CURIAZIO, Antonio Maria
Nulla si conosce dei dati biografici né della formazione culturale di questo abate lombardo, storico ed economista, attivo fra l'ultimo trentennio del Settecento e i primi anni dell'Ottocento. La sua attività pubblicistica ebbe inizio a Milano. Pur non sempre originale e acuto, "i suoi libri e le sue polemiche. avevano non poco influito a tener desto l'amore per il passato della propria terra e a suscitare ... discussioni storiografiche", (Venturi, 1959, pp. 139-140). Nel 1771 uscivano a Milano le Tre lettere, dedicate al conte Carlo di Firmian. La prima era intitolata: Intorno alle Nazioni dette Barbare che hanno invasa ne' bassi secoli l'Italia; la seconda: In lode di Cornelio Tacito; la terza: Intorno al problema se all'Italia sia tornata più - di utile - o di danno la romana grandezza. In esse il C. poneva l'esigenza di studiare la storia non più secondo la tradizione politico-diplomatica, ma piuttosto secondo una visione economica e geografica che egli stesso cercò poi di applicare alla storia della Lombardia. Nello stesso anno 1771 vedevano la luce infatti, sempre a Milano, i suoi Prodromi ossia discorsi preliminari a tre libri della prima parte della compendiosa descrizione storico-politico-geografica di Lombardia, in cui il C. si proponeva di indicare ai giovani "le sicure vie a quella soda e ragionevole politica alla quale mal guidare potrebbero Tacito e Machiavello" (p. 4). L'opera suscitò un vivace dibattito storiografico nell'ambiente culturale milanese di quegli anni.
Pochi anni dopo, negli ultimi mesi del pontificato di Clemente XIV, ritroviamo il C. stabilito, non sappiamo per quali motivi né attraverso quali vie, a Roma. Probabilmente qui, infatti, ma con la falsa indicazione di Francoforte, uscirono nel 1774, anonime, le sue Riflessioni di un Filantropo sopra la sovrana legge degli Stati, in due volumi. L'opera, che i giornali letterari attribuirono senza difficoltà al C. e alla quale dedicarono ampi e attenti estratti e recensioni, era una vasta trattazione di carattere politico ed economico, in cui l'autore si prefiggeva "di conciliare il particolare interesse de' cittadini col generale dello Stato" sulla base dell'accettazione dei principi dell'assolutismo illuminato accordati però con quelli della religione. Egli delineava infatti una concezione paternalistica della sovranità aspirata al principio della "benevolenza" - basato a sua volta sulla religione e sulla giustizia -, e operante esclusivamente in vista del Vero utile dello Stato e del bene pubblico. Da questa premessa teorica, che conteneva anche alcuni elementi di giusnaturalismo e di contrattualismo ("da Dio, dunque, ed insieme dall'atto d'unione delle forze e, volontà, e dal sacrificio della libertà naturale fatta dagli uomini, alla propria sicurezza e al proprio comodo è emanata la somma potestà di chi regge ciascuna società civile ed il potere legislativo, cioè il diritto e la facoltà di applicare alle situazioni degli Stati le massime e i principj del gius naturale": I, p. 11), derivava l'esame, contenuto nel primo volume, dei fondamenti del potere coattivo, della proporzione delle pene al delitto, dell'inutilità della tortura, dei mezzi, infine, atti a prevenire i delitti. Per raggiungere quest'ultimo scopo cure principali del sovrano "filantropo" dovevano essere l'eliminazione dell'"ozio de' sudditi" per mezzo dello sviluppo delle attività produttive, e, soprattutto, il mantenimento nello Stato dell'abbondanza dei viveri.
Il C. inseriva a questo punto un'ampia trattazione economico-finanziaria, nella quale raccomandava una scelta oculata da parte del sovrano dei settori su cui caricare i tributi per non gravare troppo. e quindi ostacolare, l'agricoliura e le manifatture, principali fonti della ricchezza degli Stati: del resto la tassazione eccessiva dei generi di prima necessità, sottraendo al popolo i mezzi di sussistenza, avrebbe favorito i disordini e i delitti. Perciò si dichiarava favorevole al mantenimento del regime regolamentario, basato sulla determinazione dei prezzi e sui magazzini annonari, pur condannando il monopolio dei. generi che tale sistema causava. La diminuzione delle gabelle sui generi di consumo essenziali e sui manufatti nazionali sarebbe stata compensata da una severa legislazione suntuaria. Quanto - alle spese pubbliche, il C. consigliava di investire molto denaro nell'agricoltura e nelle manifatture nazionali suggerendo ai sovrani, con una felice anticipazione delle moderne teorie sui prestiti produttivi, un largo ricorso, ove fosse necessario, al credito pubblito ed estero, perché con l'aumento delle entrate statali che sarebbe derivato da tali investimenti si sarebbe estinto il debito contratto, rimanendo allo Stato il possesso dei capitali impiegati (Ricca Salerno, p. 369).
