BAIAMONTI, Antonio
Nato a Spalato in Dalmazia, il 3 sett. 1822, da nobile famiglia probabilmente originaria di Parenzo in Istria, e divenuta spalatina da oltre trecento anni, il B. ricevette nelle scuole di Spalato la sua prima educazione, integrata dal contributo di pensiero, aperto e liberale, di due sacerdoti, G. Ciobarnich e l'abate F. Carrara, al quale ultimo si deve l'inizio degli scavi a Salona e le prime ricerche sulle tradizioni popolari dalmate. Nonostante certa propensione per gli studi storico-letterari, il B., iscrittosi nel 1841, secondo una consuetudine secolare in Dalmazia, all'università di Padova, si laureò in medicina e chirurgia nel 1849 con una dissertazione latina, De scabie, stampata a Padova nel 1849.
A Padova, nel clima aperto e fervido di quel centro universitario, cui convenivano giovani da tutto l'Impero e dall'estero, il giovane B. si iniziò alla vita politica, facendo proprie le idee di origine democratica e mazziniana riguardanti la lotta per l'emancipazione nazionale di Italiani e Slavi contro l'Austria. Tali idee portarono nel 1848 il B. a militare, fra i primi, nella guardia civica di Spalato, la cui municipalità aveva votato l'unione a Venezia insorta. La laurea lo ricondusse definitivamente a Spalato, dove il 6 ott. 1849 sposò Luigia Crussevich. Subito dopo iniziava la professione come medico condotto nella vicina Signi.
Fu, questo, un breve momento, perché la salute delicata, poco adatta alla dura vita del medico condotto di un paese di montagna, l'indipendenza consentitagli dal cospicuo patrimonio familiare, e soprattutto il bisogno, veramente sentito, di dedicare tutto se stesso alla vita politica e amministrativa della sua piccola patria dalmata, lo spinsero nel 1851 ad abbandonare la professione.
Il decennio circa che va sino alla sua elezione alla carica di podestà di Spalato (1860) può considerarsi di preparazione e di maturazione per i compiti nuovi e le più impegnative responsabilità politiche e amministrative.
Animato dal desiderio di far uscire Spalato, e con essa tutta la Dalmazia, dalla stagnante atmosfera segnata dalla mancata attuazione della costituzione del 4 marzo 1849, il B. si occupò soprattutto di problemi economici - ferrovia, porto, commercio, costruzioni edilizie - cercando di inserire la Dalmazia in quel vigoroso processo di ammodernamento che caratterizza il regime assolutista di A. von Bach. Di qui la richiesta (1856) di un porto moderno a Spalato che, nel quadro della vasta politica ferroviaria austriaca, segnata fra l'altro dall'apertura della linea Vienna-Trieste via Semmering, doveva essere congiunto, secondo il B., da una ferrovia sino al Danubio attraverso la Bosnia, in modo da dare alla Dalmazia, stretta fra i monti e il mare, un respiro economico centro-europeo. A tale indirizzo si ispira anche il progetto del B. di una linea regolare di vapori tra Spalato e Pescara (1863) e, nel 1870, la proposta presentata a Vienna di una ferrovia che da Spalato si congiungesse a Belgrado attraverso Sarajevo.
Idea centrale, dunque, del pensiero del B. era che la Dalmazia non dovesse isolarsi né dal suo naturale retroterra economico, né dalla penisola italiana: per lui - secondo l'allegoria di uno dei riquadri affrescati dal pittore triestino A. Zuccaro per il soffitto del grande teatro, di ben 1500 posti, costruito dal B. e inaugurato solennemente con i Lombardi alla prima Crociata di Verdi il 27 dic. 1859 - la Dalmazia doveva essere, come per il Tommaseo, l'elemento di unione e di conciliazione fra la civiltà dell'Oriente e quella dell'Occidente.
In realtà tutto questo fervore di attività civica male si conciliava con l'atmosfera politica segnata dal neo-assolutismo del Bach, e trovava solo appoggio nelle nuove aspirazioni che avevano cominciato a fermentare in Dalmazia dal 1848 in poi.
