PANCERA, Antonio
PANCERA, Antonio. – Figlio di Andrea di Davide, nacque a Portogruaro verso il 1350, come propone Paschini (1932), o attorno al 1360, secondo Girgensohn (2006).
Discendente da una famiglia della piccola borghesia cittadina (il padre veniva indicato in modo sprezzante dai suoi nemici con il titolo di pellicciaio), Antonio Pancera si sottoscriverà in una infinità di documenti papali semplicemente come «A(ntonius) de Portogruario», con riferimento esclusivo alla città natale (Gingersohn 2006, pp. 628 s.). Il nome Pancera, attribuito alla famiglia, compare la prima volta il 1° settembre 1392 nella bolla con cui Bonifacio IX concedeva al nostro e ai suoi familiari di fregiarsi dello stemma della famiglia Tomacelli: uno scudo troncato al terzo inferiore, nella parte superiore del quale si trova una banda scaccheggiata a tre file (Tomacelli) e nella parte inferiore una stella a sette punte.
Nulla si sa della sua prima formazione, anche se è abbastanza verosimile che essa sia avvenuta nella stessa Portogruaro, dove le scuole comunali avevano raggiunto un buon livello di insegnamento, oppure nella scuola capitolare annessa alla cattedrale di Concordia. La frequentazione dello Studio padovano, dove è attestato nell’agosto 1379, fu decisiva per la carriera ecclesiastica di Antonio, sia per la formazione giuridica ricevuta sia per le conoscenze e i rapporti personali che egli ebbe modo di intessere. Negli stessi anni si ha notizia del conferimento ad Antonio di alcuni benefici ecclesiastici della diocesi di Aquileia: la riserva di un canonicato nella cattedrale di Aquileia conferitagli da Urbano VI (1378) e un secondo canonicato nella collegiata di S. Maria Maggiore di Cividale (1380). Fu quasi certamente la conoscenza del cardinale Bonaventura Badoer, già priore degli eremitani di Padova, ad aprirgli le porte della Curia di Urbano VI. Dopo essersi trasferito a Roma al seguito dell’anziano Badoer, entrò ben presto nella famiglia del cardinale Pietro Tomacelli, al cui servizio rimase anche dopo l’elezione dello stesso a papa, nel 1389, con il nome di Bonifacio IX. Nella bolla papale del 20 gennaio 1391, che lo esentava dall’obbligo della residenza ad Aquileia, il nostro è menzionato come «magister Antonius de Portugruario, canonicus Aquileiensis, secretarius noster […], qui etiam familiaris noster et litterarum apostolicarum scriptor et abbreviator est». La carriera curiale del Pancera ebbe uno sviluppo importante con la nomina a vescovo di Concordia, sua diocesi di origine, avvenuta nel 1392. In realtà il nuovo vescovo mantenne i suoi incarichi presso la Curia papale, dedicando solo brevi periodi alla diocesi. Preso possesso della cattedra vescovile nell’aprile 1394, rimase in Friuli assai poco. In assenza del vescovo, l’amministrazione della diocesi fu affidata al lombardo Filippo Capellini, decano di Concordia e vicario generale, e al fratello Nicolò Pancera che aveva assunto l’incarico di arcidiacono. Nel 1399 l’imperatore Venceslao concedeva alla famiglia il titolo comitale; nel corso del 1400 Pancera ebbe in commenda l’abbazia di Moggio, un monastero benedettino della diocesi di Aquileia fondato nell’XI secolo lungo la valle del Fella. Nel frattempo la famiglia, che aveva acquistato casa a Udine, ottenne la cittadinanza della città. Nel 1402, dopo la rinuncia di Antonio Caetani, Pancera fu nominato patriarca di Aquileia. Da allora la sua storia personale si intrecciò con le drammatiche vicende che sconvolsero la vita della Chiesa e l’ultimo periodo del principato ecclesiastico aquileiese.