Nel secondo volume il tema principale era quello della "virtù politica", la quale doveva avere per oggetto il pubblico bene, ma senza che l'utilità dello Stato fosse mai peiseguità a scapito dell'onestà: "buona costituzione è quella di. un popolo il cui sistema della felicità si fondi su quello dell'onestà" (II, p. 26). Nei capitoli IV e V, il C. tornava sugli argomenti economici, ancora una volta trattati secondo una cifra di filantropismo pedagogico e di assistenzialismo: la "virtù politica" che mira all'accrescimento della forza dello Stato individua nello sviluppo dell'agricoltura e delle manifatture. e nell'aumento della popolazione le fonti della ricchezza; a tale scopo estremamente importante era educare la popolazione alle attività produttive. Facendo ancora sue le tesi del popolazionismo settecentesco, che vedevano nel numero degli abitanti la forza di una nazione e l'accrescimento della popolazione direttamente correlato con lo sviluppo dell'agricoltura, egli redigeva (nel V capitolo) un dettagliatoi "Progetto di un Seminario di Agricoltura, e di Manifatture per accrescere la moltitudine in uno Stato ricco di fertili campagne, ma potero di Agricoltori", che sembrava riferirsi alla situazione agraria dello Stato ecclesiastico (II, pp.. 103 ss.). Il progetto, che venne interamente pubblicato dall'Antologia romana, I (1775), nn. 31-33, si proponeva di liberare lo Stato dal peso dei poveri fornendo loro una formazione professionale e un lavoro: esso risente tanto delle nuove concezioni utilitaristiche che andavano diffondendosi in Europa sul problema della mendicità, risolto con la istituzione di case di lavoro, quanto dei progetti utopistici settecenteschi dallo spirito geometrico e razionalizzante che troveranno applicazione in altri similari progetti di colonie agricole. Il C. proponeva infatti lo stabilimento in ogni. provincia di seminari agricoli e manufatturieri finanziati dallo Stato; gli allievi maschi e femmine, esposti, figli di mendicanti o anche di contadini, in numero di 800 l'anno, avrebbero dovuto ricevere una formazione professionale per nove anni, terminata la quale sarebbero stati trasferiti a formare una colonia. Tutta l'educazione degli alunni era minuziosamente regolamentata dal C., e finalizzata alla formazione di preparati agricoltori e operai ma anche di utili e buoni cittadini.
Nel 1775 le Novelle letterarie diFirenze pubblicavano un'egloga latina inviata da Roma dal C. sulla morte di Clemente XIV: In obitu Clementis XIV P. O. M. sub nomineIolae. Non si hanno di lui altre notizie fino alla pubblicazione, sempre a Roma, nel 1785, della sua Memoria sulla coltivazione del morogelso e sul miglior metodo dell'allevamento del baco filugello dell'abate A. M. Curiazio Socio della Reale Accad. delle Scienze ed Arti di Napoli, ed Accademico delle Società Georgiche di Montecchio, Corneto e Foligno, Indiritta alle medesime Società Georgiche. Questa, scritta per incarico di quelle società allo scopo di incoraggiare nello Stato ecclesiastico la produzione di seta, descriveva dettagliatamente le fasi della produzione e insisteva ancora sulla concezione dell'agricoltura come fonte primaria produttiva, alimentatrice delle manifatture e del commercio, inserendosi nel clima del cauto riformismo instaurato in campo economico da Pio VI e delle discussioni sullo sviluppo dell'agricoltura e delle industrie che caratterizzarono quel pontificato. Nello stesso anno, sempre a Roma, usciva anche una sua Istruzioneper coltivare il lino ela canepa d'Olanda ne' terreni dello Stato Pontificio. Contemporaneamente egli intratteneva folti carteggi con i maggiori rappresentanti del riformismo nello Stato ecclesiastico e fuori di esso, quali ad esempio Giovanni Cristoforo Amaduzzi e Luigi Riccomanni.
