GAMBERINI, Anton Domenico
, Anton Domenico. - Nacque a Imola il 31 ott. 1760 da Giovanni Agostino, avvocato, e da Margherita Zappi. Cresciuto in una famiglia del patriziato imolese che da generazioni si era affermata nella pratica forense (un antenato era stato uditore della Sacra Romana Rota), fu seguito nell'educazione dal padre che, dopo il completamento degli studi inferiori nella città natale, lo fece spostare a Roma dove, alunno nell' Accademia dei nobili ecclesiastici, consegui nel 1784 la laurea in giurisprudenza, dopo aver frequentato; peraltro, anche i corsi di teologia.
La presenza sul trono papale del cesenate Pio VI gli portò probabilmente qualche vantaggio al momento delle prime decisioni sulla strada da intraprendere al termine degli studi: fu infatti papa Braschi che lo assegnò come aiutante a mons. N. Acciaiuoli Torriglioni, destinato come uditore al tribunale rotaIe di Ferrara, e fu ancora lui a conferirgli nel 1792 il titolo di conte, che il G. chiese però che fosse attribuito al padre con diritto di successione riconosciuto ai due fratelli. Il sicuro attaccamento del G. alla Chiesa non implicò, tuttavia, un suo orientamento verso la carriera ecclesiastica, perché l'esperienza che egli fece addentrandosi nei complessi meccanismi della giurisprudenza pontificia, unita alla precedente e non entusiasmante conoscenza dell'inefficienza e della corruzione della burocrazia statale, gli servi piuttosto per avviare, sulle orme del padre, una propria attività legale, alla quale non sarebbero mancati successi e riconoscimenti. La svolta in tal senso venne dall'arrivo dei Francesi che, smantellando il potere papale, offrirono più di un'occasione agli esponenti di quel ceto civile di cui anche il G. faceva parte: cosi nel 1799 lo troviamo impegnato ad attestare, firmandosi «cittadino Presidente», l'appartenenza di alcuni immobili all' ospedale di Imola, del quale era stato nominato amministratore; all'inizio del nuovo secolo era invece a Ravenna, «chiamato a fare l'uditore della nuova Ruota di Romagna eretta da S.E. il sig. Commissario Imperiale» (lettera del 15 genn. 1800 all'avvocato G.C. Ferrarini, in Arch. di Stato di Roma, Mise. Famiglie, b. 192). Altre cariche pubbliche erano intanto ricoperte dai fratelli Giovan Francesco e Giovan Domenico, il primo avvocato e più tardi giudice del tribunale di prima istanza, il secondo medico.
Dove meglio si evidenziavano le qualità del G. era comunque nel settore del contenzioso amministrativo e dell'interrnediazione di affari, ramo, quest'ultimo, in cui operò soprattutto durante la seconda dominazione francese, rappresentando con oculatezza - e cercando sempre di evitare il ricorso al tribunale - gli interessi di una ditta milanese, di cui era titolare Carlo Bignami, attivamente presente in diversi campi, dal commercio dei grani al mercato degli immobili e dei censi: consulente legale per le varie operazioni finanziarie in cui si trovava implicata la ditta, il G. si occupava anche della riscossione di crediti e degli accertamenti ipotecari sugli immobili da comprare; prodigo di consigli, nel suo lavoro la perizia professionale e l'esperienza di uomini e istituzioni non andavano mai disgiunte dalla prudenza che l'incertezza dei tempi imponeva. Intanto, mentre in Romagna si consolidava la sua fama di avvocato scrupoloso e fornito di buoni agganci con i tribunali e le autorità di governo, cresceva anche il suo patrimonio personale, che lo qualificava come uno dei più ricchi possidenti della zona. Quanto alla Chiesa, il mantenimento dell'antico legame di devozione era assicurato dalla tutela degli interessi della mensa vescovile imolese che il G. aveva assunto in rappresentanza del suo titolare, che era ancora il papa.