Sotto la spinta della predicazione mazziniana o dell' "illirismo" di L. Gaj, diventava sempre più sentito per gli Slavi come per gli Italiani il desiderio di libertà, di più definita individuazione nazionale, di elevazione sociale e di progresso in tutti i campi. Contro l'elemento conservatore ed austriacante unito alla burocrazia e alla casta militare austriache, e contro i cosiddetti "marcolini" auspicanti un ritorno anacronistico della Repubblica di Venezia, auspice il B. le correnti liberali e "democratiche" di Italiani e Slavi meridionali trovarono un punto di incontro nella Unione liberale. Per insofferenza verso il regime poliziesco, più volte. specie fra il 1852 e il 1856, si ebbero ripetuti incidenti fra elementi "liberali" di Spalato e ufficiali austriaci: il B. vi si trovò implicato, tanto da subire un breve arresto (1853).
Il B. si dedicò anche a una certa attività giornalistica, briosa e vivace, quale corrispondente da Spalato della Rivista Dalmata di Zara. La rivista, sorta il 16 apr. 1859 e diretta dal letterato zaratino Luigi Frechert, si proponeva di conciliare in Dalmazia le due tendenze liberali, italiana e croata: ad essa il B. collaborò sotto lo pseudonimo, significativo e a tutti noto, di "dottor Linguaschietta". La rivista dovette cessare le pubblicazioni il 31 dicembre 1859.
I tempi, infatti, stavano mutando, sia in sede internazionale, sia sul piano interno, costituzionale, sia soprattutto nei rapporti fra Italiani e Croati in Dalmazia. La sconfitta diplomatico-militare aveva messo allo scoperto, agli occhi degli statisti austríaci, una seria crisi dell'impero asburgico, una certa inadeguatezza degli ordinamenti interni alle esigenze di uno stato moderno, minato, come l'austriaco, da grossi problemi nazionali. Di qui le ampie riforme costituzionali degli anni 1860-61, dettate dalla necessità di correggere l'eccessivo centralismo dell'era di Bach: esse diedero vita al Reichsrath bicamerale, al centro, e, alla periferia, alle diete provinciali. In Dalmazia, alla dieta provinciale di Zara, le elezioni inviarono ventinove dalmato-italiani e dodici slavo-dalmati, grazie alla legge elettorale che era favorevole alla borghesia cittadina, essenzialmente di stirpe e cultura italiane, piuttosto che agli Slavi delle campagne, assicurando una maggiore rappresentanza ai 30 o 50 mila italiani, rispetto ai 300.000 e più slavo-dalmati. Ecco dunque il primo elemento di contrasto, aggravato dalla contrapposizione di interessi, fra le masse contadine slave, sostenute dal clero, e i proprietari italiani, fra città e campagna; tale contrasto doveva segnare la fine della secolare, felice simbiosi italo-slava in Dalmazia. Per il momento, tuttavia, questo contrasto si avvertiva appena. Sul più ampio piano internazionale la guerra del 1859, l'impresa garibaldina e il vigoroso processo unitario nella penisola italiana, visto dagli Slavi meridionali come un esempio da seguire, avevano riproposto quel problema di un "limite" fra Italiani e Slavi che, nel quadro generale dello sviluppo dell'idea di nazionalità in tutta Europa, si era affacciato, per un momento, nel 1848-49. Le discussioni fra E. Kvaternik e l'ambiente cavouriano nel 1859-1861, i progetti di "scambio" fra la Bosnia Erzegovina e la Venezia del 1861-62 stavano a dimostrare come, anche con l'Austria in piedi, il problema fosse vivo e sentito. Esso, per gli uni e per gli altri, toccava anche il destino ultimo della Dalmazia, dove, scriveva il Tommaseo nel 1861, "né solo i sangui si sono commisti, le glorie e i dolori, le nobiltà e le speranze compenetratesi, ma scambiaronsi i nomi stessi...".
Dal 1860-61 in poi la particolare fisionomia storica ed etnica della Dalmazia (che lo storico ceco K. Jireček aveva definito "nazione a sé stante") suggeriva al Tommaseo, in sede di pensiero politico, e al B., in sede di azione pratica, una linea sostanzialmente concorde: rivendicare e difendere l'individualità della Dalmazia, la quale, come ebbe a scrivere il Tommaseo, "prima che croata o italiana è dalmatica", punto di incontro fra le due stirpi.
