ANTIGONO Monoftalmo ('Α. ὁ Μονόϕϑαλμος, A. Monophthalmus)
Generale macedone, contemporaneo di Filippo II e di Alessandro il Grande. Figlio di un Filippo, era nato nel 381 a. C. da famiglia macedone di alto lignaggio. Dopo aver servito nell'esercito sotto Filippo, accompagnò Alessandro nella sua spedizione d'Asia. Compiuta la conquista dell'Asia Minore, Alessandro affidò ad Antigono la satrapia della Frigia; nel qual comando egli ebbe subito a dar prova del suo alto talento militare, quando, con le esigue forze lasciate ai suoi ordini, sconfisse e ricacciò i contingenti persiani che, dopo la battaglia d'Isso, Dario aveva riorganizzati e rinforzati, per gettarli, in Asia Minore, sulle vie di comunicazione di Alessandro, operante allora in Siria e in Egitto (332 a. C.; cfr. Curzio Rufo, IV, 1, 34 segg.; Diodoro, XVII, 48, 5).
È noto che, alla morte di Alessandro, i maggiori dei suoi generali convennero di riconoscere per il momento come re il fratellastro del defunto monarca, Filippo Arrideo, e, come reggente del regno, al posto di Cratero allora assente, Perdicca, detentore del sigillo reale: nella divisione delle provincie dell'impero, alla quale allora si addivenne, toccarono ad Antigono la Frigia Maggiore, la Licia e la Panfilia (Arriano, Diad., 6; Diodoro, XVII, 3, 1).
Nell'intento di consolidare il dominio della dinastia macedone in Asia Minore, Perdicca aveva affidato ad Eumene di Cardia, il fedele segretario di Alessandro Magno, il compito di assoggettare la Cappadocia, ordinando ad A. di aiutarlo nell'impresa; e poiché questi, che già si intendeva con Antipatro e con Cratero, tenne in tale frangente un contegno assai sospetto, fu invitato da Perdicca a giustificare la sua condotta. Troppo debole per sfidare il reggente, A. fuggì dalla sua satrapia, recandosi presso Cratero ed Antipatro, e facendosi iniziatore di una lega contro Perdicca, alla quale aderirono tosto anche Lisimaco, stratego della Tracia, e Tolomeo, satrapo dell'Egitto (Arriano, Diad., 20, 24; Diodoro, XVIII, 23, 25). Le forze della coalizione sbarcarono in Asia, ad Efeso, nella primavera del 322 al comando di Antigono; fatti passare dalla sua parte i satrapi della Caria e della Lidia, obbligato Eumene a ritirarsi nell'interno, A. si diresse quindi a Cipro, in appoggio dei principi dell'isola, alleati di Tolomeo.
Ucciso frattanto Perdicca in Egitto, nel maggio-giugno del 321, si venne, fra i generali, ad una nuova spartizione delle provincie, a Triparadiso, in Siria: quivi, mentre veniva proclamato reggente Antipatro, venivano assegnate ad A. le sue antiche provincie, e gli veniva affidato il comando supremo dell'esercito d'Asia, con l'assistenza di Cassandro, figlio di Antipatro, quale comandante della cavalleria. A meglio cementare quest'amicizia, una figlia di Antipatro, Fila, vedova di Cratero, fu sposata al giovane figlio di A., Demetrio (Plutarco, Demetrio, 14; Diodoro, XIX, 59, 3-6). Così A. fu ora lasciato in Asia, con un corpo di 8500 Macedoni, con molti mercenarî e truppe asiatiche, per condurre la guerra contro Eumene e i suoi fautori. Mosso all'offensiva nella primavera del 320, riuscì a battere completamente Eumene in Cappadocia, costringendolo a rifugiarsi nel castello di Nora, sul fianco settentrionale del Tauro, ove l'assediò (Diodoro, XVIII, 40-42; Plutarco, Eum., 9-11; Nepote, Eum., 5).
