MATTEUCCI, Antonio
– Nacque a Fermo il 15 marzo 1802 dal marchese Giulio Cesare e da Elisabetta Brancadoro.
Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne canonico della basilica di S. Pietro (1820), prelato referendario (7 maggio 1829), relatore della congregazione del Buon Governo, economo e segretario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro, primo assessore del tribunale del governo, prelato aggiunto alla congregazione del Concilio, membro della congregazione Lauretana, prelato domestico e protonotario apostolico soprannumerario.
Nell’ambito del dibattito sviluppatosi tra 1846 e 1847 sull’opportunità di riformare l’assetto del governo centrale e di affiancare a esso un organo consultivo il M. preparò un progetto che prevedeva la creazione di una Consulta di Stato, presieduta da un prelato ma formata da laici deputati dalle province, che avrebbe esaminato gli affari trattati da un Consiglio dei ministri interamente composto da ecclesiastici. Già relatore della S. Consulta dal 1844, egli ne divenne segretario e in quella veste, nell’autunno del 1849 – all’indomani del crollo della Repubblica Romana e in seguito alla liquidazione dello statuto, per via del quale la Consulta aveva interrotto dal giugno 1848 l’attività di tribunale per i reati politici –, vide affluire dalle province pontificie molte cause politiche. Seppur lo stesso M., nell’incertezza normativa caratterizzante la fase della restaurazione papalina, avesse espresso più volte i suoi dubbi circa la giurisdizione sui processi politici, fu ribadito che la Consulta aveva su di essi esclusiva competenza, secondo il regolamento di procedura criminale del 1831. E una delle condanne più eclatanti, tra le non poche su cui il M. appose la propria firma in qualità di segretario e presidente, nel teso clima postquarantanovesco, fu quella del patriota G. Simoncelli: vicenda che turbò profondamente Senigallia coinvolgendo la stessa persona di Pio IX e lasciando nel tessuto cittadino una persistente scia di lacerazioni tra laici e cattolici.
Vicepresidente del Circolo popolare di Senigallia (segretario Luigi Mercantini) e comandante della locale guardia nazionale, Simoncelli aveva rappresentato il baluardo della legalità repubblicana e svolto un’azione moderatrice in un territorio sottoposto alle continue vessazioni e minacce dei famigerati «ammazzarelli». Caduta la Repubblica egli, rifiutando la fuga, si presentò spontaneamente al giudice commissario P. Battelli e fu rinchiuso nel carcere di Pesaro. I relativi incartamenti pervennero alla Consulta il 9 dic. 1850 e, gravato da tre capi d’accusa – la connivenza con la setta degli ammazzarelli; il non aver saputo impedire l’invasione del palazzo del governatore R. Cervigni; il coinvolgimento nell’uccisione di due detenuti nella Rocca roveresca –, Simoncelli venne condannato a morte il 31 dic. 1851; ma, poiché la sentenza non era stata pronunciata all’unanimità, si rese necessario il giudizio di revisione che confermò la pena capitale il 17 febbr. 1852.
Il successivo 3 marzo il M. riferì al papa sull’andamento del processo. Risultato di un procedimento privo di concrete prove a carico dell’imputato ma basato, da una parte, sulle fragili e controverse testimonianze a lui contrarie e, dall’altra, sulla mancata acquisizione di quelle favorevoli, tale condanna avrebbe potuto essere commutata dall’intervento del pontefice, che ebbe 43 giorni di tempo, dal 21 febbraio al 4 maggio 1852, per esaminare l’incartamento. A questo materiale, dal 22 marzo, si aggiunsero la supplica delle sorelle dell’inquisito e le richieste di grazia pervenute al vescovo di Senigallia, D. Lucciardi, da parte di religiosi e cittadini in vista convinti dell’innocenza, tra cui la stessa sorella del papa Teresa Mastai Giraldi. Ma un rescritto firmato dal M. sgombrò il campo da ogni speranza; il M. confermò che nell’udienza papale del 4 maggio 1852 non era stato dato alcun ordine contrario e con lettera del 9 agosto dispose che si prendessero le necessarie precauzioni per la prevista esecuzione: informato dell’esito negativo delle suppliche solo il 1° ottobre, dalla stessa lettura della sentenza di morte, Simoncelli venne fucilato l’indomani mattina nella città natale presidiata da 400 austriaci.
