Antiquariato e modernariato
Antiquariato
Il termine indica, nel suo più vasto e comune significato, la raccolta e il commercio di oggetti antichi, dai dipinti alle sculture, dalle arti decorative ai libri. Suscettibile ai cambiamenti del gusto, della moda e della cultura, l'antiquariato oggi investe un sempre più esteso panorama delle arti, da quelle ufficiali e conclamate come capolavori, sino a comprendere l'ornamento funzionale, l'anticaglia tout-court e il bric-à-brac dei mercatini e delle fiere antiquarie, con vistosi sbalzi di stili e di periodi storici nel riportare alla ribalta ciò che era ritenuto obsoleto; recuperi talvolta effimeri talaltra permanenti, alla luce del fattore fondamentale che è il mercato, e secondo una distinzione ben definita in Francia che contraddistingue nettamente l'alto antiquariato dal cosiddetto rigattierato e l'antiquaire dal brocanteur. Tuttavia per meglio comprendere i connotati complessi e disparati che caratterizzano l'antiquariato, nell'evidenziarne i mutamenti e gli sviluppi che si sono determinati nella nostra epoca - riflesso della temperie sociale e politica, di inclinazioni personali, di idiosincrasie, di occasioni propizie e d'infatuazioni momentanee -, non si può prescindere dal fatto che l'antiquariato sia strettamente collegato al collezionismo, al punto da costituirne il rovescio della medaglia, i risvolti e la storia cioè di coloro che rifornirono i collezionisti o che furono contemporaneamente anch'essi raccoglitori e mercanti, senza preclusioni di epoche e di stili.
Fermo restando che l'antiquario vende al miglior offerente, per poter poi ricomprare, mentre il collezionista tende a non privarsi della sua raccolta se non per ricominciarne un'altra, anelando a una rinnovata passione da perseguire e appagare con la stessa coerenza e dedizione. Per entrambi il momento supremo, l'affare dell'uno e la gratificazione dell'altro, e viceversa, si verifica al momento dell'acquisto; protagonisti e comprimari in un connubio indissolubile di rapporti fra arte e società. Tale temperie viene rievocata da Ch. Honoré de Balzac che ne Le cousin Pons (1847), quasi si trattasse di un dagherrotipo, descrive il milieu parigino legato all'antiquariato e al collezionismo dove requisito indispensabile del successo dell'amatore d'arte è possedere "le gambe del cervo, il tempo dei flaneurs e la pazienza dell'israelita".
Il mercato internazionale
Nei primi anni del Duemila il mercato dell'antiquariato internazionale - che ha le sue capitali a Parigi, Londra, New York, Roma e Firenze - ha assunto proporzioni sempre più ampie e articolate nei suoi diversi generi ed epoche; infatti ogni nazione predilige le espressioni artistiche che sono legate alla propria storia locale, anche se i capolavori riconosciuti travalicano di frequente i confini nazionali. Così a Parigi, dove l'antiquariato è concentrato intorno ai quartieri di Saint Germain e di Saint Honoré - con celebri gallerie quali, per fare qualche esempio, Kugel, A. Moatti, D. Aaron, Perrin, Segoura, Leage, Kraimer, Ladrière e Belanger (per la scultura) - il mercato ricerca e sostiene prevalentemente le opere e gli oggetti di manifattura francese, con speciale predilezione per l'ebanisteria di cui i francesi sono tra i maggiori intenditori, in quanto l'arte menusière costituisce il nucleo principale del commercio antiquario in Francia. Sempre nella capitale francese l'Hôtel Drouot, rinomata sala di vendita, istituita nel 1854, è assurto a uno dei templi del mercato mondiale dell'arte. A Londra vennero fondate le prime importanti case d'asta d'Europa, tuttora attive: la Sotheby's (1744), dedita inizialmente solo alle aste di libri, la Christie's (1766) e la ditta Colnaghi (1760) che ha mantenuto saldo sino agli anni Ottanta del Novecento il suo prestigio nel settore della pittura degli antichi maestri; l'arte inglese e quella coloniale legata al suo passato, come la produzione delle Compagnie delle Indie, venne prediletta anche da Francia e Olanda. In Italia le espressioni artistiche rispecchiano le singole regioni, dalla pittura alla scultura, dal mobilio alle suppellettili, all'arte tipografica a quella libraria.
La figura dell'antiquario
Nell'ultimo scorcio del Novecento l'antiquariato ha subito notevoli trasformazioni rispetto al suo passato tradizionale: a partire dall'interpretazione etimologica del termine 'antiquario' che, mentre dall'Umanesimo sino alla seconda metà del 18° sec. connotava lo studioso e il raccoglitore dell'antico, nell'Ottocento ha assunto il significato più esteso di mercante dedito al commercio di manufatti di maggiore o minore pregio artistico. Una ricca aneddotica ci consente di definire la fisionomia che ha progressivamente assunto la figura dell'antiquario con il quale s'intende la professione di compravendita di antichità e oggetti d'arte con un preciso settore di specializzazione. Nell'esercizio di questo mestiere sono indispensabili mobilità e cultura - un tempo supplite dalla pratica - non disgiunte da quell'istinto infallibile che permette di riconoscere la differenza fra un capolavoro e un'opera minore. La scelta degli oggetti d'arte è, in sostanza, espressione della cultura e del gusto dell'antiquario, che, valendosi di anni di esperienza e di reputazione consolidata spesso da varie generazioni, si profila come l'interprete di un commercio dettato da sensibilità e intuito e che, al contempo, svolge anche una funzione pedagogica nei confronti del mercato e del collezionismo, apportando un decisivo contributo nella formazione di raccolte private destinate talora a confluire nelle istituzioni pubbliche.
