CICCARELLI, Antonio
Nato a Foligno nel sec. XVI, non si sa in quale anno, discendente da un Giacomo Ciccarelli che era stato segretario di Bonifacio IX. e Martino, V, il C. si recò certamente a Roma a compiere gli studi. Qui si addottorò in teologia e probabilmente intraprese la carriera ecclesiastica entrando nella Compagnia di Gesù. Al tempo di Sisto V (1585-1590), quando la politica culturale delineata dal concilio tridentino (dopo l'esperienza traumatica del primo Index librorum prohibitorum del 1559) individuò nel "donec corrigatur" una tipica formula compromissoria e pragmatista atta a sana e la profonda contraddizione, tipica di questo periodo, fra utile politico e giusto etico, anche al C., insieme con molti altri "operai della reazione" fu affidato il compito, spesso improbo e sempre ingrato, di svolgere, nell'anonimato, il lavoro di revisione e censura dei libri posti già all'Indice oche avrebbero dovuto esserlo, al fine di soddisfare all'emendatio richiesta.
Tra le opere che il C. ebbe il compito di "ripulire" da tutto ciò che non corrispondeva alle regole stabilite dalla Congregazione conciliare per l'Indice e pubblicate nel 1564, si trova Illibro del Cortegiano del Castiglione. Il testo emendato venne pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1584 con la specificazione dei nome del censore. La direzione dell'intervento correttivo è quasi esclusivamente quella che è stata chiamata "profanizzazione" del racconto nell'intento preciso, quanto ottuso e sciocco, di eliminare qualsiasi riferimento (sia in negativo che in positivo) agli uomini del clero e agli istituti ecclesiastici. Così, per esemplificare, nel secondo libro si modifica il discorso del Bibbiena sulle facezie nei vari punti in cui esso si fa scabroso con riferimento a cose e persone sacre; ugualmente nel capitolo LVIII dello stesso libro il vescovo di Potenza, diventa un podestà; ma gli interventi di questo tipo sono numerosissimi e tutti collocano l'operazione del C. all'interno della dominante logica ipocrita fondata sul principio del si non caste tamen caute, insistendo tenacemente ad escludere, come si diceva, ogni riferimento, diretto o indiretto, alla Chiesa romana e alla sua gerarchia a qualsiasi livello.
Un lavoro simile su di un'opera tanto celebre e la dedica di esso a Francesco Maria II Della Rovere duca di Urbino permettono al C. di allargare il primo campo di azione fondandosi sulla forte protezione acquisita con questo preciso merito e concretizzatasi immediatamente con il dono di una collana d'oro che il duca gli invia in cambio della dedica. Ha inizio così una corrispondenza che sottolinea le tappe principali della carriera del C. attraverso la pubblicazione delle sue opere storiografiche e teologiche di cui dà tempestivamente notizia al suo protettore.
Nel 1585 comunica al duca (cfr. Sorbelli) il suo lavoro di correzione e di rimeditazione sulle prediche dei Seripando. Due anni dopo gli invia alcune delle vite dei pontefici che aveva già approntato affinché il duca potesse liberamente intervenire a modificare a suo piacere quelle parti che riguardavano le azioni dei suoi antenati. Ugualmente nel 1595 avverte il suo protettore che i discorsi sulla storia di Tito Livio sono quasi terminati e in questa occasione chiede la sua intercessione (già sollecitata anche al cardinale Paleotti) presso monsignor Paolini, vicedatario del papa, per ottenere una pensione in riconoscimento dei servizi resi alla Curia con le sue opere di ubbidiente scrittore.
Con i Discorsi sopra Tito Livio, opera collocata consapevolmente all'interno della problematica intorno al machiavellismo e al tacitismo, il C. ha inteso riportare l'attenzione da Tacito, fin'ora privilegiato proprio in funzione polemica, a Livio, sul quale il Machiavelli aveva elaborato la propria teoria poligca, per dimostrare esplicitamente come fosse più corretto giungere a posizioni confacenti alla strategia politica ecclesiastica di questi anni partendo dalla analisi del testo liviano.