In complesso, non sembra che la dominazione francese, all'ombra della quale si era svolta la sua ascesa, gli avesse creato grandi problemi di coscienza; è anzi più probabile che, con le novità positive introdotte nell'amministrazione e nella burocrazia, essa lo avesse tranquillizzato nei suoi orientamenti civili, che erano sostanzialmente quelli di un uomo d'ordine, sollecito soprattutto della favorevole ricaduta che sugli affari privati avrebbe prodotto il buon funzionamento della macchina statale. E tuttavia, ripristinata la sovranità pontificia, rapida fu l'adesione del G. alla proposta, che gli venne da Pio VII, di ricoprire la carica di assessore civile della Delegazione di Forlì, di cui era titolare T. Pacca: vi restò fino al 1818 confermandosi uomo accorto e prudente, in linea con gli indirizzi riformatori del segretario di Stato E. Consalvi il quale ricorse alla sua sapienza di uomo di legge per la revisione del testo del codice di sanità marittima che, pronto all'inizio del 1818, doveva regolare la politica dello Stato pontificio in materia di prevenzione dei contagi e delle epidemie. Fu un lavoro lungo e faticoso, che richiese una seconda revisione prima di sfociare nel motu proprio del 25 nov. 1818, ma per il G. fu anche l'occasione per collaborare con i più preparati esponenti del riformismo consalviano (I. Bartolucci, N.M. Nicolai, G. Barberi): Pio VII lo ricompensò nominandolo prelato domestico e destinandolo poi (18 nov. 1818) come uditore di rota alla Legazione di Ferrara. Era ormai chiaro che l'attività forense privata sbiadiva, sostituita da un impegno pubblico che, per essere foriero di buoni risultati anche sul piano personale, avrebbe dovuto accompagnarsi a una scelta nuova: la carriera ecclesiastica.
Avviato su tale strada, il G. bruciò rapidamente le tappe facendosi largo all'interno della prelatura pontificia con requisiti che restavano comunque quelli di un giurista: ponente della congregazione dell'Immunità ecclesiastica il 3 apro 1822, l'anno dopo era chiamato da Pio VII al ruolo di segretario della congregazione del Concilio (10 marzo 1823) e di quella sulla Residenza dei vescovi; come giudice della congregazione della Visita svolgeva inoltre funzioni ispettive in ospedali, scuole, luoghi pii. Proprio al fatto di essere un tecnico dovette probabilmente il passaggio indolore al pontificato di Leone XII, il quale - ben lungi dal penalizzarlo in quanto collaboratore del Consalvi - appena eletto, oltre a inserirlo nella commissione per l'istituzione di una g:unta di governo, lo promuoveva canonico della basilica di S. Pietro (17 nov. 1823) ed esaminatore dei vescovi in diritto canonico. Era, in sostanza, il riconoscimento del suo valore non più soltanto sul piano giuridico, ma anche su quello teologico-ecclesiale: e la conferma si ebbe nella promozione a prete (29 febbr. 1824) e nella di poco successiva consacrazione a vescovo di Orvieto (19 nov. 1825); passando per la nomina ad assistente al soglio pontificio (9 genn. 1826), l'ascesa del G. si sarebbe conclusa con l'elevazione al cardinalato nell'ordine dei preti, avvenuta nel concistoro segreto del 15 dic. 1821 (ma la riserva in pectore risaliva al 25 giugno 1827). Un anonimo avrebbe poi diffuso la voce che la promozione era dovuta alla protezione del cardo C. Guerrieri Gonzaga.
Anche come uomo di Chiesa il G. tenne fede alla fama che lo voleva sempre attivo e consapevole delle responsabilità assunte: così, non lesinò le pastorali per richiamare il popolo della diocesi alla devozione e alla moralità dei costumi né si astenne dal rivolgersi direttamente ai religiosi con fitti interventi a stampa quali le omelie Sopra la divozione verso il santo angelo custode (Orvieto 1829) o la raccolta di Omelie sacre e discorsi per monache (ibid. 1831); ma la sua vera vocazione, anche quando parlava di temi sacri, restava quella del profondo conoscitore di codici e regolamenti, cioè dell'uomo di scienza, versato ben più nelle questioni secolari che in quelle spiritUali. Tale lo considerava anche la voce pubblica, che peraltro non risparmiava neanche a lui le critiche usuali contro il ceto ecclesiastico (la sua partenza da Orvieto era stata salutata come un evento provvidenziale da alcuni manifestini anonimi); e Stendhal, allora console di Francia a Civitavecchia, lo avrebbe descritto in una lettera del 1835 come colui che, avendo dietro la scrivania un crocifisso, ne spiegava l'iscrizione I.N.R.I. come sigla della formula «lo non rinunzio in eterno)}. Da altre fonti coeve gli sarebbe stato fatto carico di una certa avidità: certo è che il potere che contava per lui era quello temporale, nei cui meccanismi si era addentrato sin da giovane; il tempo non gli aveva fatto mutare l'idea, allora concepita, che si trattasse di un caos in cui era diventato sempre più urgente ma anche più difficile riportare l'ordine.