L'occasione per questa presa di posizione fu determinata da un appello rivolto, in croato e in italiano, dalla dieta di Zagabria il 19 dic. 1860 ai Dalinati, perché decidessero l'unione della Dalmazia alla Croazia. L'anno successivo la dieta di Zagabria rinnovò l'invito, in croato, ma ricevette un netto rifiuto da tutti i comuni della Dalmazia, meno due che si astennero. Intorno a questa polemica nacquero così i due partiti che presero a fronteggiarsi nelle amministrazioni locali, nella stampa e alla dieta di Vienna: gli "annessionisti", in maggioranza croati, favorevoli all'unione alla Croazia, e gli "autonomi", essenzialmente italiani, ma non solo italiani, favorevoli al mantenimento della individualità dalmata. A Spalato, capo riconosciuto degli "autonomi" era il B., il quale il 9 genn. 1860, vi era stato eletto podestà con i voti di Italiani e Slavi e contro la volontà di Vienna, ciò che sottolineava il consenso di tutti intorno alle qualità e alle capacità dell'uomo: egli conservò la carica di podestà, salvo una breve interruzione sino al 1882.
Uno dei suoi primi atti, nel 1861, fu la creazione del Gabinetto di lettura, quale mezzo di elevazione culturale per tutti, contrapposto all'ambiente esclusivistico del Casino nobile, e soprattutto la ricostituzione dell'associazione culturale croata Matica nel 1860, e l'istituzione di sette scuole croate, cinque nei villaggi e due nei sobborghi di Spalato. Il periodo delle amministrazioni del B. ("this remarkable man" lo definì nel 1864 la viaggiatrice inglese Strangford) è caratterizzato da una intensa attività economica di rinnovamento edilizio e civile, di provvidenze tempestive e lungimiranti apertamente sociali: casa di ricovero, officina del gas, rete di illuminazione pubblica, ospedale, fognature, restauro di chiese, scuole tecniche, la diga a difesa del porto (1870-72), la creazione della Società operaia con una cassa di mutuo soccorso (1872), espressione in Dalmazia del primo socialismo mazziniano, la fondazione della Banca commerciale Spalatina (1873); nel 1877, grazie alle insistenze spiegate per circa un ventennio dal B. sulla stampa, in consiglio comunale, alla dieta di Zara e a Vienna, veniva aperto al traffico, nel quadro del nuovo indirizzo austriaco di espansione verso la Bosnia, il primo tronco stradale tra Spalato e Siverici; il 13 marzo 1880, infine, riattato sulla base di studi iniziati dal B. sin dal 1860, veniva inaugurato l'antico acquedotto di Diocleziano.
Nell'opera generale di rinnovamento civile il B., oltre a impegnare il suo patrimonio personale, chiamò a raccolta tutte le forze della Dalmazia, degli Italiani come degli Slavi, e a questo fine, nel 1863, dette vita alla Associazione dalmatica, sotto forma di società azionaria anonima. Nettamente osteggiato dal governo austriaco, che lo accusò di essere a capo del movimento garibaldino a Spalato e di voler staccare la Dalmazia dall'impero, il B. fu allontanato, per oltre un anno, dall'atnministrazione della città (6 giugno 1864-17 sett. 1865); con una inchiesta sulle finanze del Comune e con pressioni su banchieri e agenti di cambio si impedì il collocamento delle azioni della società. Il B., non dandosi per vinto, pagò tutti e tutto, compresi 40.000 fiorini chiesti dal governo per la legale costituzione della società: la rielezione plebiscitaria a podestà e il suo insediamento il 17 sett. 1865 significavano il consenso di tutti per la sua opera a favore della rinascita della Dalmazia.