Nominato patriarca il 27 febbraio, Antonio fece il suo ingresso ad Aquileia il 7 aprile; qui giurò di conservare e difendere le consuetudini e le giurisdizioni della Chiesa di Aquileia e della Patria e ricevette il giuramento di fedeltà dei sudditi. Testimoni contemporanei confermano che la sua nomina fu accolta con unanime consenso (Gingershon, 2006, p. 631). Il nuovo patriarca ebbe modo di visitare i principali centri della diocesi; convocò ripetutamente il parlamento della Patria del Friuli a Portogruaro, S. Daniele, Sacile, Cividale e Udine, il cui castello era stato scelto come residenza abituale. Nonostante questi inizi promettenti, la conflittualità latente tra Udine e Cividale, la divisione della nobiltà in filoimperiali e filoveneziani, le pressioni delle potenze straniere, che consideravano strategico il territorio friulano, non tardarono a riemergere. Nell’ottobre 1403 il patriarca diede in feudo il castello di Zoppola ai fratelli, sollevando i sospetti dei vicini conti di Prata, Porcia, Polcenigo, Spilimbergo, Valvason, che erano di parte imperiale.
Girgensohn (2006) evidenzia la difficile situazione finanziaria che il patriarca dovette affrontare e che condizionò pesantemente tutta la sua attività di governo. Già al momento dell’ingresso nel patriarcato, Antonio aveva chiesto e ottenuto dal Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia un prestito di 5.000 ducati. Nei confronti della Camera papale Antonio si era trovato da subito debitore di circa 31.600 fiorini, dovuti nella maggior parte a debiti non onorati dai suoi predecessori.
La richiesta al Comune di Cividale di sborsare l’affitto degli ultimi vent’anni del gastaldato di Tolmino, usando anche le armi della scomunica e dell’interdetto, guastò definitivamente i rapporti del patriarca con la città ducale. La questione, discussa davanti al parlamento della Patria e oggetto di un ricorso al papa, si risolse al momento con un compromesso raggiunto tra le parti nel luglio 1407. Il patriarca, da parte sua, era pressato dai debiti a tal punto che papa Gregorio XII lo minacciò di destituzione se non avesse saldato l’intero debito nei confronti della Curia. In effetti, nonostante il pagamento dei 10.000 fiorini dovuti per la sua nomina e l’intervento a suo favore del Parlamento friulano e della stessa Repubblica di Venezia, il 13 giugno 1408 il patriarca fu deposto e il 1° agosto successivo i suoi sudditi furono sciolti dal vincolo di obbedienza. Udine si schierò allora con Pancera, Cividale contro, aggravando una frattura che spaccava in due l’intero Friuli. Con Cividale si schierarono i Comuni di Gemona, Tolmezzo e Venzone e la nobiltà filoimperiale. Questo accadeva mentre la situazione generale della Chiesa volgeva drammaticamente al peggio. Gregorio XII quando notificò il nome del nuovo patriarca nella persona di Antonio da Ponte vescovo di Concordia nel marzo del 1409, era già stato abbandonato da gran parte dei cardinali di osservanza romana.
Nonostante la complessa situazione interna della Chiesa e il parere contrario della Repubblica, papa Correr nel dicembre del 1408 aveva annunciato la convocazione di un concilio generale, che effettivamente si aprì a Cividale il 26 maggio 1409 e si concluse, dopo poche sessioni, con la fuga del papa dalla città il 6 settembre successivo. Alcuni frammenti di codici musicali utilizzati dalla cappella papale in questa circostanza e altri frammenti della Cancelleria di Gregorio XII, riscoperti negli ultimi decenni, confermano lo sfortunato episodio del concilio in terra friulana (Scalon, 1987; Scalon, 2012).