Queste qualità, unite al riserbo, gli consentono di individuare un oggetto, stabilirne la provenienza attraverso il supporto di specialisti e conoscitori, seguirne e coordinarne il restauro rivolgendosi agli esperti di ciascuna materia e tecnica, dalla pittura alla scultura, dai bronzi ai legni, dai marmi alle pietre dure. È infatti prerogativa indispensabile dell'antiquario avere competenze nel dirigere un restauro di un oggetto e di un'opera d'arte. Tali attitudini che hanno riqualificato la professionalità relativa all'antiquariato, dissipando quei pregiudizi e quella diffidenza determinati dalle finalità commerciali che la cultura anglosassone, per contro, non ha mai condannato. Tutto ciò è ormai attestato dalle numerose riviste e dalle pubblicazioni monografiche dedicate all'antiquariato, dai cataloghi delle mostre, delle aste internazionali e delle stesse gallerie antiquarie corredati da schede analitiche, da quotazioni, da perizie, affidate a esperti d'arte secondo una prassi avviata intorno alla fine del 19° sec., applicata soprattutto in Italia e in Germania sino al dopoguerra, quindi adottata ovunque.
L'antiquariato e le raccolte pubbliche e private
Tra i molti i musei che espongono raccolte private donate da amatori e mercanti per arricchire il patrimonio artistico pubblico si ricordano la Fondazione Romano nel Cenacolo di Santo Spirito a Firenze, generoso lascito di sculture medievali e rinascimentali dell'antiquario S. Romano, case-museo come la Frick Collection di New York, la Wallace Collection di Londra, i musées Nissim de Camondo e Jacquemart-André a Parigi, i musei Poldi Pezzoli e Bagatti Valsecchi di Milano, il Museo Praz di Roma, la Fondazione Magnani Rocca a Traversetolo di Parma nella villa di Corte di Mamiano ove L. Magnani (1906-1984) ha raccolto dipinti, incisioni e sculture grazie a un intenso e fecondo rapporto con il mercato antiquario e, per quanto riguarda il mobilio Impero, al consiglio dello stesso insigne studioso M. Praz (Praz 1996) e, in tempi più recenti, la collezione di dipinti e oggetti d'arte donata alla collettività nel 1995 dall'ingegnere A. Lia a La Spezia. Nello stesso ambito vanno segnalate le raccolte di manufatti riguardanti la civiltà contadina e le tradizioni popolari, genere ben rappresentato dalle collezioni di semplici appassionati, quali quella di utensili agro-pastorali dell'Appennino tosco-emiliano messa insieme da E. Guatelli nella sua casa a Ozzano Taro, in provincia di Parma, o la casa-museo costituita dal poeta e antropologo A. Uccello a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa.
Nei primi anni del Duemila in Italia l'antiquariato risulta ancora un fenomeno per lo più inesplorato sul quale mancano esaurienti studi storico-critici che approfondiscano le relazioni sottese fra accumulazione e possesso a fini per lo più speculativi oppure di semplice investimento. Diversa la situazione nel resto d'Europa e soprattutto negli Stati Uniti dove, nel corso del Novecento, notevoli sono stati i contributi che hanno approfondito vari aspetti e hanno verificato come la cultura umanistica tardo ottocentesca abbia avuto un ruolo fondamentale nella formazione del gusto statunitense, anche attraverso la mediazione di consulenti importanti, in collaborazione con i taste makers.
Protagonisti dell'antiquariato internazionale
Nell'ambito del mercato antiquario alle soglie del Duemila, si evidenziano nuove categorie di compratori, dagli emiri arabi ai nuovi capitalisti cinesi e russi che, nell'intento di diversificare i propri investimenti finanziari, si aggiudicano a prezzi vertiginosi le opere dei maestri della pittura europea. A Londra nell'asta di Sotheby's del 7 luglio 2005 una veduta del Canaletto è stata acquistata per 28 milioni di euro. Si avverte inoltre un sempre maggiore interesse verso le opere della prima metà del Novecento, considerate ormai storiche e destinate a un pubblico che le predilige e ricerca accanto a quelle di altre epoche. Ciò è testimoniato dalla loro crescente presenza e offerta nelle stesse mostre d'antiquariato internazionale che, tra l'altro, sono lo specchio del mutato gusto dell'arredamento contemporaneo ove convivono ormai in simbiosi antico e moderno.
