MANCINELLI, Antonio
Nacque a Velletri, nel 1452, secondogenito di Giovanni e di Angela Pesanti.
Principali fonti sul M. sono le sue stesse opere, in cui egli profuse notizie autobiografiche. Nel poemetto Vitae sylva (Venezia, G. Tacuino, 1493; Indice generale degli incunaboli [IGI], 6055) riferisce che la famiglia si chiamava in origine Palombo, ma il soprannome dato al nonno, "Mancino", divenne Mancinelli (vv. 103-108). Del padre ricorda la partecipazione alle vicende politiche di Velletri (vv. 55-74) e l'impegno per l'istruzione dei figli (vv. 117-122). La madre morì ventottenne, dopo aver dato alla luce, oltre al M., altri quattro figli: Angela, Bernardino, Giacoma e infine ancora una femmina cui venne dato il nome della primogenita (vv. 44-54).
Dopo avere ricevuto la prima formazione nella città natale, assecondando la volontà paterna il M. studiò medicina e logica nell'Università di Padova, diritto civile a Perugia, a Pisa e di nuovo a Padova. Nel 1473 cominciò l'insegnamento pubblico a Velletri. Poiché i testi in circolazione non lo soddisfacevano, fin dall'inizio affrontò un intenso lavoro di preparazione del materiale didattico. All'estate 1474 risale la composizione dell'Epitoma seu Regulae constructionis e della Summa declinationis, che circolarono manoscritte tra i suoi studenti per un paio d'anni finché furono consegnate alle stampe nell'autunno 1476 (la Summa, Roma, B. Guldinbeck [Catalogue of books printed in the XVth century, IV, n. 70]; per l'Epitoma non sono documentati esemplari superstiti fino alla edizione S. Plannck, 1490 [IGI, 6060] e quella attribuita a E. Silber, 1490 circa [IGI, 6059]). All'anno seguente risalgono il De oratore brachylogia e il Regimen verborum (Roma, B. Guldinbeck [IGI, 6078, 6083]).
Il 18 giugno 1477 sposò Angela (non è noto il cognome), dalla quale ebbe otto figli: Porfirio, Marta, Prisca, Pindaro, Quinto, Festo, Aquilino, Tito (tre soli dei quali, Pindaro, Quinto e Festo, ancora in vita nel 1492).
In quel periodo il M. cominciò a comporre versi d'occasione sugli avvenimenti di qualche rilievo, privati e pubblici, di cui fu testimone.
Nel 1482 Velletri fu coinvolta nella guerra tra il re Ferdinando I d'Aragona e i Veneziani alleati del papa Sisto IV: le truppe di Alfonso, duca di Calabria, figlio di Ferdinando, occuparono le campagne intorno alla città, fino alla battaglia decisiva del 21 ag. 1482, che vide vittoriose le truppe pontificie. Il M. ricordò l'evento in tre epigrammi, dedicati ai martiri Ponziano ed Eleuterio, ai quali la città aveva fatto voto (Omnia opera, Venetiis, G. Tacuino, 1519, cc. 84v-85r).
Nel 1485 il M., peste fugatus, si rifugiò a Sermoneta, dove insegnò per un anno e continuò a lavorare ai suoi testi. Lì nacque probabilmente il De poetica virtute, citato nella prolusione al corso su Georgiche e Bucoliche tenuto nello Studio romano nel 1486-87, la cui prima edizione nota risale intorno al 1490 (IGI, 6059). Nel 1486 il M. era approdato allo Studium Urbis con un incarico che mantenne fino al 1490-91. Suoi promotori furono, a quanto trapela dalle opere di quegli anni, in primo luogo il giurista Domenico de' Buonauguri, lettore ordinario di diritto civile di sera, e il rettore Orso Orsini, che compare come dedicatario del Carmen de floribus nel 1488 (IGI, 6054) e successivamente del commento a Virgilio (Roma, E. Silber, 1490 [IGI, 10.237]).