Lissa, come segnò la fine dei progetti di sbarchi garibaldini in Dalmazia, che avevano avvicinati Italiani e Slavi meridionali nell'intento di una insurrezione contro l'Austria, dalla Dalmazia alla Polonia, così diede inizio per l'Austria a una nuova politica in Dalmazia di più deciso intervento a favore dell'elemento slavo, col proposito di dare ad esso le amministrazioni locali, sino allora tenute dai dalmato-italiani. Principalmente preso di mira fu il podestà B., del quale non erano stati ignorati i contatti con l'ammiraglio C. Persano, a mezzo di due emissari, il garibaldino G. Giovannizio e il Boxich; il B. si trovò a combattere su due fronti, ora uniti, rappresentati dalle autorità austriache e dall'elemento slavo. Gli "unionisti" croati, dopo la trasformazione dell'Austria-Ungheria in monarchia costituzionale con l'Ausgleich del 1867, si posero su un piano di stretto "lealismo" asburgico, ed ebbero buon gioco presso Vienna nell'accusare a torto di "separatismo" la classe dirigente dalmato-italiana. La posizione di questa aveva il principale punto debole, difficilmente sanabile, nel problema sociale, nel contrasto fra la borghesia cittadina, proprietaria terriera, e le masse rurali slave. Di qui l'insistenza del B., ben desideroso di elevare l'elemento slavo, nel porre l'accento, per tutti, sul problema delle libertà dalmate. Significativo fu il successo personale riuscendo eletto deputato nel 1867 alla dieta provinciale di Zara e al Reichsrath di Vienna, proprio per aver saputo inalberare la bandiera dell'"autonomia" dalmata nei confronti di Vienna come nei confronti di Zagabria. Ma Vienna fu pronta a scardinare le posizioni del partito dalmato-italiano, con la sostituzione nella carica di govematore, dello zaratino barone L. Lapenna, con il croato J. Filipovič, cui successero il generale G. Rodić e quindi M. Jovanović. Il risultato si ebbe, nel 1870, con la conquista da parte dei Croati del Comune di Signi, vasto e popoloso, ciò che condusse il partito "unionista" croato a ottenere la maggioranza sia alla dieta provinciale, sia nella giunta. Esso, nel 1874, aveva trovato un capo deciso, senza scrupoli e freddo calcolatore in F. G. Bulat, il quale, anche se educato in Italia e laureato a Padova, prese a dirigere, appoggiato da Vienna, una lotta senza esclusioni di colpi contro il Baiamonti.
L'insurrezione della Bosnia-Erzegovina (che vide garibaldini italiani sbarcare, accolti con entusiasmo, a Zara e a Ragusa, dirigersi all'intemo e combattere come il gruppo più numeroso a fianco degli insorti) e poi la sua occupazione da parte dell'Austria (1878) furono decisive per le sorti del partito dalmato-italiano. Vienna e il partito unionista di Bulat, sostenuto dal vescovo J. J. Strossmayer, raddoppiarono gli sforzi e presero a minare la potenza finanziaria del B. e della sua Associazione dalmatica. Invano il B. profuse tutto il patrimonio suo e della moglie, e il denaro di amici che finirono col rovinarsi; duecento azioni fatte acquistare, su richiesta del Bulat, dal vescovo Strossmayer "ad un prezzo conveniente", contribuirono con opportune manovre a segnare il crollo finanziario dell'impresa, che nel 1881 fu posta sotto sequestro. Da questa parte, con l'accusa di collusione fra l'Associazione dalmatica e gli amministratori dei Comune, fu diretto l'attacco a fondo contro l'amministrazione comunale e il B., coinvolgendo l'onorabilità delle persone, mentre si prese occasione da certi incidenti dell'agosto 1880 fra alcuni membri della Società dei bersaglieri e alcuni militari austriaci, per calcare la mano contro il podestà. Il risultato di tutta questa azione combinata fu, il 31 ott. 1880, lo scioglimento del consiglio comunale di Spalato. Un incendio doloso, il 14 maggio 1881, distrusse il magnifico teatro costruito dal B. e a lui intitolato. Un anno più tardi, con la città occupata militarmente e una nave da guerra in porto con i cannoni puntati contro di essa, le elezioni diedero i risultati voluti dal governo e dagli "unionisti": seggi a questi e 8 al partito autonomista del Baiamonti.