La sistemazione così raggiunta fra i Diadochi fu di lì a poco nuovamente scossa dalla morte di Antipatro che, per essere stato, insieme a Parmenione, il più valente collaboratore di Filippo e aver tenuto, durante il regno di Alessandro, la luogotenenza in Macedonia, era restato fino allora il più autorevole fra essi (319). Ma a succedergli nella reggenza Antipatro aveva designato non il figlio Cassandro, nel quale nutriva scarsa fiducia, bensì Poliperconte, un vecchio generale di Filippo. Naturalmente Cassandro gli si mise subito contro, assicurandosi, in Asia, l'appoggio di Antigono, mentre, a sua volta, Poliperconte trovava sostegno in Eumene, sempre fedele alla causa della famiglia reale: dalla parte di A. si schierò invece Tolomeo. La morte di Antipatro aveva incoraggiato le aspirazioni di A. all'egemonia dell'Asia; in vista di ciò, egli curò che a capo delle varie provincie asiatiche fossero uomini a lui fidi, ed era venuto anche ad un'intesa con Eumene, il quale era riuscito così a liberarsi dall'assedio: ora, invece, lo trovava di nuovo schierato fra i suoi nemici.
Con la grande vittoria navale conseguita a Bisanzio sulla flotta di Poliperconte, comandata da Clito (autunno del 318: Diodoro, XVIII, 72; Polieno, IV, 6, 8), A. fu padrone del mare, e poté così rivolgersi, con le spalle al sicuro, a combattere Eumene, che s'era frattanto recato a svernare in Babilonia.
Antigono, dopo aver convenientemente rinforzato il suo esercito e aver ricevuto l'adesione dei satrapi della Babilonia e della Media, marciò, nell'estate del 317, contro Eumene, che aveva frattanto preso posizione nella Susiana e, di qui, nella Perside. Sulla strada da Ecbatana ad Aspadana si combatté fra i due eserciti una prima battaglia, che rimase indecisa; ma Antigono, marciando attraverso i deserti, piombò di nuovo, in pieno inverno, sul campo di Eumene, che fu però in tempo a ordinare l'esercito a battaglia. La giornata si chiuse con la vittoria di A., al quale gli argiraspidi macedoni di Eumene, che avevano vantaggiosamente combattuto sul loro fronte, consegnarono il loro capo: per volontà dell'esercito, Eumene fu giustiziato (316 a. C.: Diodoro, XIX, 37-44; Plutarco, Eum., 15-19; Nepote, Eum., 8-13).
A. possedeva ora la parte centrale dell'impero; obbedivano a lui quasi tutte le provincie dall'Ellesponto all'Indo; erano in sua mano i tesori reali di Susa, Ecbatana e Kyinda (30.000 talenti): egli poteva ora accarezzare l'idea di riunire sotto di sé tutto il dominio di Alessandro. Si formò pertanto una nuova coalizione fra Tolomeo, Cassandro e Lisimaco, per appoggiare prima di tutto Seleuco, che A. aveva allontanato dalla sua satrapia della Babilonia. Avendo A. respinto l'ultimatum degli alleati (restituzione di Seleuco nella sua satrapia, cessioni territoriali a tutti i collegati, spartizione dei tesori regi: Diodoro, XIX, 57), si venne di nuovo, al principio del 315, alla guerra civile. In un primo tempo, Poliperconte e il figlio Alessandro stettero dalla parte di Antigono, per passare, poco di poi, a quella di Cassandro; si combatté in Siria, in Macedonia, in Grecia con esito favorevole ad A., finché non mutarono le sorti con la battaglia di Gaza, perduta da suo figlio Demetrio (312). In seguito a ciò si venne, nel 311, ad una pace generale sulla base dello statu quo territoriale, previa reintegrazione di Seleuco nella sua satrapia, notevolmente ingrandita. Questo trattato si può ben dire l'atto di fondazione delle cinque monarchie ellenistiche, che venivano a prendere definitivamente il posto dell'impero universale di Alessandro (Diodoro, XIX, 105). E infatti, i cinque diadochi assunsero, di lì a pochi anni, il titolo di re, nel corso della nuova guerra che non tardò ad insorgere fra di loro.