Nella connaturata pratica antiquaria che sollecita mercanti, collezionisti e studiosi a esplorare nuove sfere dell'arte che non rientrano necessariamente nelle preferenze convenzionali per le più varie ed eterodosse considerazioni, si assiste a una generale rivalutazione delle opere e degli oggetti del passato grazie al supporto di fonti d'archivio e documenti che confermano, filologicamente, ciò che è dimostrato dall'evidenza. Il mercante-artista o mercante-collezionista di secolare memoria, nel Novecento, è stato affiancato, e talvolta soppiantato, dalla ricerca dello storico dell'arte-mercante nelle vesti di arbitro del gusto o di una tendenza volta a una più profonda comprensione del dato estetico, che afferma l'autenticità e la provenienza certa di un oggetto antico, di un artista o rivaluta uno stile misconosciuto con risultati vistosi nel momento finale della rivendita. Lo dimostrano autorevoli esempi quali l'esperto del Rinascimento B. Berenson (1865-1959), abilissimo uomo d'affari oltre che consulente di noti antiquari, la cui villa I Tatti a Firenze è divenuta un istituto aperto agli studiosi. Tra i clienti di Berenson figura A. Contini Bonacossi (1878-1955), il più importante mercante d'arte italiano del Novecento. Questi, nelle sue pratiche commerciali, si avvaleva anche di studiosi di chiara fama da R. Longhi a F. Zeri, che è stato uno dei pochi storici dell'arte italiani di fama mondiale intimo delle maggiori personalità che hanno segnato la storia del recente antiquariato e del collezionismo quali P. Getty e D. Wildenstein. Contini Bonacossi tracciò le nuove prospettive dell'antiquariato, con le sue doti di comprendere la qualità e la vendibilità di un'opera d'arte, d'intrattenere un'intensa vita di relazioni e un rapporto privilegiato con i suoi collezionisti, di cui intuiva le aspettative e preveniva, influenzandole, le scelte.
Stabilitosi a Firenze, vi acquistò la residenza neorinascimentale di villa Vittoria, la quale ben presto divenne la sede, in un'ambientazione di un lusso magnificente non dissimile dalle atmosfere del museo di I. Stewart Gardner a Boston, delle sue famose collezioni, il cui nucleo centrale avrebbe costituito, dopo la sua morte e alterne vicende, la donazione Contini Bonacossi, in parte confluita agli Uffizi.
Tra i principali clienti di Contini Bonacossi figuravano F. Warburg, fratello di Abi, fondatore dell'omonimo istituto oggi a Londra, S. Guggenheim, il banchiere J.S. Bache, V. Cini e S.H. Kress, per il quale compose una raccolta costituita da oltre tremila oggetti tra sculture e dipinti, successivamente dispersi tra la National Gallery di Washington e vari altri musei americani. Principale rivale di Contini Bonacossi fu J. Duveen (1869-1939), il 're degli antiquari' angloamericani, figlio e nipote di antiquari londinesi, divenuto poi lord Duveen of Millbank, ideatore della National Gallery di Washington e chief trustee della National Gallery di Londra. Quest'ultimo fu consigliere di grandi magnati statunitensi quali A.W. Mellon - acquirente con la mediazione della ditta Knoedler & Co. dei capolavori di Caterina la Grande venduti da J.V. Stalin tra il 1930 e il 1931, comprendenti opere di Rembrandt, Raffaello, Perugino, D.R. de S. y Velazquez, Tiziano, P.P. Rubens, A. Van Dyck -, B. Altman, fondatore degli omonimi grandi magazzini newyorkesi e munifico donatore al Metropolitan Museum di New York, G. Dreyfus, gli Huntington e i Kress. Duveen impose progressivamente alla sua facoltosa clientela americana i maestri europei del Rinascimento e del Settecento, potenziando con convincente persuasione l'orgoglio e la vanità dei suoi affiliati, tutti esponenti del grande capitalismo che desideravano nobilitare le loro ricchezze ammantandole di un'aura culturale: da J. Pierpont Morgan a H.C. Frick, da W.C. Whitney ai Rockefeller. Il successo di Duveen era avvalorato dalle pubblicazioni scientifiche che enfatizzavano il valore storico delle opere da lui proposte. I suoi cataloghi di vendita erano corredati, tra l'altro, da studi sulla pittura italiana dello stesso B. Berenson, in un vantaggioso sodalizio economico che nocque talvolta alla loro reputazione. A Duveen subentrò un'altra ragguardevole figura di esperto in old master's art, l'inglese R. Langton Douglas (1864-1951), già direttore della National Gallery di Dublino, che professava apertamente il mestiere di art dealer, affiancandolo tuttavia a un'attività di ricercatore di tutto rispetto. È dunque attraverso questi protagonisti dell'antiquariato internazionale che si è delineato e perdura costantemente l'interesse per la pittura del Rinascimento e per i maestri della scuola veneta (G. Tiepolo, Canaletto, B. Bellotto, F. Guardi, P. Longhi e G.B. Piazzetta) che, nei primi anni del Duemila, hanno raggiunto, così come lo era stato con Duveen e dopo il brusco crollo dei prezzi per lo scoppio della Seconda guerra mondiale, le più alte quotazioni di mercato.
