SALINAS, Antonino
– Nacque a Palermo il 19 novembre 1841, secondogenito di Emanuele, modesto funzionario della burocrazia borbonica, e di Teresa Gargotta, nobildonna termitana dagli ampi interessi culturali.
Proprio nell’ambito dei gabinetti domestici di anticaglie e naturalia approntati dalla madre e dall’omonimo zio manifestò precocemente un vivo interesse per la numismatica antica, acquisendo in breve tempo una competenza specialistica al riguardo, documentata dai primi, esemplari, lavori a stampa sulle monete punico-sicule e mantenuta viva attraverso i decenni.
Rimasto orfano di madre in tenera età, ebbero cura della sua educazione primaria alcune figure di spicco della scena politica e culturale siciliana del tempo (padre Giuseppe Romano, l’abate Gregorio Ugdulena, Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco, Gaetano Daita). Iscrittosi nel marzo del 1857 alla facoltà di giurisprudenza della Regia Università degli studi di Palermo, allora luogo di vivaci dibattiti politici e di intensa partecipazione alla vita della città e della regione, vi frequentò, inter alia, i corsi di paleografia e diplomatica dell’arabista Salvatore Cusa, grazie all’intercessione del quale il 28 novembre 1860 venne nominato ufficiale di 2a classe presso il Grande Archivio di Palermo, ove poté cimentarsi nelle sue prime ricerche sulle fonti documentarie medievali poste al servizio di una storiografia filologica di marca positivista.
Dopo un breve intermezzo patriottico nell’esercito garibaldino (autunno-inverno 1860-61), varcò di nuovo lo Stretto per recarsi in missione d’ufficio presso il Regio Archivio di Torino (giugno-luglio 1861) alla ricerca di documenti relativi al breve regno di Vittorio Amedeo II di Savoia in Sicilia (Scritti scelti, a cura di V. Tusa, II, 1977, pp. 265-278). Quasi certamente fu proprio nella capitale sabauda che Salinas conobbe l’illustre orientalista Michele Amari, presentatogli dal nobile trapanese Vincenzo Fardella di Torrearsa, la cui moglie Giulietta aveva preso nel frattempo molto a cuore la formazione del giovane e promettente conterraneo. Nacque pertanto un fecondo sodalizio intellettuale con la comunità di esuli siciliani residenti nella «Mecca d’Italia», tradottosi nel caso di Amari in una salda e durevole amicizia (Lettere di Antonino Salinas a Michele Amari, a cura di G. Cimino, Palermo 1985).
Tra l’autunno del 1862 e l’inverno del 1865, agevolato dalla nomina del suo autorevole mentore a titolare del dicastero della Pubblica Istruzione, Salinas ottenne una serie di borse di studio statali a sostegno di periodi di perfezionamento nelle grandi sedi della cultura europea (Berlino, Atene, Parigi, Vienna, Londra, Roma).
Da ciascuno di questi soggiorni, mosso dalla necessità di uscire dall’isolamento culturale cui lo costringeva la sua Sicilia, cercò di trarre il massimo vantaggio possibile a livello di studi specialistici. Se infatti gli ambienti viennesi, ma soprattutto quelli greci e romani diedero un contenuto più empirico e tecnico alla sua formazione, consentendogli di sperimentare in prima persona quanto la ricerca sul campo fosse imprescindibile punto di partenza per ogni proficua attività scientifica, viceversa gli esponenti più all’avanguardia dell’Altertumswissenschaft germanica (August Boeckh, Heinrich Kiepert, Eduard Gerhard, Theodor Mommsen) lo equipaggiarono dei concetti di base per un approccio storico-artistico – fondato su solide basi filologico-letterarie – allo studio dei monumenti dell’arte antica.
Tali titoli di qualificazione professionale, insieme ai meriti di un’attività scientifica già largamente apprezzata, gli valsero la chiamata (1° aprile 1865) ad assicurare la presenza ‘straordinaria’ del settore antichistico nell’intorpidita facoltà di lettere e filosofia palermitana, di cui fu in seguito preside per ben due volte (1880-82 e 1893-96). Divenuto professore ordinario – appena ventisettenne – nel 1867, si dimise finalmente dall’incarico presso la Soprintendenza generale degli Archivi di Sicilia che Amari gli aveva sino allora garantito, per dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento ex cathedra dell’archeologia, una cui personale interpretazione aveva fornito nella prolusione iniziale ai suoi corsi del 12 dicembre 1865 (Dello stato attuale degli studi archeologici in Italia e del loro avvenire; poi in Scritti scelti, cit., I, 1976, pp. 27-45).
