antibiotico
Sostanza prodotta da un microrganismo per attaccare e sopprimere la crescita di un altro microrganismo. Il termine comunemente identifica, anche se impropriamente, tutte le molecole utilizzate nella terapia antibatterica. La maggior parte di queste molecole è ormai prodotta per emisintesi, a partire dal prodotto naturale, o per sintesi chimica completa. Per questo motivo, in maniera corretta, i prodotti ottenuti per sintesi o emisintesi dovrebbero essere denominati chemioterapici antibatterici, riservando il termine a. ai soli composti di origine naturale. Il primo a., isolato da A. Fleming da una muffa del genere Penicillium, fu denominato penicillina G. Questa molecola presenta una struttura chimica caratterizzata da un anello beta-lattamico. Si è osservato che l’integrità di tale anello è essenziale per l’attività antibatterica, per cui a oggi è stato prodotto un gran numero di derivati beta-lattamici di sintesi ed emisintesi. Oltre agli a. beta-lattamici (penicilline, cefalosporine, monobattami, carbapenemi) esistono numerose altre classi di a., differenti per struttura chimica e per tipologia di azione.
Prima di impiegare un a. bisogna considerare due elementi: il paziente e l’eziologia accertata o probabile della malattia. Per quel che riguarda il paziente è indispensabile valutare allergie, funzionalità epatica e renale e, per quel che riguarda l’agente eziologico, accertato o presunto, la sua sensibilità agli antibiotici. L’analisi di questi fattori orienta la scelta dell’uso dell’a. più appropriato. Altri importanti fattori da considerare sono lo spettro d’azione, le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche e gli eventuali effetti indesiderati. La durata della terapia, la posologia e la via di somministrazione dipendono da tipo, sede e gravità dell’infezione e dalla risposta alla terapia. Nei soggetti immunodepressi, in particolare in caso di neutropenia grave, gli a. battericidi sono da preferire ai batteriostatici. Occorre notare che uno stesso a. può comportarsi come batteriostatico su alcuni batteri e come battericida su altri. La durata della terapia dipende dalla natura dell’infezione e dalla risposta al trattamento. La terapia non deve essere prolungata oltre il necessario in quanto aumenta il costo, facilita l’insorgenza di resistenze e può causare la comparsa di effetti indesiderati; in molti casi sono sufficienti 5÷7 giorni di terapia. In alcune infezioni è, comunque, indispensabile proseguire la somministrazione per periodi relativamente lunghi, come nel caso della tubercolosi o dell’osteomielite cronica. In caso di forme gravi è richiesta in genere la via endovenosa, ma i farmaci antibatterici con buon assorbimento possono essere somministrati per via orale per talune infezioni gravi. La somministrazione parenterale è inoltre appropriata anche quando la somministrazione orale non è praticabile o se l’assorbimento non è adeguato.
Prima di usare un a. devono essere tenute presenti alcune regole generali: le infezioni virali non richiedono una terapia a., tuttavia, gli a. possono essere utili per controllare infezioni batteriche secondarie; devono essere raccolti campioni per le colture microbiologiche e per effettuare l’antibiogramma; è fondamentale per la scelta dell’a. la conoscenza delle specie batteriche prevalenti e della loro sensibilità. In caso di isolamento del microrganismo responsabile, la terapia si basa sulla scelta del farmaco più specifico. Se, al contrario, non viene isolato alcun patogeno la somministrazione dell’a. può essere continuata o sospesa in base a valutazione clinica. Quando la massima concentrazione non tossica di a. che si può raggiungere nel sangue e nei tessuti di un paziente non ha più alcun effetto su un ceppo batterico, esso viene definito resistente. I batteri possono diventare capaci di sopravvivere e di moltiplicarsi nonostante la presenza dell’a. attraverso vari meccanismi (➔ antibioticoresistenza).