L'antiquariato moderno è infatti ancora in parte condizionato dalle vicende in cui fu trascinato dalla perversa spirale della guerra. Una lunga serie di trafugamenti perpetrati dagli emissari di H. Göring (1893-1946), in nome e per conto del maresciallo del Reich - in Europa se ne contarono almeno duemila -, furono vere e proprie razzie manu militari, effettuate attraverso equivoche transazioni commerciali di mediatori sospettati di ricettazioni (Nicholas 1994). L'impegno svolto nel recupero delle opere d'arte italiane da R. Siviero (1911-1983) ha svelato non pochi retroscena in cui erano implicati insospettabili responsabili e direttori di istituzioni pubbliche italiane e straniere, con la complicità di collezionisti privati e dell'ambiente antiquario (L'opera ritrovata, 1984). Una ricostruzione dei fatti trapela da un eloquente episodio che, apparentemente circoscritto all'universo letterario di B. Chatwin, si è dimostrato veritiero. A dodici anni dalla pubblicazione del suo celebre racconto Utz (1988), dal nome del suo protagonista, si è risaliti all'identità dell'ufficiale tedesco R. Just, proprietario della raccolta di porcellane di Meissen che è andata all'incanto alla Sotheby's di Londra nel dicembre del 2001, la casa d'aste dove lo stesso Chatwin aveva lavorato come esperto d'arte. Alla Sotheby's di New York, il 27 gennaio 2005, ha raggiunto il prezzo record di 3.683.000 euro un busto di F.X. Messerschmitdt (1770 ca.), che è stato offerto al mercato dai legittimi proprietari ai quali, confiscato durante il nazismo, è stato successivamente restituito.
Nel corso della seconda metà del Novecento, l'antiquariato ha assunto caratteristiche più professionali ed evolute, con meriti indiscutibili, come l'aver riportato nel nostro Paese molte delle opere d'arte che erano state esportate nel 17° 18° sec. da quegli intraprendenti artisti-mediatori i quali agivano per conto del nascente collezionismo privato inglese e francese. Sino agli anni Sessanta la cultura accademica ha focalizzato l'attenzione verso le arti maggiori, la pittura e la scultura, a discapito delle cosiddette arti decorative, appunto definite 'minori'. Queste ultime sono state in seguito del tutto riabilitate in termini scientifici, con il contributo di G. Morazzoni, G. Lizzani, C. Bulgari (per gli argenti e le oreficerie) e, in ultimo, di A. Gonzàlez-Palacios, sulla scorta delle ricerche pionieristiche di studiosi stranieri quali P. Verlet, J. Guiffrey, F. Watson e H. Kreisel per il mobilio tedesco. I preconcetti nei confronti dell'antiquario del resto erano legati, soprattutto in Italia, a un'eccessiva idealizzazione dell'arte che associava questa professione all'aspetto deteriore del collezionismo e del possesso, dell'accumulo e della capitalizzazione. Mutati i tempi, l'antiquariato ha assunto la dignità che gli compete; l'Italia si è riavvicinata agli altri Paesi del mondo occidentale che, invece, avevano sempre riservato ad esso un ruolo istituzionalizzato e all'antiquario un titolo gratificante. In Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Germania ove l'antiquariato moderno si è delineato, attraverso i suoi esponenti più noti, alla fine dell'Ottocento per la tradizione insita nelle classi sociali superiori votate sin dal Settecento al collezionismo e al culto dell'arte.
L'interesse nei confronti dell'antiquariato è avvalorato dalle prestigiose mostre di Montecarlo, Parigi, Londra, New York (The international fine arts fair), ma particolarmente dalla manifestazione di Maastricht, la fiera internazionale d'arte e d'antiquariato più attesa dal pubblico mondiale ove espongono mercanti di ben quattordici nazioni. Quest'ultima fiera è ultimamente caratterizzata da una speciale attenzione per gli arredi e le suppellettili, in special modo di manifattura italiana, ormai considerati, con il corredo di una documentazione filologica che ne attesti le committenze e le provenienze di corte, alla stregua di quelli francesi che sempre avevano detenuto il primato in termini di apprezzamento e di valutazione. L'esempio più eloquente è rappresentato dall'altissima quotazione raggiunta dal Badminton Cabinet, lo stipo in ebano e pietre dure di manifattura del Granducato di Toscana, realizzato nel 1732 per H. Somerset, iii duca di Beaufort che, venduto alla Christie's di Londra nel luglio del 1990 per 8.580.000 sterline, è stato acquistato nel dicembre del 2004 presso la stessa casa d'aste dal principe H.A. ii del Liechtenstein per il suo museo di Vienna, al prezzo record di 27.463.250 euro.