Nel farsi carico di propagare Oltralpe il metodo della scuola tedesca di studi classici, ritenuto il solo capace di «rimediare a quel vizio che si ha in Italia di conoscenze archeologiche sminuzzate e senza legame alcuno» (p. 42), Salinas si professava fautore di una disciplina che, non dimentica della passata tradizione erudita e antiquaria, approcciasse filologicamente il dato documentario per giungere a una interpretazione storico-continuistica del passato in tutte le sue fasi indifferentemente. Evidenziando poi la necessità di continuo aggiornamento bibliografico da parte del docente, stante la sincrona crescita esponenziale di conoscenze sulla materia, patrocinava la proficuità dei contatti tra attività accademica e archeologico-museografica, nonché, più in generale, un largo utilizzo nell’insegnamento di apparati documentari e illustrativi (collezioni di gessi, facsimili di monete e di epigrafi, fotografie, opere illustrate, saggi di marmi antichi).
Il tanto agognato avvio della carriera accademica non gli impedì di continuare ad applicarsi, accanto all’insegnamento frontale, a brevi ma pur sempre approfonditi studi in diversi campi (iconografia vascolare, epigrafia latina e cristiana, sfragistica medievale e via enumerando), senza comunque mai trascurare la prediletta scienza numismatica.
In ordine alla branca disciplinare in questione, anzi, mise in cantiere due lavori di ampio respiro, rimasti entrambi incompiuti: l’edizione integrale della ricchissima raccolta di conii sicelioti di proprietà della nobile famiglia Pennisi di Acireale e la redazione di un Corpus ragionato, criticamente redatto e ‘artisticamente’ illustrato, di tutte le emissioni monetali delle antiche città di Sicilia (dalla seconda metà del VI secolo a.C. al regno di Federico II di Borbone).
Dall’agosto del 1873 coniugò all’insegnamento universitario la direzione del Museo nazionale di Palermo, da sette anni appena ospitato nel cinquecentesco complesso conventuale filippino dell’Olivella, cui erano state destinate le eclettiche collezioni di opere d’arte di istituti preesistenti (Musei della Regia Università, Salnitriano, Martiniano ecc.). Con tale incarico, anch’esso segno della vigile protezione amariana, veniva affidato a lui non solo il compito di ordinare un’immensa congerie di materiali svarianti dal periodo protostorico all’epoca medievale e moderna, ma anche quello, ben più arduo e gravoso, di conferire un’identità forte alla principale e più antica istituzione culturale isolana, riorganizzandola in chiave laica, unitaria e nazionale, come richiesto dalla politica accentratrice del governo.
In aderenza a una concezione estetica scevra da pregiudizi culturali, discriminazioni qualitative e gerarchizzazioni cronologiche, Salinas si accinse a questa complessa impresa di restyling museografico con idee ben chiare, programmaticamente esposte nel discorso tenuto per l’inaugurazione accademica del 1873 e pubblicato presso lo stabilimento tipografico Lao di Palermo (Del Museo nazionale di Palermo e del suo avvenire, 1874).
Del tutto consapevole dell’urgenza di trasformare l’informe «carcere di monumenti» avuto in gestione in un organismo vivo e vitale, al servizio della società civile, della didattica universitaria e della comunità scientifica, egli conformò la sua azione pratica al concetto teorico di museo come luogo dove raccogliere «documenti genuini da’ quali poter scorgere la storia della civiltà» (ibid., p. 22). Per far questo destinò all’esposizione il maggior numero possibile di reperti, dando largo spazio agli oggetti di cultura etnoantropologica accostati ai cimeli storici e alle testimonianze dell’evo antico in tutte le sue declinazioni periodiche, con l’intento di fornire un quadro compiuto e sistematico delle industrie artistiche siciliane, rispecchianti il carattere multietnico e multiculturale della millenaria storia dell’isola.