Negli anni '90 il C. era di nuovo a Milano, da dove scriveva all'abate N. Spedalieri, a Roma. sollecitando una pensione che lo sollevasse dalla condizione di miseria in cui si trovava (12 sett. 1792). Nella lettera, interessante perché da essa ricaviamo il rifluire dei C. su posizioni conservatrici che vedevano nell'alleanza trono-altare l'unica difesa possibile contro i pericoli rivoluzionari della "Parigina propaganda", egli esponeva dettagliatamente un suo progetto relativo alla costituzione di un "Ordine militare regolare", a carattere soprannazionale, i cui membri si obbligassero con solenni voti religiosi a una cieca obbedienza ai comandi sovrani; scopo di esso doveva essere la difesa "della Religione Cattolica e della Costituzione Monarchica" contro, "la moderna Pseudo Filosofia, che continua a spargere nelle Nazioni Europee le sue massime distruggitrici dell'Impero e del Sacerdozio" (Bibl. Apost. Vat. Ms. Ferrajoli 768, ff. 41-42). Egli rimaneva tuttavia fedele alla sua antica concezione di monarchia forte e centralizzata ma illuminata, dichiarando ancora una volta l'obbligo dei Sovrani "ad occuparsi nel formare la felicità de' Sudditi".
Qualche anno dopo il C. era a Venezia, dove, senza indicazione di data (ma nel 1802), pubblicò un curioso libretto intitolato Speculazione politica per istabilire in Venezia senza peso del regio erario e senza aggravio della popolazione due fondi primitivi ed un secondario che serviranno a mantenere 3000 mendici, 7000 educandi plebei, e 2000 educandi patrizi veneti poveri, dedicato all'imperatore Francesco II. In essa egli presentava alla nuova dominazione austriaca instaurata a Venezia un piano per risolvere il pressante problema dell'altissimo numero di bisognosi e mendicanti che si trovava nella città, proponendo perciò, ancora una volta, di istituire scuole e collegi per i patrizi poveri, case di educazione per i plebei, indigenti, e di rinchiudere gli accattoni impotenti al lavoro nei consueti alberghi dei poveri.
Non si conoscono il luogo e la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Il carteggio del C. con G. C. Amaduzzi è conservato a Savignano sul Rubicone, Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Carteggio Amaduzzi, vol. 13; il carteggio con L. Riccomanni è conservato, nell'Accademia georgica di Treja, b. 40; la lettera a N. Spedalieri si trova in Bibl. Apostolica Vaticana, Cod. Ferrajoli 768, ff. 41r-43r. Si vedano inoltre: Novelle letterarie diFirenze, n. s., VI (1775). coll. 68, 109-112; Effemeridi letter. di Roma, IV (1775), pp. 4-7, 30-32; Antologia romana, I (1775), pp. 244-247, 252-253, 260-264; E. A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 37, 768; G. Alberti, Le corporaz. d'arte e mestieri e la libertà del commercio interno negli antichi economisti italiani, Milano 1888, pp. 357, 358; G. Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanz. in Italia, Palermo 1896, pp. 368 s.; G. Natali, Voci di riformatori nello Stato pont. nel sec. XVIII, in Atti. e Mem. della R. Deputaz. di storia patria per le Marche, s. 4, IV (1927). p. 6; F. Marconcini, Le grandi linee della politica terriera e demografica di Roma da Gregorio I Magno a Pio IX, Torino s. d., p. 137; G. Gasperoni, Settecento ital., Contributo alla storia della cultura, I, L'abate G. C. Amaduzzi, Padova 1941, pp. 134, 255, 268; A. Canaletti Gaudenti, La politica agraria ed annonaria dello Stato pontificio da Benedetto XIV a Pio VII, Roma 1947, pp. 53 s.; V. Franchini, Gli indirizzi e le realtà del Settecento. econom. romano, Milano 1950, p. 292; E. Piscitelli, La riforma di Pio VI e gli scrittori economici romani, Milano 1958, pp. 129, 169, 193, 194 (vedi la recensione di F. Venturi in, Riv. stor. ital., LXXI [1959], pp. 139 s.); F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato pontificio del Settecento, in Riv. stor. ital., LXXV (1963), pp. 799, 813; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1964, p. 268, 283; R. De Felice, Aspetti e momenti della vita econom. di Roma e del Lazio nei secoli XVIII e XIX, Roma 1965, pp. 61, 68; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles., LXXXIV, p. 139.