Il caso Wildenstein
Nel panorama internazionale dell'ultimo Novecento, la figura che meglio rappresenta l'antiquariato moderno e che ne riassume i tratti fondamentali, in sintonia con un benessere sempre più esteso e a ricchezze e interessi planetari, è stata quella di D. Wildenstein (1917-2001), terzo esponente di una dinastia di mercanti d'arte parigini, nipote di Nathan, - che fece una colossale fortuna con il commercio di tessuti e della pittura dei maestri del Settecento francese (A. Watteau, J.H. Fragonard, F. Boucher) - e figlio di George, che estese le sue competenze agli impressionisti imposti all'attenzione del collezionismo internazionale dal mercante d'arte moderna P. Durand Ruel (1831-1892). Wildenstein ha seguito le orme dei suoi predecessori sviluppandone l'attività sino ad assurgere a un primato ineguagliato nel mondo.
Cresciuto a contatto con artisti, mercanti e collezionisti quali C. Monet, P. Picasso, S. Dalí, A. Vollard, costretto a emigrare in America, Wildenstein trattò da pari con i grandi musei internazionali e perseguì costantemente, e con uguale rigore, sia gli interessi imprenditoriali - dirigendo le gallerie di New York, Parigi, Londra e Tōkyō ove espose anche le opere di artisti ancora misconosciuti, da H. de Fantin-Latour a J. Dubuffet, al fotografo A. Stieglitz - sia quelli culturali, indispensabile complemento per la sua affermazione di antiquario e collezionista. Direttore di numerose esposizioni del Musée Jacquemart-André, dell'Institut de France e del Musée de Choalis nell'Oise, assunse contemporaneamente la direzione delle riviste Arts, fondata dal padre, e di La Gazette des beaux-arts, rilevata dalla famiglia nel 1928, senza che mai vi apparissero opere in vendita sul mercato. Nel 1970 istituì la Fondazione Wildenstein, un centro di ricerca e documentazione - con una biblioteca di oltre 400.000 volumi - che si affermò con la pubblicazione di cataloghi ragionati degli artisti da lui prediletti quali: J.B.S. Chardin, J.H. Fragonard, N. Lancret, J.A.D. Ingres, Monet, Gauguin, K. Van Dongen, C. Pissarro e M. Utrillo. Per Wildenstein, il cui merito indiscusso è quello di aver contribuito sensibilmente all'evolversi del gusto dei suoi contemporanei, più il mercato è vasto, più aumenta la responsabilità del mercante che deve intuire la vendibilità di un'opera d'arte, nel fragile e sottile equilibrio di fissarne i valori, di negoziarli sapendo presentarla al pubblico, nella sua scoperta o riscoperta.
La situazione italiana
Nei primi anni del Duemila Firenze appare la città erede di una vocazione all'antiquariato e al collezionismo nell'aura romantica dei suoi trascorsi medievali e rinascimentali. Lo rappresentano le raccolte oggi divenute musei di celebri antiquari anglo-fiorentini quali F. Stibbert e P.H. Horne, i palazzi-gallerie di S. Bardini - oltre tremila oggetti dall'Alto Medioevo al Barocco che testimoniano il prestigio imprenditoriale conseguito dal più famoso mercante fiorentino - e di E. Volpi o la collezione di lord A. Acton nella villa La Pietra, divenuta sede di un centro studi dell'Università di New York. Salita alla ribalta del mercato internazionale agli inizi del Novecento, Firenze ha conosciuto anche periodi difficili che, in concomitanza con la crisi americana del 1929, hanno compromesso il suo mercato antiquario con una dubbia reputazione generata dal sospetto che alcuni antiquari avessero ceduto ai musei statunitensi come autentiche opere mistificate. Recenti studi e mostre hanno infatti messo in evidenza i protagonisti storici del falso, lo scultore A. Dossena, il restauratore e pittore I.F. Joni e G. Bastianini analizzando la situazione psicologica nella quale si trovarono ad agire, con la complicità di esperti e appassionati d'arte. La volontà di recuperare una solida tradizione artistica giustificherebbe l'intento di ripetere tecniche e stili delle epoche passate, dalla scultura dell'antichità classica, del Medioevo e del Rinascimento, alla pittura dei primitivi italiani del 14º e 15º sec., secondo gli orientamenti del collezionismo ottocentesco e novecentesco. Dagli anni Sessanta il capoluogo toscano ha riacquistato e consolidato il suo prestigio uniformandosi inizialmente alle altre piazze italiane nel proporre per lo più mobilia e oggetti da arredamento, del Settecento veneziano e francese, accanto a dipinti e sculture della sua tradizione artistica rinascimentale. Una vera e propria dinastia fu quella fondata da C. Bruscoli: suo figlio Riccardo, intenditore di ceramiche divenne il punto di riferimento di collezionisti e studiosi quali G. Cora, la cui raccolta costituisce uno dei vanti del Museo della ceramica di Faenza. Rientrano in questa tradizione anche anche le ditte, specializzate in opere d'epoca, dei Bartolozzi e di G. Bruzzichelli. Quest'ultimo, oltre a essere stato maestro di generazioni di antiquari, fu tra i primi a riscoprire il Neoclassicismo.