L'orgoglio spingeva A. a desiderare tuttavia una posizione predominante fra i suoi rivali; d'altra parte la distruzione della famiglia reale, perpetrata ora da Cassandro, toglieva via l'ultimo simbolo, ancora esistente, dell'unità dello stato. Il primo a muovere contro A. fu Tolomeo, col pretesto che quegli manteneva, contrariamente alle clausole della pace, il possesso della Cilicia e l'occupazione delle città greche d'Asia: Tolomeo fu solo, per qualche anno, a combattere contro A., e gran parte della Grecia venne in suo potere, mentre un'altra parte restava in soggezione di Cassandro. A questo punto, A. credé arrivato il momento di iniziare la lotta per la liberazione della Grecia: nella primavera del 307 inviò, con una forte flotta, il figlio Demetrio in Europa, con l'incarico di togliere, anzitutto, a Cassandro il possesso di Atene. Demetrio riuscì nell'impresa; la democrazia fu da lui restaurata in Atene. L'anno dipoi, dopo una grande vittoria navale riportata da Demetrio su Tolomeo, a Salamina di Cipro, A. assunse ufficialmente per sé e pel figlio il titolo di re: in ciò imitato ben presto da' suoi avversarî (Diodoro, XX, 45-53; Plutarco, Demetrio, 8-9; 16).
L'ambizione di A. di riunire sotto di sé tutta l'eredità di Alessandro pareva riprender corpo: bisognava però ch'egli si rendesse signore dell'Egitto, dove Tolomeo s'era creato una base di potenza, che appariva ogni giorno più sicura. Senza indugio, nell'autunno dello stesso anno 306, A. si metteva in marcia alla volta dell'Egitto con un imponente esercito di quasi 100.000 uomini e 150 navi da guerra. Frattanto Demetrio si recava, per incarico del padre, a combattere Rodi che non aveva voluto unire le sue forze a quelle di Antigono: l'assediò invano per un anno, e dové poi concederle onorevole pace. Dopo di che egli spostò la sua azione in Grecia, per arrestare ivi i progressi delle armi di Cassandro; la sua campagna si svolse là con pieno successo, sicché, nella primavera del 302, tutta la Grecia era riunita in una lega di città libere sotto il protettorato di A. e di Demetrio. Ma, a questo punto, A. lo richiamò.
Egli infatti, che aveva quasi subito dovuto rinunziare all'offensiva contro l'Egitto, si trovava ora in Siria stretto da vicino dagli eserciti dei rivali collegati, che avevano risposto all'appello di Cassandro. Aveva iniziato l'offensiva in Asia Minore, nella primavera del 302, Lisimaco, al quale si univa ben presto Seleuco; anche Tolomeo era in marcia, nella Celesiria; ma di qui si affrettava a ritornare in Egitto, per la falsa notizia di una rotta subita dai suoi alleati. Invece gli eserciti di Lisimaco e di Seleuco fronteggiavano, ad Ipso nella Grande Frigia, quello di Antigono: quasi eguali erano le forze in uomini (circa 70.000 per parte), molto inferiore A., agli avversarî in elefanti da guerra (75 contro 480). Nell'agosto del 301 si venne a battaglia: la vittoria fu dei collegati, che la guadagnarono mercé la loro superiorità in elefanti e la tattica erronea di Demetrio. Quando A. vide che tutto era ormai perduto, non volle sopravvivere alla sconfitta e trovò la morte sul campo (Diodoro, XX, 113; XXI, 1; Plutarco, Demetrio, 28-29).
Fonti: Sono perdute le fonti contemporanee, come le Stoorie di Ieronimo di Cardia e quelle di Duride di Samo. Un racconto continuato di questo periodo si trova soltanto in Diodoro Siculo (libri XVIII-XX) e in Giustino (libri XIII-XVII). Utili sono pure (anch'esse derivanti principalmente dal materiale raccolto da Ieronimo e da Duride) le biografie di Eumene e Demetrio scritte da Plutarco, e la vita di Eumene di Cornelio Nepote. Dell'opera di Arriano sui successori di Alessandro (τὰ μετ' 'Αλέξανδρον) non si hanno che estratti.
Bibl.: J. G. Droysen, Histoire de l'Hellénisme (trad. franc. di A. Bouché-Leclercq), Parigi 1833-1885; Spiegel, Eranische Altertumskunde, III, Lipsia 1878; J. Kaerst, Geschichte des hellenist. Zeitalters, 2ª ed., II, Berlino-Lipsia 1926; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, 2406 segg.; J. Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., IV, Berlino e Lipsia 1925-27.