cui cassa contabile era gestita direttamente dal banchiere Leonardo Spinelli con cui Ricasoli si relazionava (f. 60, c. 590). Allorché il fratello di Piero de’ Medici, il cardinale Giovanni, si adoperò per riportare la propria famiglia a Firenze, Ricasoli fu di nuovo impegnato sul fronte antirepubblicano, e partecipò con le truppe spagnole al sacco di Prato (1512), preludio al rientro dei Medici nella Dominante.
Con la restaurazione signorile iniziò anche la serrata presenza di Ricasoli nel sistema delle cariche politico-amministrative cittadine, insolita per un membro di una famiglia che si era a lungo mantenuta estranea alla vita del Comune: nel 1512 fu eletto priore delle Arti e nel 1513 fu inserito nell’importante tribunale giudiziario degli Otto di custodia. Lasciò tuttavia Firenze per Roma al seguito del cardinale Giovanni allorché questi divenne papa, e sotto le armi papali combatté nelle guerre della Lega partecipando alla battaglia di Marignano (settembre 1515). Rientrato a Firenze nel novembre successivo, fu tra i commissari che dovevano curare l’organizzazione del viaggio di Leone X da Firenze a Roma, con la vigilanza relativa alla tratta da Castel San Giovanni a Cortona, mansione condivisa con Francesco Serristori (Carteggi, 1987, p. 455; 1996, p. 440). Nel marzo del 1516 fu commissario per la descrizione della fanteria fiorentina (1996, p. 407). A sostegno della politica di Leone X, nel maggio del 1517 Ricasoli partecipò in qualità di commissario fiorentino, assieme a Jacopo Gianfigliazzi e Vitello Vitelli, all’assedio della fortezza di San Leo, allorché le truppe collegate a Leone X attaccarono il Ducato di Urbino per insediarvi Lorenzo de’ Medici, figlio del defunto Piero e nipote di Leone. La presa dell’inaccessibile e ben munito forte di San Leo rappresentò un momento di grande prestigio della carriera militare di Ricasoli, che in quella veste di fortunato ‘capitano’ venne anche immortalato negli affreschi di Giorgio Vasari in Palazzo Vecchio all’interno della sala di Leone X (Moisé, 1843, p. 114).
Il minuzioso resoconto della caduta di San Leo (Passerini, 1861, p. 188), chiave di volta strategica per la conquista del Ducato, riferisce che il piano d’attacco poggiava sull’idea di costruire vari ponti di legno sul costone roccioso della parte più inaccessibile del castello, che era quella meno custodita dai difensori perché ritenuta più sicura. In realtà l’audace stratagemma sarebbe stato suggerito a Ricasoli da un legnaiolo, ma merito indiscusso del capitano sarebbe stato l’averlo messo in pratica attraverso un piano che prevedeva come diversivo un finto attacco dalla parte del versante meglio difeso della rocca.
A seguito di questa impresa Ricasoli venne ricompensato dal papa con la signoria di Sassocorvaro, presso Pesaro, donazione che fu in seguito ratificata con breve del 1° giugno 1520 (Archivio di Stato di Firenze, Archivio Ricasoli, Pergamene, 334). La presa di San Leo fu un episodio celebrato della carriera di Ricasoli, anche se a esso seguirono altri meno favorevoli con il ritorno di Francesco Maria della Rovere, che nel frattempo aveva riparato presso gli Este in Lombardia. Nella guerra che seguì, Antonio cadde prigioniero delle truppe del deposto duca mentre recava a Lorenzo de’ Medici i denari per il pagamento dell’esercito. Dovette quindi riscattarsi, sembra con patto di non continuare a combattere.