Il risultato fu un affollato museo in divenire, ciclicamente illustrato da guide descrittive (1875, 1882, 1889, 1901, 1913), in cui le tendenze tassonomiche d’età romantica, appiattite sui valori estetici dei singoli pezzi, avevano lasciato il posto a un più moderno ordinamento per seriazioni tipologico-tematiche, atto a far «penetrare ogni sorta di visitatore nell’intera conoscenza dell’antichità» (Del Museo nazionale..., cit., p. 9), a favorire il «progredimento della nazionale cultura e del pubblico bene» (p. 4), a «servire di giovamento agli studenti di belle arti» (p. 6) e, non ultimo, a mettere in rilievo l’«impronta locale» (p. 15) dell’artigianato artistico siciliano. Tema quello dell’esistenza o meno di una realtà figurativa originalmente siceliota ripreso e ampiamente svolto in seguito dal migliore allievo di Salinas, Biagio Pace e, in maniera autonoma, da Pirro Marconi.
Nei quarant’anni in cui ne fu a capo, Salinas quadruplicò i materiali di pertinenza di quell’istituto, non solo per il tramite di una frenetica, ma sapiente attività di reperimento e acquisizione di testimonianze della cultura materiale isolana nei suoi vari aspetti ed epoche, ma anche grazie al frutto dei fortunati scavi personalmente condotti o comunque promossi nelle province siciliane divenute di sua competenza nel 1907 (Palermo, Messina, Trapani e Girgenti) con la nomina a soprintendente ai relativi scavi e musei archeologici. Di tali esplorazioni e dell’attività ricognitiva compiuta in parallelo nei territori dei centri greci e fenicio-punici di Selinunte, Tindari, Palermo, Solunto, Lilibeo, Salemi, Mozia e Agrigento pubblicò solo scarni rapporti, tutto assorbito com’era dalle occupazioni scolastiche e dalle molteplici altre attività svolte, prime tra tutte quelle museali, politico-culturali e divulgative. Ciò non gli impedì, tuttavia, di impegnarsi sul fronte della tutela e del restauro conservativo di importanti monumenti dell’architettura arabo-normanna di Palermo e dintorni (Cappella Palatina, duomo di Monreale, Martorana) e di prodigarsi nel recupero e nella messa in sicurezza degli edifici storici e dei tesori d’arte danneggiati dal terremoto di Messina del 1908.
Ancora intellettualmente attivo, ma minato da una repentina malattia polmonare, morì a Roma il 7 marzo 1914.
Nel 1869 si era unito in matrimonio con la baronessa Anna Ciotti, da cui ebbe quattro figli: Emanuele, Giulia (poi andata in sposa allo storico Gaetano Mario Columba), Teresa e Maria. Con legato testamentario del 6 luglio 1913 aveva devoluto al museo palermitano gran parte dei suoi beni, tra cui la biblioteca personale e una cospicua raccolta di manoscritti, stampe e fotografie; quarant’anni prima (10 ottobre 1873) aveva fatto altrettanto con la donazione allo stesso museo del proprio sostanzioso nummarium.
Una ristampa di sessantasei suoi Scritti scelti è stata curata da Vincenzo Tusa (I-II, Palermo 1976-1977), con elenco completo degli scritti alle pp. 439-458.
Fonti e Bibl.: Una discreta quantità di notizie sul suo curriculum di studente e sulla carriera di docente possono trarsi dai documenti conservati a Roma, presso l’Archivio centrale dello Stato, Ministero Pubblica Istruzione, Divisione per l’arte antica (1860-92), Personale, b. 28, f. 1527; Dir. gen. Istruzione superiore, f. Personale insegnante, 2° versamento, 1a serie (1900-1940), b. 133. Per una bio-bibliografia essenziale su Salinas si rimanda alla voce di A. Villa, in Dizionario biografico dei soprintendenti archeologi (1904-1974), a cura di J. Papadopoulos - S. Bruni, Bologna 2012, pp. 673-682. In aggiunta si vedano: F.P. Massara, in Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia (secc. XIX e XX), VI, a cura di F. Armetta, Caltanissetta-Roma 2010, pp. 2777-2783; L. Gandolfo, S. collezionista e numismatico (1841-1914), in Compte rendu publié par le Sécreteriat du Conseil international de numismatique (CIN), LXI (2014), pp. 37-43; «Del Museo di Palermo e del suo avvenire». Il S. ricorda S., 1914-2014, a cura di F. Spatafora - L. Gandolfo, Palermo 2014; M. Barbanera, Storia dell’archeologia classica in Italia, Roma-Bari 2015, ad ind.; I. Bruno, Dalla «più difforme congerie di oggetti» ad un «perfetto ambiente spirituale» per l’opera d’arte. L’allestimento del Museo nazionale di Palermo alla fine degli anni Venti del Novecento, in Il capitale culturale, XIV (2016), pp. 53-88 (con bibl. precedente).