Uno spessore particolare ha rivestito la figura di L. Bellini (1885-1955) che, discendente da un'antica famiglia di antiquari, fu tra i fautori di una rinascita del mercato, reimportando l'arte italiana che, in un inarrestabile esodo, era confluita sui mercati stranieri. Egli, fu mecenate di artisti, nonché ideatore della biennale Mostra mercato dell'antiquariato che, dal 1959 nei prestigiosi ambienti di Palazzo Strozzi e dal 1995 in quelli di Palazzo Corsini, ha assegnato alla città il ruolo di capitale europea dell'antiquariato, ove confluiscono espositori italiani e stranieri. La manifestazione fiorentina, promossa da un comitato scientifico e da enti pubblici e privati - tra l'altro, è affiancata da eventi collaterali e devolve parte del ricavato della serata inaugurale al restauro delle sculture del Museo del Bargello - segna una svolta nello sviluppo attuale dell'antiquariato che non può ormai prescindere dal fondamentale apporto dato dalle mostre. M. Bellini (1913), oltre ad avere ereditato il carisma e la capacità organizzativa del padre Luigi nell'ideare la manifestazione, è stato membro e presidente del consiglio direttivo della CINOA (Confédération Internationale des Négotiants en Oeuvres d'Art) - nata nel 1935 con sede permanente a Bruxelles, al fine di promuovere l'attività dei mercanti d'arte -, fondatore nel 1959 dell'Associazione antiquari d'Italia e direttore della Gazzetta antiquaria, una delle più note pubblicazioni divulgative sull'antiquariato che, dal 1987, è diretta dall'antiquario fiorentino G. Pratesi (1939). Costui, grande esperto del Barocco italiano, ha curato tra l'altro il Repertorio della scultura fiorentina del Cinquecento (2003) ed è, dal 1995, presidente dell'Associazione antiquari d'Italia. Di tale associazione fanno parte anche alcuni tra gli esponenti del mercato romano, attivi da più generazioni, che hanno registrato l'andamento dell'alto antiquariato italiano nel 20° sec. e hanno mantenuto il primato antiquariale nella compravendita delle antichità classiche. Una disamina del fiorente commercio di reperti di scavo a Roma trapela negli scritti, solo recentemente pubblicati, dell'archeologo e collezionista L. Pollak (1868-1943), uno dei maggiori conoscitori d'arte europei, esperto nel campo delle falsificazioni, nonché tramite nelle vendite di antichità con i musei di Danimarca, Germania e America. Dalle pagine di Pollak, resoconto affascinante della vita artistica e antiquaria di Roma, riemergono significative alienazioni di capolavori classici, come quelli Ludovisi e Borghese o i bronzi delle navi del lago di Nemi. Un panorama irrepetibile, al quale non è estraneo il fenomeno legato al crollo finanziario delle famiglie principesche che ha portato alla dismissione di quella grande quantità di arredi e dipinti da palazzo che rende particolarmente interessante il mercato romano e nel quale si sono distinte, nel corso del Novecento, grandi famiglie di antiquari come Sangiorgi, Di Castro, Sestieri e Apolloni. Queste famiglie, oltre ad aver valorizzato disegni antichi, arredi stile Impero e stravaganti manufatti nei materiali più rari e insoliti, hanno fornito un importante contributo alla ricerca storico-artistica favorendo l'accesso del Settecento romano nelle raccolte dei musei statunitensi. A Roma dal 2000 si tiene la biennale Arte e collezionismo a Palazzo Venezia, una mostra organizzata dall'Associazione antiquari d'Italia in collaborazione con la Soprintendenza speciale per il polo museale e il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero per i Beni e le Attività culturali; segno tangibile del riconoscimento e del sostegno da parte delle istituzioni pubbliche all'antiquariato ufficiale, inteso quale funzione ausiliare e vitale alla conoscenza e alla divulgazione del patrimonio storico artistico italiano; una legittimazione del mercato, delle sue regole e della sua tutela per una corretta circolazione comunitaria, supporto indispensabile al recupero dell'arte italiana sui mercati internazionali.
Anche Napoli vanta dinastie di antiquari, tra cui quelle dei Falanga e dei Cacace, testimoni delle aste storiche organizzate nel dopoguerra a Palazzo d'Angri, ove sono passate innumerevoli opere d'arte provenienti da famiglie gentilizie decadute, apprezzate non solo dal mercato locale, ma anche da quello statunitense. Il commercio antiquario partenopeo, per lo più concentrato sulle produzioni artistiche e artigianali del Regno di Napoli, conobbe negli anni Settanta del Novecento una sostanziale ripresa, con un particolare interesse per la pittura e la scultura barocca, di frequente reimportata dai mercati stranieri. Grande è inoltre la predilezione del mercato napoletano per i dipinti della scuola di Posillipo e per le arti decorative, dagli argenti alle porcellane, dalle cere all'ebanisteria, favorita dalle imponenti rassegne che sono state dedicate alla civiltà del Seicento (1984), del Settecento (1979) e dell'Ottocento (1997).