Gli argomenti dei suoi corsi si possono ricostruire dalle opere: la lettera di dedica del Thesaurus de varia constructione (Roma, S. Plannck, 1490 [IGI, 6092]) a Domenico de' Buonauguri; quella a Orso Orsini del commento a Bucoliche e Georgiche; Sermonum decas (Roma, E. Silber, 1503, 1, 1-5); Vitae sylva, vv. 129 s.
Il M. inaugurò la cattedra nel 1486-87 con il corso su Bucoliche e Georgiche, proseguì commentando Giovenale, Valerio Massimo, Orazio lirico e in ultimo la Rhetorica ad Herennium. Di questo impegnativo programma, prima di lasciare Roma, diede alle stampe solo il commento a Virgilio, salutato dai distici di Pomponio Leto.
Il fatto merita menzione non solo per la statura del personaggio, che aveva contribuito personalmente all'edizione di Virgilio curata da Andrea Bussi e stampata da Sweynheym e Pannartz nel 1471 (IGI, 10.180), ma soprattutto perché in quegli anni Virgilio era stato oggetto dei corsi dello stesso Leto e, appena pochi mesi prima dell'edizione del M., Pomponio aveva sconfessato pubblicamente un'edizione pirata nata proprio dagli appunti presi da uno studente alle proprie lezioni (cfr. Zabughin). Il successo del commento del M. si consolidò negli anni a seguire, tanto da essere aggiunto dal 1491-92 a quelli di Servio, D. Calderini e C. Landino (IGI, 10.220).
I testi degli altri corsi universitari romani furono pubblicati a Venezia. Il commento oraziano uscì, per i tipi di F. Pinzi, editore Bernardino Resina, nel 1492 (IGI, 4887); nello stesso anno G. Tacuino stampò il commento a Giovenale, unitamente a quelli di D. Calderini e L. Valla (IGI, 5597); il Commentariolus in Rhetoricam ad Herennium fu stampato da S. Bevilacqua nel 1494 (IGI, 6067), preceduto da un'accorata difesa del M. della paternità ciceroniana dell'opera, che evidentemente iniziava a essere messa in dubbio.
Il commento oraziano, in particolare, ebbe una vasta fortuna editoriale: accompagnò sempre quello di Landino, dello Pseudo Acrone e di Porfirione nelle edizioni incunabole, poi fu il solo a essere stampato insieme con quello di Iodoco Badio Ascensio, a Parigi, nel 1503 e 1511. Nella dedica a Leto, datata 15 ott. 1492, il M. illustra lo stretto rapporto che secondo lui unisce il lavoro esegetico all'insegnamento. I punti salienti dell'interesse didattico della lettura di Orazio lirico sono individuati nel piacere estetico-letterario, nel valore filosofico e morale, e nelle informazioni storico-geografiche insite nei carmi.
L'attività nello Studio non esaurì gli impegni del M. a Roma. Non vennero meno l'impegno nell'insegnamento inferiore né l'abitudine di prepararsi da sé le opere di supporto alla didattica o, se già edite, di riproporle e divulgarle in veste più o meno rinnovata. Tra i suoi studenti, da quanto si desume da dediche e prefazioni alle opere pubblicate in questo periodo, vi erano i rampolli di eminenti famiglie.
Nella dedica della Spica (Roma, E. Silber, 1488 circa [IGI, 6085]) al vescovo di Caiazzo Giacomo da Sutri, il M. ricorda i nomi dei nipoti del presule, Filippo e Tullio, a lui affidati. Il Versilogus (Roma, S. Plannck, 1488 [IGI, 6093]) è dedicato al figlio di Domenico de' Buonauguri, Giovanni Michele. Gli stessi nomi ricorrono due anni dopo nella dedica del Thesaurus allo stesso Domenico. Ai nipoti di Giovanni Vitéz, ambasciatore del re d'Ungheria presso la S. Sede, è dedicato il Carmen de figuris (Roma, E. Silber, 1489 [IGI, 6053]), sorta di compendio in versi delle figure retoriche più importanti.