Sul finire dello stesso anno il M. veniva supplicato, nella propria residenza di Fermo, di accogliere le testimonianze a favore di concittadini imputati di omicidio e poi decapitati nel 1855 tra l’indignazione popolare. Il 13 dic. 1852 egli fu nominato direttore generale di polizia (sedendo quindi in Consiglio dei ministri) in seguito alla morte, avvenuta l’8 novembre, del predecessore I. Rufini, ma conservò il segretariato della Consulta fino alla nomina di vicecamerlengo riportata dal Giornale di Roma in data 10 marzo 1853. L’ottenimento di tale carica costrinse il M. a lasciare per incompatibilità il canonicato del capitolo di S. Pietro; intanto il 15 apr. 1852 era stato nominato visitatore apostolico dell’Arciconfraternita della S. Casa di Loreto in Roma (poi Pio Sodalizio dei Piceni) che già lo aveva visto coadiutore dei predecessori, entrambi cardinali fermani: C. Brancadoro – che lo aveva autorizzato a riaprire nel 1836 il collegio ponendovi come rettore mons. G. Arpi – e Tommaso Bernetti, scomparso appunto nel 1852.
Va osservato che la figura del M. è stata spesso oggetto di sferzanti e severe valutazioni per via di una condotta morale notoriamente opaca: di lui si ricordano l’incontenibile debolezza per le donne e, in particolare, per la famosa amante Nina – donna sposata e di umili origini già amante del principe di Piombino, Antonio Boncompagni Ludovisi, conosciuta a Roma come «Nina di Matteucci» – e gli «eccessi polizieschi» manifestati persino nel controllo degli spettacoli (R. De Cesare, I, p. 73). Tra l’altro fu proprio all’indirizzo del M. che Anna Galletti di Cadilhac espresse il risentimento per l’accusa di meretricio scagliata contro le donne che, durante l’assedio di Roma, avevano con lei animato il comitato di assistenza ai feriti.
Le stesse circostanze dell’elevazione al cardinalato del M., avvenuta nel concistoro del 22 giugno 1866, hanno generato interrogativi circa le ragioni che indussero Pio IX – il quale, al corrente della sua condotta, pare fosse stato sul punto di indurlo alle dimissioni da governatore di Roma – a promuovere un personaggio tanto screditato: dubbi che hanno creato qualche difficoltà anche nel recente processo di beatificazione del pontefice.
Il M., tuttavia, morì a Roma il 9 luglio 1866, prima ancora di prendere possesso della titolarità di S. Giorgio al Velabro.
La nipote del M., Filomena Luisa Matteucci-Guarnieri, da lui stesso educata a Roma in quanto figlia del fratello Felice – viceconsole di Francia a Fermo e ad Ascoli Piceno – e di Luigia Guarnieri (unica erede dei conti Guarnieri di Montesanto), andando sposa nel 1857 al nobile senigalliese G. Monti diede vita al casato Monti-Guarnieri.
Fonti e Bibl.: Fermo, Biblioteca comunale R. Spezioli, Fondo Genealogia, Genealogia e stemma della famiglia Matteucci; Macerata, Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti: G. Natali, Diz. dei Marchigiani illustri (ms.), s.v.; A. Gennarelli, Il governo pontificio e lo Stato romano, Prato 1860, II, passim; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Roma 1907, I, pp. 72 s.; II, pp. 134, 140; G. Leti, Roma e lo Stato pontificio dal 1849 al 1870, Ascoli Piceno 1911, I, pp. 190-196; II, p. 86; L. Wollemborg, Lo statuto pontificio nel quadro costituzionale del 1848, in Rass. stor. del Risorgimento, XXII (1935), 2, pp. 592-594; C. Astolfi, Cardinali protettori dell’arciconfraternita della S. Casa di Loreto in Roma oggi Pio Sodalizio dei Piceni, in Studia Picena, XII (1936), p. 125; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana nei secoli XVIII e XIX, Roma 1971, I, p. 25; III, p. 263; IV, pp. 231 s.; C. Lodolini Tupputi, La Commissione governativa di Stato nella restaurazione pontificia, Milano 1972, p. 41; G. Martina, Pio IX: 1846-1850, Roma 1974, pp. 128 s., 139, 172; 1851-1866, ibid. 1986, pp. 36 s., 661, 670; M. Gasparrini, Invocato il Santissimo Nome, Fermo 2001, p. 43; La primavera della nazione. La Repubblica Romana del 1849, a cura di M. Severini, Ancona 2006, p. 216; C. Lodolini Tupputi, Sulla tacita soppressione dello statuto di Pio IX, in Rass. stor. del Risorgimento, XCIV (2007),p. 344; A corte e in guerra. Il memoriale segreto di Anna de Cadilhac, a cura di R. De Simone - G. Monsagrati, Roma 2007, p. 87; M. Severini, Girolamo Simoncelli. La storia e la memoria, Ancona 2008, pp. 52, 59 s., 73, 95; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XCIX, pp. 148-150; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare, Appendice, II, p. 292; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (G. Badii).