antifascismo
L'opposizione ideale e politica al fascismo
Per antifascismo si intende in genere il movimento che si oppose al fascismo italiano durante tutta la sua vicenda (1919-45) e che rappresentò il comune denominatore delle diverse forze politiche impegnate dapprima nella Resistenza e poi nella fondazione della Repubblica. A volte si parla di antifascismo anche per indicare l'opposizione ad altre dittature di destra del 20° secolo, come il nazismo tedesco, il salazarismo portoghese, il franchismo spagnolo, il peronismo argentino, il regime di Pinochet in Cile.
Nato come risposta alle prime violenze dello squadrismo fascista (1919-20), l'antifascismo assunse una sua configurazione più precisa nel periodo che va dalla marcia su Roma (1922), che portò Mussolini alla guida del governo, all'adozione delle leggi 'fascistissime' (1925), che segnarono la definitiva affermazione della dittatura. A fare opera di antifascismo, in questa fase, furono i socialisti, i comunisti, i democratico-liberali, gruppi consistenti di popolari (partito di ispirazione cristiana) e alcuni liberali. Ma l'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924), che aveva denunciato in Parlamento le violenze commesse dai fascisti, fece precipitare la situazione. Il ritiro (il cosiddetto Aventino) della maggior parte dei deputati antifascisti dal Parlamento non indebolì il regime, che anzi eliminò definitivamente ogni possibilità di opposizione legale. La maggior parte dei dirigenti antifascisti fu quindi costretta a rifugiarsi all'estero (perciò erano detti fuoriusciti). Tra le vittime della repressione e della violenza fasciste vanno ricordati il comunista Antonio Gramsci (arrestato nel 1926 e morto nel 1937), il democratico-liberale Giovanni Amendola e il liberal-rivoluzionario Piero Gobetti (morti entrambi in Francia nel 1926, in seguito alle conseguenze delle aggressioni subite).
La maggior parte dei fuoriusciti si stabilì in Francia e diede vita a due raggruppamenti: quello costituito dai partiti che avevano preso parte all'Aventino e quello formato dai comunisti; a essi si aggiunse, dal 1929, il gruppo di Giustizia e Libertà, ispirato agli ideali del liberalsocialismo e i cui principali esponenti furono Carlo e Nello Rosselli (assassinati in Francia nel 1937 dai servizi segreti fascisti). I fuoriusciti tenevano i contatti con quel poco di opposizione clandestina che c'era in Italia e nella quale si distinguevano alcuni gruppi di operai comunisti, nonché alcuni intellettuali che avevano il loro punto di riferimento in Benedetto Croce, il filosofo che nel 1925 aveva pubblicato il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Fu questa la fase più difficile dell'antifascismo: intraprendere attività antifasciste nel momento in cui il regime sembrava più saldo che mai significava rischiare molto (perdita del lavoro, carcere, confino).
Ma la successiva alleanza dell'Italia con la Germania nazista e l'adozione delle leggi razziali contro gli Ebrei (1938) determinarono, soprattutto tra i giovani, una crisi strisciante del fascismo, che formò il terreno dal quale sarebbe nata la Resistenza.
Nel 1942 le forze antifasciste si riorganizzarono anche in Italia: oltre ai comunisti, che erano stati attivi anche negli anni precedenti, si mobilitarono i cattolici (nella Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare), gli azionisti (cioè i seguaci del Partito d'Azione, nato da Giustizia e Libertà), i socialisti e i liberali. Costoro si riunirono nel Comitato di liberazione nazionale (CLN), che guidò le varie formazioni partigiane impegnate, a fianco delle truppe angloamericane, nella lotta per la liberazione dell'Italia dall'esercito tedesco e dai fascisti della Repubblica di Salò. Tra questi partiti (e le rispettive formazioni partigiane) non mancarono i contrasti, visti i diversi orientamenti ideali e politici, ma nel complesso l'unità degli antifascisti prevalse, permettendo loro, nel dopoguerra, di fondare la Repubblica e di scrivere insieme la nuova Costituzione.