L'impegno del M. si estese anche a opere consolidate nell'insegnamento del latino. A dispetto degli sforzi dell'umanesimo di sbarazzarsi della tradizione grammaticale medievale, il Donatus e i Disthica Catonis restavano passaggio obbligato per chi volesse accedere allo studio del latino, ma secondo il M. andavano ripuliti dalla ruggine da cui il tempo e l'incuria avevano permesso fossero intaccati. Provvide allora a curarne una nuova edizione per i figli Pindaro, Quinto e Festo: il primo incunabolo superstite risale al 1491 (Roma, S. Plannck [Gesamtkatalog der Wiegendrücke, n. 9019]), ma dal 1487 doveva circolare un'altra edizione di cui non risultano oggi esemplari, ma di sicuro attestata da almeno un'altra testimonianza dello stesso M., la dedica a Battista Gorio, protonotario apostolico, della ristampa delle due opere eseguita dal Plannck nel 1490 (IGI, 6060). Alla stessa data risale il De poetica virtute et studio humanitatis impellente ad bonum, raccolta di citazioni da poeti greci e latini (Roma, E. Silber [IGI, 6059]).
Dopo questa intensa attività, docente universitario e autore di successo, il M. lasciò Roma. Il motivo non trapela dalle sue opere, ma nel 1490-91 aveva un incarico di pubblico insegnamento a Fano, e nei due anni successivi, grazie alla mediazione di Pomponio Leto, era a Venezia, dove tenne con certezza lezioni private, mentre non sono attestati incarichi pubblici. In quel periodo l'attenzione del M. si concentrò sulle Elegantiae Latinae linguae di Lorenzo Valla, divenute una sorta di spartiacque nella storia degli studi grammaticali. Dallo studio delle Elegantiae trasse due opere: Lima quaedam Laurentii Vallensis, stampata insieme con le Elegantiae (Venezia, F. Pinzi, 1492 [IGI, 10.095]), e un'Epitome (Venezia, S. Bevilacqua, 1494 [IGI, 6067]).
La Lima si propone già nel titolo l'ambizioso scopo di rintracciare, integrare, correggere lacune o imperfezioni nel lavoro del Valla. Consapevole di mettere mano all'opera monumentale di un umanista considerato ormai quasi alla stregua degli autori classici, il M. espose nelle due lettere introduttive, a Niccolò Rossi e ai lettori, premesse metodologiche tratte dalle tesi enunciate dal Valla, riportando un ampio brano del prologo del libro VI delle Elegantiae. L'opera era diretta alla comunità degli studiosi, ma la consapevolezza che i suoi referenti principali restavano studenti e insegnanti lo spinse subito dopo a redigere una versione scolastica delle Elegantiae: l'Elegantiae portus (Venezia, S. Bevilacqua, 1494 [Hain, n. 10.061; IGI, 6067, ma incompleto]), dove gli studenti potevano avere facile accesso al sapere profuso nell'opera maggiore, ridotta in ordine alfabetico.
Intanto l'interesse per la retorica si concretizzò nello Scribendi orandique modus, stampato a Venezia (S. Bevilacqua, 1493 [IGI, 6072]), mentre dava contemporaneamente vita a numerose ristampe di opere edite, che egli si premurò per lo più di curare personalmente e corredare di dediche a personaggi veneziani. Particolarmente importante doveva essere il legame con Niccolò Rossi, canonico di S. Leonardo, che lo aveva ospitato all'arrivo a Venezia, se il M. dedicò a lui tre ristampe delle Regulae constructionis (Hain, nn. 10.605-10.607), il commento a Giovenale, l'edizione della traduzione valliana di Erodoto (Venezia, C. de' Pensi, 1494 [IGI, 4695]) e la Lima. A Girolamo Omfredi Giustinian, protonotario apostolico, è dedicato il commento alla Rhetorica ad Herennium.