Era, la sua, una visione dello Stato come fondamentalmente amministrativo che aveva parecchi punti in comune con la concezione che ispirava l'opera di governo del cardo T. Bernetti, dal 1831 segretario di Stato di Gregorio XVI: senza questa consonanza sarebbe stato impensabile realizzare quella riforma della segreteria di Stato che, con obiettivi di razionalizzazione, sdoppiava il vecchio organo di governo affiancandogli una segreteria per gli Affari di Stato interni, a capo della quale veniva posto dal papa appunto il G., che il 12 marzo 1833 entrava nell'esercizio delle sue nuove funzioni cumulandovi anche quelle di prefetto della Sacra Consulta e di varie congregazioni minori, inclusa quella per la riedificazione della basilica di S. Paolo distrutta nel 1823 da un incendio. Negli anni immediatamente precedenti la pubblicazione delle sue Decisiones Sacrae Rorae Romanae (Romae 1824) e delle Resolutiones selecrae Sacrae Congregationis Concilii ... (Urbeveteri 1830) aveva sancito la fondatezza del prestigio intellettUale di cui godeva il G. nel campo del diritto.
Decisa dal papa su pressione della diplomazia austriaca, la riforma, recante la data del 20 febbr. 1833, avrebbe dovuto in teoria, con la creazione di due centri di potere autonomi, attuare un'opera di decentramento e favorire, attraverso una specifica direzione politica, la ricostruzione della pubblica amministrazione su basi d: efficienza, rapidità d'intervento ed economicità di gestione: obiettivi ambiziosi, resi indilazionabili dal malcontento diffuso e da un deficit finanziario ormai fuori controllo. Fu però subito evidente che, malgrado la tenacia del G. e lo spirito interventista che ne animò i primi atti, sarebbe stato assai arduo evitare il graduale svuotamento della riforma a opera di chi l'aveva avversata - in prima fila il cardo L. Lambruschini, rigido sostenitore del carattere spirituale dello Stato papale - paventando pericolosi contraccolpi per i delicati equilibri interni della direzione dello Stato. Perciò, se fu facile, accogliendo la proposta di T. Bemetti, dividere fisicamente le due segreterie lasciando la vecchia al palazzo apostolico del Quirinale e collocando la nuova nel Vaticano, altro fu il discorso in fatto di personale e competenze, dal momento che la segreteria del G. fu dotata di pochi impiegati e, quanto alle competenze, entrò immediatamente in un sordo conflitto con i poteri tradizionali che non accettavano per esempio il trasferimento al nuovo organismo degli affari militari sia per la parte amministrativa, sia per quella disciplinare. Così, invece della sperata collaborazione, si ebbero in questo campo specifico interferenze, sovrapposizioni, confusioni di ruolo; e lo stesso si verificò negli affari di polizia e in quelli della Sacra Consulta, dove si percepì il lento ma graduale sforzo da parte della segreteria di Stato di riappropriarsi delle antiche attribuzioni (risultato che si poté definitivamente conseguire con la riunificazione delle segreterie di Stato a opera di Pio IX appena eletto papa).
Con tutto ciò non si può dire che il G., anziano com'era ormai, non tentasse di imprimere una svolta decisa all'amministrazione pontificia dotandola di norme, regolamenti e codici capaci di renderla più autorevole al centro come in periferia e di realizzare in materia di spesa pubblica e di miglioramento delle entrate quanto ci si attendeva dalla sua azione. Il limite fu, semmai, quello della disorganicità e di una certa improvvisazione, l'una e l'altra rese in qualche misura inevitabili dallo stato di abbandono in cui era rimasta per anni la vita pubblica nello Stato ecclesiastico; ma qualche beneficio non mancò e fu più sensibile laddove, con l'istituzione della prefettura per le Acque e le strade (8 giugno 1833) o con la creazione della congregazione speciale sanitaria (editto 20 luglio 1834), presieduta dallo stesso G., o con le misure contro il colera, si volle affrontare il problema della vita materiale delle popolazioni. Caratteristico fu anche un certo sovraccarico legislativo (nella repressione del contrabbando o nella sorveglianza dell'accattonaggio o, ancora, nelle minute disposizioni su poste, cavalli, postiglioni, bollette di viaggio, e in quelle che a partire dal 17 dic. 1834 disciplinarono gli uffici ipotecari e l'amministrazione della giustizia), che parve rendere più complicato il sistema e accrebbe il contenzioso, altro ramo, questo, cui si dovette provvedere nel 1835 con disposizioni non di rado implacabilmente persecutorie. Di tutto ciò avrebbe serbato testimonianza la Raccolta delle leggi pontificie, e disposizioni di pubblica amministrazione, avviata dal G. e proseguita per tutta la durata del suo incarico.
