DORIA, Ansaldo
Nacque a Genova verso il 1220 da Oberto di Pietro. Fin da giovane collaborò coi fratelli Pietro, Nicolò, Lanfranco e Tommaso nella grande ditta (attiva nella intermediazione commerciale e finanziaria tra Mediterraneo occidentale e Mediterraneo orientale), che il padre aveva saputo abilmente costruire agli inizi del secolo. Il primo documento che lo ricorda è del 1247, quando appare creditore di una somma a lui dovuta da Oberto "de Planis" (13 febbraio). Secondo le abitudini delle grandi famiglie mercantili genovesi, dopo un periodo di apprendistato accanto al padre, mentre il figlio maggiore (in questo caso, Pietro) era destinato a succedergli come titolare della ditta, gli altri figli agivano autonomamente, pur restando legati all'impresa familiare da proprietà di immobili e di navi e da rapporti comuni di affari. In particolare, la flotta commerciale della famiglia (l'ammiraglia, la "Paradisus magnus", poteva ospitare un equipaggio di cento marinai) veniva utilizzata da tutti i fratelli. Nel 1248 il D. concesse una forte somma al fratello Nicolò, che promise di restituirla in bisanti di Siria, quando la nave ammiraglia (di cui era comproprietario anche Pietro) avesse toccato il porto di San Giovanni d'Acri (20 agosto). Nel 1250 Pietro noleggiò ai due fratelli la stessa nave, diretta sempre nel porto mediorientale di Acri (23 febbraio). L'anno successivo la nave fu data a nolo a diversi mercanti (tra cui il D.), diretti a Tunisi, primo scalo della rotta verso la Terrasanta (2 agosto). Nel 1253 egli nominò suo procuratore Percivalle, figlio del fu Guglielmo Doria, per riscuotere il capitale e gli interessi di una commenda affidata ad un mercante, che la aveva trafficata in Sardegna (22 marzo); fu, in seguito, teste ad una commenda consegnata al nipote Oberto, il futuro capitano del Popolo (14 aprile).
Nel 1259 assistette all'accordo tra il sindaco dei mercanti di Pavia e Agnesina, vedova del marchese Corrado Malaspina, circa i dazi imposti alle merci transitanti per la strada Genova-Voghera-Lombardia (18 dicembre). Nel 1261, insieme con tutti i notabili cittadini, ratificò il trattato di Ninfeo (10 luglio). L'anno seguente, il 5 maggio, secondo il racconto annalistico, fu una sua nave a portare in città un ambasciatore del Paleologo, con la notizia che Costantinopoli era stata tolta ai Veneziani ed ai Latini; probabilmente l'inviato bizantino era anche latore di una ulteriore richiesta di aiuto contro lo spodestato Baldovino. Tuttavia, il giorno dopo, un colpo di mano guelfo portò alla caduta del governo di Guglielmo Boccanegra. Il D. fu chiamato a far parte della commissione di quindici membri, incaricata di reggere provvisoriamente la città, in attesa dell'arrivo del nuovo podestà straniero; il 15 giugno la commissione fu sciolta.
La spedizione genovese, mandata in aiuto dell'imperatore bizantino e guidata dagli ammiragli Ottone Vento, Simone de laritea e lanella Avvocato, finì col creare gravi complicazioni al governo genovese: accusati di malversazioni, i comandanti vennero licenziati dal Paleologo, provocando una crisi diplomatica, che rischiò di turbare il recente accordo tra le due potenze. Su richiesta del Consiglio maggiore, allargato per l'occasione a sei uomini per "compagna", venne formato un tribunale di tre membri, scelti per la loro esperienza ed il loro prestigio; il D. fu tra questi. I lavori si conclusero nel 1264 con la condanna degli ammiragli. Questo processo fu diretto anche a ridimensionare nel governo della città il peso del partito guelfo (in particolare, dei Grimaldi), a cui gli ammiragli erano legati. Ne uscì un accordo tra i notabili genovesi, che prevedeva la distribuzione delle cariche pubbliche tra quattro gruppi di potere: i Fieschi, i Grimaldi, i Doria uniti agli Spinola, le restanti famiglie cittadine.
Nello stesso tempo il D. continuò la sua attività di grande mercante; nel 1264 ricevette in commenda una partita di panni tedeschi da trafficare in Sicilia (13 ottobre); nello stesso anno, insieme col fratello Pietro, fu nominato curatore di Pietrino, figlio di Lanfranco, loro fratello, che sposò Adelasia, figlia di Guidetto Spinola (11 ottobre); nel 1268 fu teste, insieme col nipote Lamba, all'acquisto di una partita di stoffe (16 aprile).