È curioso come il C., riuscendo a non citare una volta sola il nome del Machiavelli, suo ovvio interlocutore, svolga la propria interpretazione liviana a volte in netto contrasto, a volte discordando solo su alcuni punti e a volte persino convalidando le affermazioni dello scrittore fiorentino e facendo proprie le parole di quello. Nel complesso tuttavia questa rimane l'opera di un mediocre maestro di teologia che cita continuamente i santi padri usando una "forma slombata e scorretta" (Cian), nel tentativo di elaborare la teoria della fondazione di uno Stato buono guidato da principi cristiani e pii i cui valori dovrebbero basarsi su una sintesi di realismo politico e di morale cattolica.
Ancora nell'aprile 1598, quando già i Discorsi erano stampati, il C. attendeva la sperata pensione a cui fa ancora cenno nel settembre dello stesso anno, in un'altra lettera al duca (cfr. Cian, pp. 686 ss.).
Morì a Roma il 10 nov. 1599.
Opere: B. Castiglione, IlCortegiano corretto, Roma 1584 (ristampa, ibid. 1593; successivamente ebbe una ed. post., Venezia 1606); Luis de Granata, Rosario della Vergine Maria ristampato conle meditaz. di A. Ciccarelli, Roma 1585; G. Seripando, Prediche sopra il simbolo degli Apostoli con meditaz. sopra l'istesso simbolo apostolicofatte da A. Ciccarelli, Roma 1586; Vite de pontefici, Roma 1587 (ristampa, ibid. 1588); Vite degli imperatori romani, Roma 1590; B. Platina, Historia delle vite de' sommipontefici alla quale sisono aggiunte le vite degli altri Papi scritte dal signor A. Ciccarelli, Venezia 1592; Discorsisopra Tito Livio, Roma 1598.
Fonti e Bibl.: A. Sorbelli, Inventarii dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XLVIII, Firenze 1931, p. 78; P. A. Canonherius, Dell'introduz. alla Politica, alla Ragion di Stato et alla pratica del buon governo, Trognesio 1614, pp. 39, 323; Id., In septem aphorismorum Hippocratis libros... interpretationes, I, Antverpiae 1617, pp. 4, 405; T. Réinkingk, Tractatus de regimine secul[ari] et eccles[iastico], Francofurti 1651, p. 4; L. Iacobilli, Bibliotheca Umbriae sive de scriptor. provinciae Umbriae, Fulgimi 1658, p. 48; C. Colerus, De studio polit. ordinando epistola, in G. Nauadaeus, Bibliographia politica, Francofurti 1673, p. 211; G. Nauadaeus, Bibliogr. militaris, Ienae 1683, p. 116; G. Fontanini-A. Zeno, Bibl. dell'eloquenza italiana, Venezia 1753, I p. 144 n. 2; II, pp. 289, 355; G. Tiraboschi Storia della letter. italiana, IV, Milano 1833, p. 41; A. A. Renouard, Annali delle edizioni aldine, Parigi 1834, p. 254 n. 2; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia, 1873, pp. 133-1136; V. Cian, Un episodio della storia della censura in Italia nel secolo XVI. L'edizione spurgata del Cortegiano, in Arch. stor. lombardo, s. 2, IV (1887), pp. 661-727; J. G. T. Graesse, Trésor de livres rares et précieux, II, Berlin 1922, p. 156; G. Ferrari, Bibliogr. dei politici ital. ed esteri, in Gliscrittori politici italiani, Milano 1929, pp. 606, 645; T. Bozza, Scrittori politici ital. dal 1500al 1650, Roma 1949, pp. 93 s.; C. Gurcio, Caratteri e momenti del pensiero polit. umbro, in Studiin on. di L. Rossi, in Annali della facoltà di giurisprudenza della Università di Perugia, LIX-LX (1949-52), pp. 128-30; L. v. Pastor, Storia dei Papi, Roma 1955, IX, p. 892 n. 1; X, ad Indicem;A. Rotondò, Nuovidocum. per la storia dell'"Indice dei libri proibiti"(1572-1638), in Rinascimento, s. 2, III (1963), pp.10, 159; R. de Mattei, Un cinquecentista confutatore del Machiavelli: A. C., in Arch. stor. ital., CXXV(1967), I, pp. 69-91. N. Longo, Prolegomeni per una storia della letteratura italiana censurata, in La Rassegna della letter. italiana, LXVIII (1974), p. 410; G. Moroni, Diz. d'erudiz. storico-eccles., XXXII, p. 309.