Torino, ove all'antiquario P. Accorsi sono intitolati l'omonima Fondazione e il Museo che conserva la sua raccolta di arti decorative del Settecento, si è invece imposta all'attenzione del pubblico internazionale soprattutto nel corso degli anni Novanta con le edizioni della biennale di arte antica al Lingotto. Voluta da Zeri, la rassegna riuniva importanti espositori sia italiani sia stranieri a fianco delle gallerie antiquarie storiche che, tradizionalmente, per la vicinanza con la Francia, hanno sempre prediletto un genere di mercato propenso a trattare arredi decorativi.
La Lombardia e l'Emilia-Romagna sono le regioni da cui l'antiquariato italiano trae maggior profitto grazie alla presenza di un dinamico fervore collezionistico, incentivato anche dalle stesse mostre-mercato che vi si svolgono periodicamente, quali le edizioni del Gotha alle Fiere di Parma (dal 1994). Milano, dove peraltro si tengono la Mostra internazionale dell'antiquariato e la Mostra mercato del libro antico, si fregia di note dinastie di antiquari come Subert, Longari, Piva e Salamon, specializzate in dipinti e stampe antiche, che vantano la pubblicazione di numerosi cataloghi di mostre antologiche, sino ai mercanti nel campo della pittura, della scultura, delle arti decorative e della ceroplastica. Bologna, nel campo della pittura antica, si affida alla competenza, all'audacia e all'estro di note gallerie antiquarie. In realtà la riscoperta della pittura emiliana del Seicento, con artisti quali Domenichino, Lanfranco, Reni e Guercino, è conseguente all'appassionato e rigoroso impegno svolto da studiosi e collezionisti quali D. Sutton e D. Mahon che, sin dagli anni Cinquanta del Novecento, organizzarono soprattutto a Londra mostre pubbliche e private, determinando nella direzione del più selettivo Seicento italiano le linee del recente mercato internazionale.
Nei primi anni del Duemila nel nostro Paese hanno acquistato un peso decisivo sul mercato antiquario le grandi case d'asta, come, per fare qualche esempio, le italiane Finarte e Semenzato, che si sono associate nel 2002, le inglesi Sotheby's e Christie's e la Dorotheum di Vienna, tutte presenti sul mercato italiano. Gli effetti della loro attività stanno nella accattivante strategia di accaparramento della merce presso i venditori o i privati, nella prospettiva di offrire loro - attraverso pubblicazioni di cataloghi e una rete capillare di relazioni - consistenti vantaggi economici, che provocano risultati spesso negativi per l'andamento dell'antiquariato stesso e per la presenza di tutte quelle opere qualitativamente non eccelse.
Valutazioni economiche dell'antiquariato
Nel mercato internazionale degli ultimi decenni del Novecento si è assistito a una crescita quasi esponenziale dei prezzi delle opere d'arte. Tale rialzo ha avuto ripercussioni anche in Italia, poiché ha rafforzato la distinzione fra l'antiquario comune, che tratta oggetti più o meno di qualità, d'arredamento, alla moda e di medio e piccolo collezionismo - settore penalizzato da una generalizzata crisi economica - e i grandi mercanti d'arte che, occupandosi di importanti opere d'arte divenute sempre più rare, hanno conferito alla professione un carattere finanziario. Le opere d'arte, secondo gli economisti, possono rendere il 15% annuo rispetto al normale incremento dei prezzi dovuto all'inflazione, sebbene la loro rivalutazione necessiti di tempi più lunghi. Pertanto nei primi anni del Duemila, in Italia come negli Stati Uniti, l'interesse è rivolto più alla quotazione di vendita, quindi al profitto, che non all'opera in sé. I prezzi sono inoltre lievitati per l'inserimento nel mercato di istituzioni finanziarie private, come le banche, gli istituti di credito e le fondazioni, che investono a lungo termine acquisendo opere d'arte spesso notificate dallo Stato a scopo di tutela. Soltanto di recente iniziative private, che riscuotono una certa considerazione, suppliscono in parte alle carenze delle strutture pubbliche non concorrenziali sul mercato internazionale. Se nel passato erano gli stranieri a rifornirsi in Italia, successivamente vi è stata un'inversione di tendenza; pertanto è all'estero che di frequente si rintraccia la merce che da noi è divenuta rara.
In Francia, come in Italia, la legge non consente alle istituzioni pubbliche un rapporto diretto con il mercato; ma gli esperti e i curatori dei musei, che conoscono l'andamento nazionale e internazionale, acquistano opere per le loro istituzioni da privati e alle aste o esercitano il diritto di prelazione. In Inghilterra il controllo sull'esportazione è esercitato da un comitato costituito da storici dell'arte, direttori dei musei e uomini d'affari. I funzionari dei musei esprimono il loro parere sulle opere che vengono sottoposte al loro giudizio e seguono il mercato con l'intento di incrementare le collezioni pubbliche delle quali sono responsabili.