L'esperienza marinara del D. e la popolarità da cui doveva essere circondato nell'ambiente cittadino fecero si che egli venisse scelto a guidare, sia pure temporaneamente, il corpo di spedizione genovese partecipante alla crociata voluta da Luigi IX. Il re francese si era impegnato a fondo per la seconda volta nell'impresa, trovando finanziamenti, navi e uomini a Genova. I Doria furono in prima fila tra coloro che appoggiarono il progetto, cui collaborarono anche con la loro nave ammiraglia, la "Paradiso". Secondo gli accordi con la Corona di Francia, le navi avrebbero dovuto trovarsi agli inizi di maggio del 1270 ad Aigues-Mortes, ma trascorse molto tempo prima che l'organizzazione fosse completata. I marinai genovesi (che superavano il migliaio), in attesa dell'arrivo di un comandante ufficialmente eletto dal loro Comune, scelsero come capi Filippo Cavarunco ed il D., sotto il cui comando salparono dal porto francese il 2 luglio.
Sono note le traversie che la spedizione crociata subi: particolarmente grave per la politica genovese fu il dirottamento imposto da Luigi IX, che costrinse i crociati ad attaccare Tunisi, il cui emiro era legato da ottimi rapporti con Genova. Agli inizi di settembre l'arrivo del capo ufficiale del contingente genovese, Franceschino da Camilla, dovette far ritornare il D. in secondo piano. Dopo l'accordo stipulato da Carlo I d'Angiò re di Sicilia e fratello di Luigi IX (morto il 25 agosto) con l'emiro di Tunisi (30 ottobre), di fatto la crociata si concluse. Le navi, comprese quelle genovesi, si trasferirono a Trapani, a fine novembre. La sera successiva al loro arrivo, una violenta tempesta affondò 18 legni crociati e provocò la morte di alcune migliaia di uomini. Carlo applicò, pertanto, lo ius naufragii (2 dicembre), estendendolo anche ai Genovesi, perché ritenne che il cambiamento di regime, che aveva portato in Genova al potere i capitani del Popolo, lo avesse liberato da ogni clausola stipulata precedentemente col governo di quella città. Anche il D. dovette essere coinvolto nella vicenda; infatti, scioltasi la flotta crociata, egli preferì rimanere, come altri, ancora a Trapani, per rimettere in sesto i suoi affari. Il 5 genn. 1271 ricevette in prestito una somma di tomesi, impegnandosi a restituirla dopo l'arrivo del contratto a Genova. Sempre nello stesso anno, fece ritorno nella sua città, poiché nel dicembre assistette alla ricopiatura di un trattato diplomatico nel Liber iurium della Repubblica.
Per gli anni successivi, possediamo solo notizie frammentarie sul D.: probabilmente egli continuò a dedicarsi al commercio, lasciando ad altri membri più giovani della famiglia il compito di appoggiare il nipote Oberto, divenuto nel 1270 capitano del Popolo. Nel 1277 risulta interessato alla riscossione degli introiti provenienti dalla gabella del sale di Porto Maurizio (8 agosto); nel 1282 assistette all'atto in cui gli eredi di Enrico di Cinarca infeudarono i loro territori in Corsica al Comune genovese (10 aprile); nello stesso anno combinò il matrimonio tra Nicolò, figlio del fu Daniele Doria, e Velochia, figlia di Manuele Zaccaria, fratello del celebre ammiraglio Benedetto (9 maggio). Fu poi scelto come podestà di Albenga per il 1287-88; in tale veste si occupò della riforma degli statuti e, come procuratore della città, stipulò un accordo con Nano, marchese di Ceva (2 giugno 1288). Nel 1289un Ansaldo Doria (forse da identificare con il D.) fu eletto podestà di Levanto. Nello stesso anno egli assistette certamente agli accordi intercorsi tra il suo Comune e Manuele De Mari, che sottopose i suoi possessi in Corsica alla protezione genovese.
Questa presenza del D. ad atti ufficiali concernenti la Corsica non doveva essere casuale: forse proprio in questa isola il ramo della sua famiglia cercò di porre le condizioni per la conquista di un territorio. Furono, infatti, i figli del D., Luchetto ed Ingo, a guidare le operazioni militari per soffocare la rivolta di Sinucello Della Rocca, "Giudice di Cinarca", sobillato da Pisa; nella campagna repressiva, tuttavia, Luchetto si ammalò (mori poco dopo), e fu provvisoriamente sostituito nel comando da Ingo.
Ancora nel luglio 1290il D. risulta attivo a Genova; dovette, però, morire subito dopo. Fu sepolto nella tomba di famiglia nel monastero di S. Fruttuoso di Capodimonte, presso Camogli.
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