I cardinali di entrambe le osservanze, romana e avignonese, avevano nel frattempo convocato un loro concilio a Pisa nel tentativo di porre fine allo scisma; una delle prime delibere di questo consesso fu quella di deporre entrambi i papi e di eleggere al loro posto, il 26 giugno, un nuovo papa, Alessandro V, che non tardò a confermare Pancera sulla cattedra aquileiese. Pancera aveva tentato in tutti i modi di ostacolare la venuta di Gregorio XII in Friuli e fu tra i fautori della sua fuga da Cividale. Entro la fine di settembre chiamò in giudizio tutti gli ecclesiastici che avevano ricevuto benefici da Correr, imponendo un giuramento di fedeltà nei confronti di Alessandro V. La drammatica situazione che si era creata sul piano religioso e politico sfociata in un conflitto armato tra le parti nell’agosto del 1410, unitamente all’intromissione nelle vicende della Patria di Federico di Ortenburg nominato vicario imperiale per il Friuli e, infine, le preoccupazioni vivissime di Venezia per la sicurezza delle vie di comunicazione verso il nord, convinsero alla fine tutte le parti in causa della necessità di allontanare Pancera, che non era più in grado di governare. Il 5 giugno 1411 Giovanni XXIII, succeduto ad Alessandro V, annunciò la nomina di Pancera a cardinale, intendendo con essa procedere al suo trasferimento. Ci fu un estremo tentativo di resistenza da parte del patriarca, ma l’ingresso in Friuli delle truppe del re Sigismondo d’Ungheria, alla fine di novembre, pose fine a una situazione ormai insostenibile. L’imposizione del cappello cardinalizio con il titolo di S. Susanna, il 6 aprile 1412, concludeva il patriarcato di Antonio Pancera. I due decenni successivi lo videro, non più protagonista di primo piano, ancora al seguito della corte papale di Giovanni XXIII prima, di Martino V e di Eugenio IV poi. Partecipò al concilio di Costanza (1414-18), dove contribuì alla destituzione di Giovanni XXIII e all’elezione del successore, che poneva fine allo scisma della Chiesa. Fu verso la fine del concilio, fra il 1417 e il 1418, che egli compilò il suo Codice diplomatico, ampia raccolta di documenti fatta per testimoniare le lotte in difesa del patriarcato e gli interventi nella politica generale della Chiesa (S. Daniele del Friuli, Biblioteca civica Guarneriana, Guarneriano 220). Rientrato a Roma nel 1420, prese dimora presso S. Biagio della Pagnotta, monastero romano sul Tevere, non lontano da S. Giovanni dei Fiorentini, datogli in commenda da Martino V. Qui, attorno al 1428, ospitò come familiare il giovane Guarnerio d’Artegna, che le fonti (Casarsa - D’Angelo - Scalon, p. 4) di questo periodo menzionano come «Guarnerius de Portugruario» o «Guarnerius de Zopula» e che divenne in seguito celebre per la sua biblioteca umanistica.
Morì a Roma il 3 luglio 1431, pochi mesi dopo che Eugenio IV gli aveva conferito il titolo di vescovo di Tuscolo.
Un prestito contratto dagli eredi nei confronti di Guarnerio d’Artegna consente di ricostruire almeno in parte la biblioteca del cardinale (Casarsa - D’Angelo - Scalon, pp. 5-6). L’elenco dettagliato dei libri comprende innanzitutto le fonti e i commenti del diritto canonico necessari all’esercizio delle sue funzioni: il Decretum di Graziano, le Decretali di Gregorio IX, il Sesto, le Clementine, i Commenti di Pietro di Ancarano e di Giovanni di Andrea, la Summa super rubricis Decretalium di Goffredo di Trani, i Sermoni di papa Innocenzo III. Non mancano però neppure i libri della classicità con la Retorica pseudo Ciceroniana, le Tragedie di Seneca, la Pharsalia di Lucano, il De re militari di Vegezio e le opere di Sallustio. Altri codici, confluiti più tardi assieme a questi nella biblioteca di Guarnerio d’Artegna, fanno pensare a interessi antiquari e a un coinvolgimento del cardinale nel contesto della nuova cultura umanistica: si vedano a questo proposito il libro delle Sentenze di Pietro Lombardo scritto per il cardinale Ardizzone da Rivoltella nella seconda metà del XII secolo (S. Daniele del Friuli, Biblioteca civica Guarneriana, Guarneriano 42) e i Notabilia Francisci Petrarche Rerum familiarium commissionato dallo stesso Pancera dopo la sua nomina a cardinale (Ibid., Guarneriano 138).
