FORTEGUERRI, Antonio
Della illustre famiglia pistoiese dei Forteguerri, nacque il 3 nov. 1463 da Domenico di Iacopo e da Angiolina di ser Piero. Era il terzo di sei fratelli, tra i quali spicca Scipione, noto con lo pseudonimo grecizzante di Carteromaco.
Probabilmente fruì di una delle borse di studio (sei anni) istituita dal card. Niccolò Forteguerri, zio del F., ma non si hanno dati precisi sui suoi studi. Nel 1487-88 studiava legge a Roma. In seguito abbracciò la vita ecclesiastica e nel 1490 divenne in patria rettore degli ospedali di S. Lazzaro (carica già ricoperta dal padre) e di S. Maria Maddalena e quindi canonico della cattedrale. Come membro di una importante famiglia della città, non poté evitare di essere coinvolto nelle lotte civili tra le fazioni dei Cancellieri e dei Panciatichi. Nell'agosto 1500 presero il sopravvento i primi e il F. fu costretto all'esilio. Pur senza esporsi in prima fila negli scontri militari che proseguirono nel contado (i fratelli Francesco e Iacopo si distinsero nella battaglia di Serravalle del 27 apr. 1501), condivise la sorte degli altri esuli riparati a Firenze.
Nell'agosto 1501 un compromesso permise il rientro a Pistoia e alla fine di settembre il F. fu membro di parte panciatica della legazione che presentò i capitoli approvati congiuntamente dalle due fazioni al gonfaloniere fiorentino per la ratifica. Ma le lotte intestine ripresero presto e il 10 ag. 1502 il F. fu tra i principali esponenti dei due partiti ai quali il gonfaloniere fiorentino ordinò di consegnarsi alle autorità della Repubblica come misura preventiva. Nel settembre 1503, tuttavia, fu chiamato a Roma dal neoeletto Pio III Piccolomini, a cui si era nel frattempo legato. La repentina morte del nuovo papa, dopo soli 27 giorni di pontificato, vanificò tutte le speranze di una rapida carriera in Curia. Successivamente, in data ignota, il F. rientrò in patria, dove la sua presenza è attestata nel novembre 1510. Scarse le notizie per gli anni successivi durante i quali si occupò dell'amministrazione della diocesi e, sotto il vescovato di A. Pucci, svolse funzioni di vicario.
Morì a Pistoia il 22 genn. 1522 e fu sepolto nella chiesa di S. Paolo accanto ai fratelli Scipione e Francesco.
Il F. è autore di un canzoniere petrarchesco tramandatoci in due redazioni diverse da un codice della biblioteca privata della famiglia Forteguerri e dal ms. 2892 della Riccardiana di Firenze. Alcuni componimenti si trovano anche nel ms. A 58 della Bibl. Forteguerriana di Pistoia, contenente rime di T. Baldinotti, chierico pistoiese autore di due canzonieri e di rime burlesche, con il quale il F. fu in contatto almeno da quando, nel 1485, dopo essere stato coinvolto in una congiura antimedicea, il Baldinotti si ritirò nella sua villa di Ràmini presso Pistoia (sue rime dirette al F. sono nei mss. A 58 e A 60 della Bibl. Forteguerriana). La redazione del canzoniere del F. conservata dal codice familiare ammonta a 212 sonetti e 8 canzoni (tra le quali sono comprese diverse sestine e una ballata), che furono trascritti a più riprese probabilmente per una copia destinata alla circolazione tra amici. La raccolta del codice Riccardiano, più copiosa, consta di 277 sonetti, 5 canzoni e 4 sestine.
Elementi intrinseci consentono di datare le due sillogi: il codice familiare, redatto nella prima sezione nel 1489, arriva ad accogliere rime posteriori al 1500, mentre i riferimenti alle lotte civili pistoiesi collocano il Riccardiano dopo l'esilio e la chiamata a Roma da parte di Pio III. Se si accoglie la data simbolica del venerdì santo del 1482, in cui il F. fissa il suo innamoramento, anche come termine post quem della sua attività di verseggiatore, essa si estenderebbe dunque per oltre un ventennio con caratteristiche di continuità e sistematicità, come testimoniano le numerose correzioni contenute nel codice Riccardiano.
Il canzoniere del F., o Liber amatorius, come è intitolato nel codice forteguerriano, aderisce in pieno al modello petrarchesco di cui vengono ripresi temi e situazioni, forme metriche e linguaggio, quest'ultimo assimilato capillarmente fino alla ripetizione stereotipa di stilemi o al prelievo di tessere consistenti. Accanto affiora a tratti e in maniera più o meno scoperta la conoscenza di Dante e dei duecentisti.
Il tratto caratterizzante della poesia del F. consiste nell'espunzione dei toni estremi e nella consapevole declinazione di pochi selezionati nuclei tematici (in primo luogo quello degli occhi e del pianto come unico sfogo della passione che tormenta il poeta). Rispetto ad altri lirici antecedenti alla codificazione del bembismo ciò rappresenta senza dubbio un'assimilazione più attenta e fedele del lascito del Petrarca, tuttavia le forme castigate e misurate in cui essa si esprime comunicano una sensazione di uniformità e di freddezza che complessivamente costituisce un sensibile impoverimento del modello.
Il Liber amatorius è edito integralmente, con grafia troppo conservativa, da P. Bacci (Pistoia 1894). Numerose le edizioni parziali o antologiche. Nell'età dell'Arcadia i calibrati versi del F. non sfuggirono a G.M. Crescimbeni che ne diede un saggio nell'Arcadia, Roma 1708, p. 158, e nei Commentarii intorno alla storia della volgar poesia, II, 2, Venezia 1730, p. 329. Nell'800 rime del F. furono pubblicate tra le Poesie italiane inedite, a cura di F. Trucchi, III, Prato 1847, pp. 6-44 e nel Parnaso italiano, XII, Venezia 1851, coll. 149 s., oltre che in svariate pubblicazioni "per nozze".
Fonti e Bibl.: V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, pp. 183 s.; F. Flamini, Il canzoniere ined. di A. F. poeta pistoiese dell'estremo Quattrocento, Pisa 1893; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 77 s.