Non essendo stato il B. eletto nel 1885 al Reichsrath di Vienna, da allora la Dalmazia non vi ebbe alcun deputato dalmato-italiano. Il B. dal 1886 poté tuttavia far sentire la sua voce alla dieta provinciale di Zara, dove fu eletto a rappresentare quella Camera di commercio. Inoltre, dal 1884 al 1887 diede vita al giornale La Difesa, col programma di "difendere la nazionalità e la lingua italiana" e, infine, il 4 luglio 1886, costituì la Società politica dalmata. È nel decennio successivo alla fine della sua attività di podestà, decennio caratterizzato da minori responsabilità amministrative, che le concezioni politiche del B. ebbero modo di definirsi sia sulla stampa, sia nella continua polemica col Bulat alla dieta di Zara, sia in seno alla Società politica dalmata.
Sulla linea del pensiero del Tommaseo, che rivendicava i diritti della minoranza, in una Dalmazia dove non vi sono famiglie italiane "senza pure una vena di sangue slavo", così che "a rispettare gli Italiani la ragione accennata è tanto più forte, quant'essi di numero sono minori"; di C. Vojnović per il quale "i Dalmati, orbando sé stessi dell'incivilimento italiano... farebbero come i naviganti che buttassero in mare il capitano della nave e il pilota"; dello stesso Hatko Nodilo, che si ritirò dalla vita politica per non condividere le responsabilità delle violenze contro gli Italiani: su questa linea il B. respingeva la taccia di irredentismo che può solo solleticare gli "istinti polizieschi dell'Austria", rivendicava il diritto e il dovere di proclamarsi italiani proprio perché l'art. 29 dello statuto dell'impero "non alle culture... ma alle nazionalità garantisce uguali diritti", e nei riguardi degli Slavi, mirava a "sviluppare la nazionalità slava, mediante la civiltà italiana". Così, di fronte alla soppressione di tutte le scuole italiane, disposta dalle autorità austriache nel 1880, e al rifiuto del governo e dell'amministrazione croata di concedere a Spalato anche una sola scuola italiana, non poteva mancare, alla dieta di Zara, nel 1887, la parola amara del B.: ricordata l'istituzione, da lui disposta nel 1860, di sette scuole slave, il ripristino della Matica e l'introduzione "con interesse leale e vero" della lingua croata nelle scuole e negli uffici, il B. ricordava al Bulat e ai Croati l'opera svolta in Dalmazia dagli Italiani a favore dell'elemento slavo e li esortava a stare uniti contro l'Austria ormai in crisi, con pieno rispetto dei diritti della minoranza; ma l'esortazione non verrà raccolta.
Il B. morì a Spalato il 13 genn. 1891, con compianto di Italiani e Iugoslavi.
Bibl.: Onoranze funebri ad A. B., Zara 1892; G. Marcotti, La nuova Austria, Firenze 1885, passim; Lupo della Montagna [pseudonimo di L. Thompson], Il Trentino, la Venezia Giulia e la Dalmazia nel Risorgimento italiano, Milano 1914, passim; B. Dudan, La Monarchia degli Asburgo, Roma 1915, I, p. 107; II, p. 60; A. Tamaro, La Vénétie julienne et la Dalmatie, III, La Dalmatie,Roma 1919, p. 553; L'altra sponda (pubblicazione edita in occasione del centenario della nascita di A. B.), Trieste 1922; G. Novak, Italija prema stvaranju jugoslavije (L'Italia di fronte alla formazione della Jugoslavia), Zagreb 1925, passim; G. Solitro, A. B., Padova 1931; O. Randi, A. B., il "mirabile" podestà di Spalato, Zara 1932 (pubblica alcuni scritti e discorsi del B. di notevole interesse per la sua attività politica); G. Paladin, La questione dalmatica vista da Nicolò Tommaseo e da A. B., in Rass. stor. del Risorgimento, XXXVIII (1951), pp. 536-546; Id., Povijest Splita (Storia di Spalato), Zagreb 1958; D. Salvi, A. B. ultimo podestà di Spalato, in Riv. dalmatica, XXXII (1961), pp. 41-52, 56-57.