Fonti e Bibl.: J.F.B.M. De Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Venezia 1740, pp. 990-1036, e Appendix, pp. 15, 17-19; G.G. Liruti, Notizie delle vite ed opere scritte da’ letterati del Friuli, I, Venezia 1760, pp. 325-335; J. Valentinelli, Catalogus codicum manuscriptorum de rebus Forojuliensibus ex Bibliotheca Palatina ad D. Marci Venetiarum, pp. 346, 376, 387, 447; V. Marchesi, Il patriarcato di Aquileia dal 1394 al 1412, inAnnali del R. Istituto tecnico Antonio Zanon di Udine, II (1884), 2, pp. 135-189; Il Codice diplomatico di A. P. da Portogruaro, a cura di E. Degani, Venezia 1898; P. M. Baumgarten, Untersuchungen und Urkunden über die Camera Collegii Cardinalium, Leipzig 1898, ad indicem; L. Zanutto, Epistolario minore di A. P., in Bollettino della Civica Biblioteca e del Museo di Udine, IV (1910), pp. 225-230; V (1911), pp. 19-35, 75-77, 85-99, 152-161; C. Eubel, Hierarchia Catholica medii aevi, I, Monasterii 1913, I, pp. 32, 99, 201, 437; II, p. 4; E. Degani, La diocesi di Concordia, Udine 1924, pp. 233-236; Acta concilii Contanciensis, a cura di H. Finke, II-IV, Münster-Regensburg 1923-28, ad indicem; P. Paschini, Il cardinale A. Panciera, Zoppola 1932; C. W. Previté-Orton, Un manoscritto del “Cronicon patriarcharum Aquileiensium”, in Bollettino della Società filologica friulana, X (1934), pp. 94-101; C. Scalon, Libri scuole e cultura nel Friuli medioevale. «Membra disiecta» dell’Archivio di Stato di Udine, Padova 1987, pp. 54-77; La Guarneriana. I tesori di un’antica biblioteca, a cura di L. Casarsa et al., San Daniele del Friuli 1988, pp. 11, 94-98; L. Casarsa - M. D’Angelo - C. Scalon, La Libreria di Guarnerio d’Artegna, Udine, 1991, pp. 3-6; D. Girgensohn, Kirche, Politik und adelige Regierung in der Republik Venedig zu Beginn des 15. Jahrhunderts, I, Göttingen 1996, pp. 275-308; Id., La crisi del patriarcato d’Aquileia, in Il Quattro-cento nel Friuli occidentale, I, Pordenone 1996, pp. 53-68; V. Masutti, La zecca dei patriarchi di Aquileia. Uomini ed eventi dell’ultimo ventennio (1400-1420), Udine 2000, ad indicem; C. Scalon, De magno schismatedi Antonio Baldana, in Patriarchi, Quindici secoli di civiltà fra l’Adriatico e l’Europa centrale, a cura di S. Tavano - G. Bergamini, Ginevra-Milano 2000, pp. 327 s.; L. Gianni, Cardinale A. Panciera, in Diocesi di Concordia, a cura di A. Scottà, Padova 2004, pp. 335-340; D. Girgensohn, P. A., patriarca di Aquileia, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, I, Il medioevo, Udine 2006, pp. 628-641; C. Scalon, Un nuovo rotolo della Curia di Gregorio XII (novembre 1408 - marzo 1409), in Storie di cultura scritta. Studi per Francesco Magistrale, a cura di P. Fioretti, Spoleto 2012, pp. 767-782; I libri dei patriarchi. Un percorso nella cultura scritta del Friuli medievale, a cura di C. Scalon, Udine 2014, pp. 393-409.