Pur tra tante difficoltà e tra voci che lo mettevano in cattiva luce attribuendogli una parte nella trama che aveva portato all'uscita di scena del Bernetti, il G. restò al potere fino al 2 dic. 1840, allorché Gregorio XVI, che nel concistoro del 18 febbr. 1839 lo aveva promosso vescovo suburbicario di Sabina, lo trasferì alla prefettura del supremo tribunale della Segnatura di giustizia. Poco
prima della perdita dell'incarico, il G. aveva visto fallire la riforma dell'ordinamento giudiziario in cui si era impegnato a partire dal 1837 e che, se approvata, avrebbe dato al paese nuovi regolamenti di procedura civile e penale.
Il G. morì a Roma il 25 apr. 1841 e fu seppellito nella chiesa di S. Prassede, di cui era commendatario.
Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Gamberini, comprendente la Carte particolari del cardo A.D. G., è conservato nella Bibl. comunale di Imola; altro materiale documentario, generalmente inedito, riguardante il G. è disponibile in Arch. segr. Vaticano, Spogli dei cardinali: una busta contenente lettere anonime e denigratorie, nonché denunzie e delazioni anch'esse anonime, tutte del periodo 1833-40; Bibl. apost. Vaticana, Autografi Ferrajoli, Racc. Ferrajoli, nn. 6069-6084: minute di lettere, alcune a Gregorio XVI, e circolari; Arch. di Stato di Roma, Miscellanea famiglie, b. 192: 46 lettere del G. a vari destinatari e in diverse epoche; Roma, Museo centro del Risorgimento: lettere del G. e materiale d'ufficio nelle bb. IIho, 62/10, 1971I4, 219/3 e nel volume ms. 364; Forlì, Bibl. comunale: 108 lettere e vari allegati, su cui V. Inventari dei mss. delle biblioteche d'Italia, XCV, Forlì ... Collezioni Piancastelli, Firenze 1979, pp. 19 s.
In assenza di uno studio approfondito, scarne notizie sul G. soprattutto come segretario degli Intemi si ricavano da H. Bastgen, Forschungen und Quellen zur Kirchenpolitik Gregors XVI., Paderhorn 1929, ad ind.; R Galli, La dispensa matrimoniale di Pellegrino Rossi e il cardo G., in Rass. stor. del Risorgimento, XXVI (1939), pp. 865-872; P. Dalla Torre, L'opera riformatrice ed amministrativa di Gregario XVI, in Gregorio XVI. Miscellanea commemorativa, a cura di G. De Luca, Roma 1948, II, pp. 32 s., 65, 69 s., 78, 90; Pio IX da vescovo a pontefice, a cura di G. Maioli, Modena 1949, ad ind.; E. Morelli, La politica estera di T. Bemetti, Roma 1953, ad ind.; N. Nada, Mettemich e le riforme nello Stato pontificio. La missione Sebregondi a Roma (1812-1816), Torino 1957, ad ind.; L. Pasztor, La riforma della segreteria di Stato di Gregorio XVI..., in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 285-305; R Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Mettemich, Brescia 1963, ad ind.; L. Pasztor, La segreteria di Stato di Gregorio XVI, in Archivum historiae pontificiae, XV (1977), pp. 295-332; D. Cecchi, L'amministrazione pontificia nella 2a Restaurazione, Macerata 1978, ad ind.; G.A. Sala, Scritti, a cura di G. Cugnoni, Roma 1980, IV, pp. 500 ss. Dati sulla carriera ecclesiastica in R Ritzler P. Seftin, Hierarchia catholica ..., VII, Patavii 1968, ad ind.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccl., XXVIII, sub voce (per altri riferimenti si veda l'Indice della stessa opera, III, ad nomen); Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce; Enc. cattolica, sub voce.