Con la dedica della traduzione di Strabone eseguita da Guarino Veronese (Venezia, G. Rosso, 1494 [IGI, 9174]) a Giustino Carosio, avvocato concistoriale, intimus papae, il M. preparò il ritorno in patria e la possibilità di un rientro a Roma (né dimenticò di menzionare nella dedica un altro personaggio importante: Battista Gorio). Terminato l'anno accademico 1493-94, lasciò Venezia per tornare a Velletri e riprendere il vecchio incarico di professore pubblico, accettando uno stipendio inferiore a quello offertogli dalla Comunità di Sebenico in Dalmazia. Anche altre città si contesero la sua presenza: dovette declinare l'invito di Foligno per l'anno 1494-95, riservandosi la possibilità di accettare l'incarico in futuro.
Il rientro nella città natale coincise con il passaggio a Velletri del re di Francia Carlo VIII. Il M. salutò in versi l'arrivo del sovrano, la presenza di Cesare Borgia, poi il ritorno del re dall'impresa napoletana (l'epigramma XLIV, per il passaggio di Carlo VIII durante il viaggio d'andata, e il XLV, composto in occasione della sosta del re durante il viaggio di ritorno, in Teoli, p. 178; i versi a Borgia in Sabbadini, p. 13). Ancora agli avvenimenti di quegli anni sono dedicati i versi del 1496 per Francesco Gonzaga, e quelli per il Borgia in occasione dell'incoronazione di Federico d'Aragona, il 10 ag. 1497. Ma il M. non disdegnò di comporre un epitaffio anche per Antonello Savelli - membro di una delle famiglie che avevano manifestato aperta opposizione al papa -, morto nel 1498 combattendo a fianco dei Colonna contro gli Orsini, altra famiglia romana cui il M. in altra occasione aveva dichiarato riconoscenza. Quando nel 1502 mise mano alla raccolta e al riordino dei suoi epigrammi, scelse come destinatario dell'opera Gabriele Gabrielli, rientrato a Roma nel 1501 dopo aver seguito in Francia il cardinale Giuliano Della Rovere, in esilio volontario a causa dei contrasti con il pontefice.
Costretto da un'epidemia di peste a sospendere l'insegnamento, il M. approfittò della pausa forzata per raccogliere e sistemare i discorsi scritti per sé o per altri, editi nella Sermonum decas (Roma, E. Silber, 1503). Nell'estate 1497 riprese l'insegnamento a Velletri, ma l'anno seguente accettò un incarico a Orvieto a condizioni vantaggiose. Dopo avere soggiornato per un mese a Roma si trasferì nella nuova sede; la condotta per il 1499-1500 migliorò il trattamento economico, ma l'ennesima epidemia di peste vanificò ulteriori accordi e nel dicembre 1500 il M. era di nuovo a Roma con un nuovo incarico allo Studio procurato stavolta da Giustino Carosio, come ricordato nella lettera di dedica del De parentum cura et de filiorum oboedientia, iniziato a Orvieto nel 1500 e dato alle stampe a Milano nel 1502, insieme con altre opere, per i tipi di P.M. Mantegazza.
Il M. morì probabilmente a Roma nel 1505 (Teoli, p. 140).
Al M. si devono una ventina di titoli che coprono tutto l'arco dello studio della lingua latina, dalla grammatica elementare alla retorica, a cui vanno aggiunti i commenti ai classici, le raccolte di poesie e di discorsi. Sabbadini (pp. 36-40) ha diviso la sua produzione grammaticale in tre gruppi, ognuno dei quali copre uno stadio definito del programma di studi. Al primo appartengono il Donatus melior, un manuale elementare in forma catechetica, con inserzioni di volgare; il De arte libellus, un testo composto di insegnamenti tratti dai principali scrittori antichi di opere grammaticali e l'Emporium, una raccolta delle più comuni espressioni vernacolari con corrispondente forma latina. Il secondo gruppo si apre con la Summa declinationis, che contiene tutto quanto abbia attinenza con la declinazione di nomi, aggettivi e pronomi e con il genere dei nomi. La stessa materia è sviluppata in modo più chiaro nella Spica declinationum e nella Spica generum, dottrina dei generi secondo il criterio dell'uscita delle parole, in esametri. Compimento di questi due trattati è il Summae declinationis lexicon. Infine, il terzo gruppo comprende le Regulae constructionis, che contengono le coniugazioni di tutti i verbi con corrispondente costruzione; la Spica praeteritorum et supinorum, in esametri, che tratta più estesamente delle coniugazioni; il Thesaurus, un elenco alfabetico dei verbi più comuni con relative costruzioni. Il M. raccolse poi tutta la materia trattata nei tre gruppi di opere in una specie di antologia in esametri, i Flores, che comprendono, in ordine alfabetico, tutti i vocaboli e le nozioni indispensabili a una corretta conoscenza delle lingua latina.