I librai antiquari
Per quanto concerne i librai antiquari un ruolo di primo piano spetta a T. De Marinis, il quale ha compiuto il suo apprendistato presso il noto editore e antiquario milanese U. Hoepli. La categoria dei librai antiquari, nei primi anni del Duemila, è presente con la sua intensa attività di scambio nelle più importanti aste e mostre internazionali ed è rappresentata da diverse associazioni, fra cui il Circolo dei librai antiquari che, fondato nel 1947, ha un proprio Bollettino e si avvale della collaborazione di esponenti delle principali librerie italiane e straniere.
Modernariato
Parola entrata nell'uso corrente per indicare il commercio e il collezionismo di quegli oggetti che non sono propriamente antichi e tali da far parte dell'antiquariato, ma che appartengono a un'epoca, seppure superata, ancora moderna: il Novecento. Il Modern style indica quegli stili - chiamati liberty in Italia, Art nouveau in Francia e Jugendstil in Germania - da poco entrati nella definizione di antiquariato vero e proprio. Modernariato è tutto ciò che non è più contemporaneo o che evoca un passato relativamente prossimo, dall'Art déco, all'oggettistica e al design degli anni Quaranta, Cinquanta e così via sino a tempi relativamente recenti: i telefoni bianchi, i vasi della Belle époque di Gallé, il mobilio stile Novecento, le suppellettili in bachelite, in vetro o in cristallo, le lampade, le ceramiche di G. Ponti, i giocattoli di latta, le bambole Barbie e i loro guardaroba, le scarpe da ginnastica, i gioielli di strass, le pochettes illustrées (le custodie dei dischi), e tutti quei gadget che restituiscono l'oggetto banale al mondo dell'immaginario; e, ancora, gli abiti e gli accessori delle grandi sartorie prima dell'avvento del prêt-à-porter, come i bottoni, le borsette, le calzature di S. Ferragamo o le frivole montature degli occhiali che E. John possiede a centinaia e usa per enfatizzare pubblicamente lo show dei suoi spettacolari travestimenti. Manufatti di uso quotidiano e vintage che hanno creato il nuovo benessere funzionale ed estetico sono le automobili, le apparecchiature fotografiche e gli elettrodomestici anni Cinquanta e Sessanta, il flipper, la slot machine, il jukebox, il mangiadischi, il calciobalilla, il mobile bar, i manifesti pubblicitari, le insegne luminose, le sedie pieghevoli e trasparenti di G. Piretti, le icone storiche dell'ultimo secolo, come i ritratti di Mao Tse-Tung, le star di Hollywood, i divi del fumetto, da Charlie Brown a Tex e Diabolik, i protagonisti dell'animazione disneyana. La plastica - emblematica della rivoluzione tecnologica e culturale che ha avuto tra i suoi interpreti la stessa Pop Art - è particolarmente apprezzata per la sua duttilità e resistenza che si presta alle provocazioni ironiche e stravaganti delle fogge più curiose, alle funzioni applicate al design moderno e al comfort delle nuove forme per l'habitat, come attesta il made in Italy esposto nei principali musei del mondo, dal Museum of Modern Art di New York al Centre Pompidou di Parigi. Ricercate dal modernariato sono inoltre 'antichità del futuro' come la lampada ombrelliforme Nesso disegnata da G. Mattioli (1967), le macchine da scrivere prodotte dalla Olivetti - quali Lettera 22 disegnata da M. Nizzoli (1950) e Valentine di E. Sottsass e P.A. King (1969) - o la prima radio portatile a transistor prodotta in Europa dalla Brionvega TV Doney 14 (1962), dall'inedita forma a dado arrotondato progettata da M. Zanuso e R. Sapper, autori anche della TV ALGOL 11 (1964), con schermo inclinato e maniglia in metallo estraibile, e della coeva celebre radio TS 502, costituita da due scocche cubiche a guscio apribile. In Italia R. Arbore, autore televisivo e musicista, figura fra i maggiori fautori e cultori di oggetti in plastica, con i quali ha arredato la sua casa ispirandosi al variegato gusto del déco tropicale di Miami Beach. Oggetti e arredi obsoleti sono assurti al rango di collector's items, secondo la volubilità del gusto determinata da svolte imprevedibili e repentine dettate dal desiderio per le novità, per le mode imposte da una situazione economica e culturale in continua evoluzione, mutata negli ultimi decenni con il declino dell'artigianato a favore dei prodotti seriali e tecnologici. Tale situazione attiene, nella sostanza, all'indagine più approfondita dei rapporti fra arte e società, fra arte e commercio in relazione alle profonde trasformazioni che hanno investito il nostro quotidiano, dalla Vespa alla Fiat 500, ai colorati orologi Swatch cui a Cesano Maderno, in provincia di Milano, è stato dedicato nel 2003 il World Museum Swatch costituito da oltre 4000 esemplari della collezione di F. Barindelli. Tra le numerose rassegne dedicate al modernariato nell'Italia dei primi anni del Duemila una delle più rappresentative è il Mercante in fiera di Parma, con una varietà di proposte che abbracciano qualsiasi forma di oggetto di culto, così come si sono moltiplicate le vendite che si tengono su siti internet quali e-Bay, il mercato globale on-line.
bibliografia
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