Nel 1517, rientrato a Firenze, fu inviato a Siena in appoggio a Raffaello Petrucci, tornato al potere l’anno prima con il sostegno di papa Leone X. Di nuovo a Firenze nel 1519 riprese la sua scalata nelle magistrature cittadine e fu eletto, primo e ultimo della sua famiglia, all’alta dignità del gonfalonierato di Giustizia. Terminato il mandato di gonfaloniere occupò molti importanti uffici, quasi sempre con mansioni di carattere militare: nel febbraio del 1521 da Arezzo raccoglieva come commissario le truppe fiorentine richieste da Raffaele Fedini, mandatario della Repubblica a Perugia per contrastare le incursioni di Francesco Maria Della Rovere. Nel gennaio del 1522 era tra i commissari del Chianti che dovevano inviare in aiuto di Siena mille fanti reclutati da Giovanni de’ Medici, mentre nel febbraio successivo figurava tra i capi delle truppe fiorentine che appoggiarono le armi papali contro la ribellione dei Baglioni. Gli impegni militari si susseguirono senza soluzione di continuità: nell’aprile del 1522 fu inviato di nuovo come commissario ad Arezzo per contrastare l’avanzata dei nemici, e nel 1523 gli venne affidata la cura della guardia del palazzo della Signoria, costituita da 20 svizzeri (Carteggi, 1996, p. 755). Nel giugno del 1523, con il ritorno dei Della Rovere nei loro domini, gli fu invece imposta dalle magistrature fiorentine la restituzione dei beni di Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino, incamerati da Ricasoli durante la presa di San Leo. Dal 1° luglio 1524 prestò di nuovo i suoi servizi a Pistoia quale commissario generale, assieme a Giovan Francesco Ridolfi (p. 843) fino al gennaio del 1525. Il dicembre successivo fu commissario in Valdichiana e dovette gestire la questione degli abitanti di Sinalunga esuli nello Stato fiorentino dal dominio senese. Oltre che in veste di militare, nel giugno del 1525 agì anche in qualità di procuratore di Clemente VII e soprattutto del cardinale Ippolito, come appare dagli atti di ser Bernardo Gamberelli (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie I, f. 52, nn. 38, 46). Nel gennaio del 1526 fu nominato commissario generale di Montepulciano e della Valdichiana (Carteggi, 1996, p. 901) al posto di Vitello Vitelli, ammalato, e nel luglio fu ancora impegnato in quella veste quando, assieme al commissario di Val d’Elsa Lorenzo Cambi, fu mobilitato nella guerra contro gli imperiali e i loro collegati senesi. Alla fine di luglio del 1526, a seguito della dura sconfitta subita dai fiorentini e dalle truppe papali a Camollia presso le mura di Siena, fu di nuovo spedito a Montepulciano come commissario generale in attesa che fossero riorganizzate le truppe secondo gli ordini di Clemente VII (p. 902). Nel novembre successivo figurava ancora a capo di quella cruciale zona di confine (p. 958). Nel maggio del 1527 ebbe invece l’incarico di sostituire Raffello Girolami, che sembra non godesse più della piena fiducia dei Medici, come commissario militare a Poggibonsi (p. 1029; Arrighi, 2001) nella guerra condotta di concerto con il Papato contro il regime popolare di Siena.
Nel giugno del 1527, nella guerra della Lega di Cognac, con la cacciata del cardinale Silvio Passerini e dei Medici da Firenze, la fortuna di Ricasoli subì un momento di arresto: accusato di essersi appropriato delle paghe dei soldati, fu condannato a morte in contumacia. Si era intanto già prudentemente rifugiato a Roma presso Clemente VII. Tornò nuovamente in auge con la caduta della Repubblica, negli anni del principato del duca Alessandro e anche in quello di Cosimo I. Nel 1532 faceva parte dei Priori dell’ultima signoria fiorentina, che votò il proprio scioglimento, ed entrò subito nel neoistituito Senato dei Quarantotto. Ritenuto dai Medici personaggio di assoluta affidabilità, fu ripetutamente impiegato nel ruolo di accoppiatore, il funzionario