CREMONA, Antonio
Nacque a Milano, come si deduce da una lettera indirizzatagli da Leonardo Bruni ("quandoquidem tu Mediolanensis es": Epistolarum..., VII, 5, pp. 90-92), all'inizio del sec. XV.
Il C. non va confuso quindi con il minorita Antonio da Cremona, morto nel 1575, di cui parlano il Mazzuchelli (Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 9267, f 435r) e molti repertori francescani. Tutto quanto sappiamo di lui va dal 1429 al 1436 ed è strettamente connesso al sodalizio affettuosissimo che lo legò ad Antonio Beccadelli. Il Corbellini (e dopo di lui il Resta) lo dice "segretario ducale e ma i suoi incarichi pubblici non dovevano essere tanto importanti, visto che non troviamo il suo nome in nessuna delle recenti pubblicazioni sulla Cancelleria viscontea e sui suoi registri.
Il C. fu al seguito di personaggi autorevoli, come Francesco Barbavara e Domenico Feruffini; nel 1431 fu inviato a Pavia "ad pecuniariam provinciam", alle dipendenze di Cambio Zambeccari. Nel marzo 1432 fu mandato dal duca Filippo Maria Visconti in Toscana, probabilmente per portare danaro al condottiero ducale Ludovico Colonna, impegnato nella vittoriosa campagna contro i Fiorentini. Dalla spedizione tuttavia ritornò presto, tanto che nell'aprile era già a Milano, e nel maggio scriveva a Corrado Vimercate perché favorisse l'incoronazione del Panormita a "poeta aulicus" da parte dell'imperatore Sigismondo, che allora si trovava a Panna.
Per l'attività di intermediario spesso esercitata in favore dell'amico e maestro, il C. fu da lui chiamato "Mercurius" e "internuntius". E per l'amore sfrenato del vino, spesso preferito agli studi plautini, fu detto, sempre dal Beccadelli, "Bacchius". Amò tre donne. In primo luogo Elisa, detta "imperatrix", in onore della quale il Panormita scrisse alcuni tra i suoi versi più belli: per lei il C. rischiò di rompere persino l'amicizia col suo maestro, che lo aveva esortato ad amarla in modo non platonico, ma epicureo. Poi Ambrosia, anche questa cantata dal Panormita; e infine Marchia, in onore della quale il C. compose personalmente la sola elegia che ci resta di lui.
Nel 1433 sembra che il C. sia caduto in disgrazia presso il Visconti: certo si è che da Genova, dov'era andato per seguire Francesco Barbavara, anche lui allontanato, quasi in esilio, come console di Savona, egli inviò due lettere apologetiche, una a Gerardo Landriani e a Francesco Pizolpasso, del 10 luglio (Corbellini, pp. 283 s.) e l'altra, del 15 agosto, al solo Pizolpasso (Sabbadini, pp. 50-53). Nel 1434 il Beccadelli lasciò definitivamente Pavia e Milano, per passare al servizio di Alfonso d'Aragona: probabilmente in quello stesso anno il C. maturò la decisione, imprevedibile per un discepolo del Panormita, di abbandonare la vita spensierata, gli studi umanistici e la carriera amministrativa, per farsi frate minore nel convento di S. Iacopo, presso Pavia. Sulla sua conversione ci restano due lettere non datate, entrambe pubblicate dal Sabbadini (pp. 45-50): una a frate Beneiletto, l'altra, del 15 maggio, ad Antonio Pessina. Tali lettere vanno attribuite non al 1442, come pensava il Sabbadini, ma al 1436, secondo il più logico ragionamento del Corbellini, che del C. è il biografo più attento e preciso.
Dopo tale data, non abbiamo del C. più alcuna notizia.
Del C. ci restano moltissime lettere: il Resta ne contò trentasette indirizzate al Panormita; un'altra trentina, sue. o di corrispondenti, testimonia la fitta rete di rapporti che egli ebbe con molte personalità più o meno illustri del suo tempo, come i cardinali Girolamo Landriani e Francesco Pizolpasso e gli umanisti Guarino Veronese, Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla ecc. Alle lettere finora conosciute altre se ne sono aggiunte, segnalate dal Kristeller nel suo IterItalicum e dal Sottili nei suoi spogli petrarcheschi delle biblioteche della Germania Occidentale. Di tali lettere solo poche furono pubblicate dal Sabbadini e dal Corbellini. Le altre attendono, come molti altri epistolari umanistici, di essere ordinate cronologicamente e pubblicate. Edita, ma falsamente attribuita al Beccadelli, è la sua elegia per Marchia: "Italides inter formosior una puellas" (Cinquini-Valentini, p. 27). Gli editori la trassero dal codice Barb. lat. 643, f 92r (dove sono anche due brevi epigrammi dello stesso C.), ma l'elegia si conserva anche, come segnala il Kristeller, nel codice 271 (ff. 144v-145r) della Biblioteca Classense di Ravenna; in entrambi i codici l'elegia è chiaramente attribuita al Cremona.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 3372, ff. 42v-56v (trenta lettere del C. al Beccadelli, raccolte da quest'ultimo); L. Bruni Epistolarum libri VIII, a cura di L. Mehus, Florentiae 1741, pp. 90 ss.; Ph. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 497; R. Sabbadini, Cronologia della vita del Panormita e del Valla, Firenze 1891, passim e pp. 56 s.; A. Cinquini-R. Valentini, Poesie latine ined. di Antonio Beccadelli, detto il Panormita, Aosta 1907, pp. 27 s.; R. Sabbadini, Ottanta lettere ined. del Panormita, tratte dai codici milanesi, Catania 1910, pp. 45-53; L. C. Bollea, Un codice umanistico vercellese, in Boll. storico-bibliogr. subalpino, XXVI (1924), pp. 278-310; A. Corbellini, Note di vita cittadina e univers. Pavese nel Quattrocento, in Boll. della Soc. pavese di storia Patria, XXX (1930), pp. 92-119; G. Resta. L'epistolario del Panormita. Studi per un'edizione critica, Messina 1954, pp. 160-176; E. Garin, La cultura milanese della prima metà del XV sec., in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 596 s.; A. Paredi, La biblioteca del Pizolpasso, Milano 1961, pp. 202-206; A. Sottili, I codici del Petrarca nella Germania Occidentale, in Italia medioevale e umanistica, XI (1968), pp. 372 s.; XII (1969), p. 441; XIV (1970), pp. 394-398; L. Capra, Contributo a Guarino Veronese, ibid., XIV(1971), p. 132; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 81.