Chi passava allo studio della retorica aveva a disposizione: l'Elegantiae lima, l'Elegantiae portus, il Versilogus, le Figurae, lo Scribendi orandique modus, il commento alla Rhetorica ad Herennium e i commenti ai classici.
Chiara, nell'opera del M., la determinazione a scrivere testi di uso scolastico: i destinatari che egli ha costantemente davanti sono maestri e studenti nella loro pratica quotidiana. Nessuno spazio alle speculazioni: lo sforzo costante è chiarire, semplificare, trovare una misura che superi le logiche della grammatica medievale senza cadere nella trappola di studi troppo specialistici. In questo senso trovano spazio le inserzioni di traduzioni in volgare e l'uso del verso, per facilitare la memorizzazione delle regole. Nell'introduzione al Carmen de floribus offre un modello di organizzazione del lavoro didattico. Il maestro deve dedicare la lezione del mattino alla spiegazione dei versi tratti dai carmi prescelti, avendo cura di soffermarsi sui vocaboli degni di attenzione e da mandare a memoria. Nel pomeriggio, ripetendo la lezione del mattino, deve interrogare tutti gli studenti, inducendoli a declinare le parole più difficili. Poi il sabato deve riepilogare, interrogando sulle lezioni di tutta la settimana.
I continui rimandi nelle sue opere non solo ai lavori già pubblicati, ma anche a quelli a venire, se da un lato ribadiscono il piano di studi a cui il M. dedicò tutta la vita, dall'altro tradiscono un chiaro intento autocelebrativo. Esemplare di questo atteggiamento è la Vitae sylva, aggiunta in calce alla ristampa, a Venezia presso G. Tacuino nel 1493 (IGI, 6055), di alcune sue opere. Già nelle intenzioni l'operetta autobiografica doveva restare aperta, e infatti dopo sette anni, nel 1500 (IGI, 6058), il M. non solo provvide a integrare il testo per il periodo trascorso, ma aggiunse ex novo sette distici che ripercorrono gli anni di insegnamento nelle diverse città: i Publica munia (IGI, 6084). Postumi uscirono gli Omnia opera (Venezia, G. Tacuino, 1519).
L'impegno profuso dal M. nell'insegnamento e nella redazione di opere grammaticali gli valse una considerevole fama nei secoli XVI e XVII. Erasmo da Rotterdam lo menziona tra coloro che non si attennero all'imitazione pedissequa di Cicerone (Erasmo da Rotterdam, Dialogus Ciceronianus, a cura di P. Mesnard, in Id., Opera omnia, I, 2, Amsterdam 1971, p. 667). Mentre a Parigi nel 1505 Iodoco Badio Ascensio curò l'edizione delle sue opere corredandole di un vero e proprio commento. Nel Seicento il M. è ancora inserito a pieno titolo nel canone dei grandi grammatici, addirittura anteposto al Valla da Girolamo Urbani (Discorso in difesa di Donato, et di Guarino, Camerino 1615). Tra Seicento e Settecento anche i suoi versi godono di una certa fama, tanto da venire annoverato tra i poeti illustri del Cinquecento nelle Delitiae CC Italorum poetarum huius superiorisque aevi illustrium (II, Francoforte s.M. 1608, pp. 6, 11) raccolte da Ranutius Gherus (Jan Gruytère), e nella raccolta Carmina illustrium poetarum Italorum (VI, Firenze 1720, pp. 156-163).
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