che doveva selezionare preventivamente gli eleggibili alle varie cariche cittadine. Fu in quel ruolo dal 1531 al 1542, con l’unica eccezione del 1539. Durante la delicata congiuntura del 1532, che portò al potere come duca di Firenze Alessandro de’ Medici, Ricasoli era stato inviato nuovamente ad Arezzo come capitano della città. Fu quindi tra i Duecento consiglieri della Repubblica nel 1534, 1536 e 1539; degli Otto di pratica nel 1534, 1535, 1536 e 1540; tra gli Otto di custodia nel maggio del 1537, tra i Cinque provveditori delle Fortezze nell’autunno dello stesso anno. A lui spettò tenere l’importante carica di luogotenente ducale nel consiglio del Senato dei Quarantotto che all’indomani dell’assassinio del primo duca Alessandro decise l’elezione del giovane Cosimo alla guida dello Stato, fondando di fatto quella che sarebbe stata la tradizione del principato dinastico. In quell’occasione sembra che abbia svolto un ruolo decisivo, utilizzando in maniera intimidatoria i soldati, che dietro suo ordine avevano invaso il palazzo dei Priori e le vie adiacenti, condizionando così la decisione dei consiglieri (Passerini, 1861, p. 192). La sua carriera proseguì quindi con Cosimo I: tra il luglio del 1537 e il novembre del 1538, assieme ad Alessandro Malegonnelle e Giovanni Taddei, fu tra gli esaminatori dei ribelli catturati a Montemurlo, ed ebbe la responsabilità di severe condanne capitali. Divenne commissario generale delle Bande e nel 1539 fu invece tra i maestri di Zecca; nel 1540-41 fu capitano per un anno a Pisa, dove probabilmente morì nel 1542.
Suoi eredi in linea maschile furono almeno due figli: Leone, scomparso nel 1563, che aveva contratto un matrimonio endogamico con Fioretta di Alessandra di Giovan Battista di un altro ramo dei Ricasoli, e Giulio che, come il padre e gli antenati, avrebbe difeso i castelli del Chianti nella guerra di Siena, per poi iniziare un’importante carriera diplomatica presso la corte di Vienna e inaugurare la tradizione feudale della famiglia dei Ricasoli baroni della Trappola, piccola comunità rurale del Pratomagno aretino.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Raccolta Genealogica Sebregondi, Ricasoli, 4441; Archivio Ricasoli, Pergamene, 334, 353, 359; Mediceo avanti il Principato, tra le altre: f. 51, n. 183, f. 60, n. 590, f. 72, n. 148, f. 111, nn. 227, 235, 336, 371, 521, 586, 677, 756 (lettere di Ricasoli a Lorenzo di Piero de’ Medici), f. 119, n. 1, f. 123, nn. 207, 469; Miscellanea Medicea, f. 509, n. 3; Carte Strozziane, Serie I, f. 7, n. 16, f. 52, nn. 38 e 46, f. 61, n. 86. Numerose lettere di Ricasoli o a lui dirette sono conservate in Mediceo del Principato, in particolare all’interno del Carteggio Universale di Cosimo I: f. 334, c. 168, f. 335, cc. 302, 310, f. 347, c. 131, f. 348, c. 174, f. 330, cc. 51, 101, 109, f. 335, cc. 291, 303, f. 337, cc. 216, 317, f. 338, c. 180, f. 346, c. 169, f. 347, cc. 130, 543, f. 350, c. 75, f. 352, c. 188, f. 355, cc. 184, 190, 313, 325, f. 356, c. 39, f. 357, c. 21; Carteggi delle magistrature dell’età repubblicana: Otto di Pratica, I, 1-2, Legazioni e Commissarie, a cura di P. Viti, Firenze 1987, pp. 455, 487, 525, 561, 564, 568 s., 594 s., 694, 872, 876, 908 s., 913; II, 1-2, Missive, a cura di R.M. Zaccaria, 1996, ad indicem.
Sulla presa di San Leo cfr. L. Passerini, Marietta de’ Ricci ovvero Firenze al tempo dell’assedio, I-VI, Firenze 1845, III, pp. 1160-1162, VI, p. 2099; Id., Genealogia e storia della famiglia Ricasoli, Firenze, 1861, pp. 186-192. F. Moisé, Illustrazione storico-artistica del Palazzo dei Priori oggi Palazzo Vecchio…, Firenze 1843, p. 114; O. Rouchon, Les troubles de 1537 dans la domaine florentin, in Histoire, economie et société, XIX (2000), pp. 25-48; V. Arrighi, Girolami, Raffaello, in Dizionario biografico degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 526-531.