ANOMEI
. Così, dal greco ἀνόμοιος "dissimile", da loro usato per indicare il rapporto tra il Padre e il Figlio nella Trinità, o anche aeziani o eunomiani da Aezio (v.) ed Eunomio loro capi, furono chiamati alcuni ariani del partito più spinto. I nomi exucontiani o eterusiani possono invece designare tutti indistintamente gli ariani, che considerano il Figlio generato nel tempo dal nulla (ἐξ οὐκ ὄντων) e come formato "di un'altra sostanza" (ἐξ ἑνέρας οὐσίας) dal Padre. Come gruppo indipendente, gli anomei si segnalarono in varî concilî (Sirmio, del 337; Antiochia, del 358); l'anno successivo, l'influenza di Basilio di Ancira condusse all'esilio di Aezio dopo i concilî di Ancira e di Seleucia. Eunomio, più fortunato, con l'appoggio di Eudossio divenuto vescovo di Costantinopoli, fu trasferito a Cizico. Poi i due si guastarono e gli eunomiani ebbero un loro vescovo, e un momento di fortuna: il gruppo era ancora forte al tempo dell'imperatore Valente. Ma Graziano li escluse dal suo editto di tolleranza, e la condanna solenne del sinodo di Costantinopoli (381) provocò i provvedimenti dell'autorità imperiale (Codice Teodosiano, XVI, 5, 31, 32, 34, 49, 58). Gli ulteriori dissensi che divisero ancora la setta hanno poca importanza; ma gruppetti di anomei si ritrovano nel sec. V, nascosti in luoghi isolati (onde il nomignolo di trogliti o trogloditi).
Se in sostanza gli anomei riproducono la dottrina ariana nella sua purezza, si staccano da Ario per un maggiore tecnicismo filosofico a base aristotelica, che li porta a distinguersene in due punti. L'essenza della divinità è nel suo essere ingenerata (ἀγεννησία, latino aseitas) che è, quindi, propria del Padre (il Padre è ingenerato, ἀγεννεγός, il Figlio generato, γεννηγός); ma tra l'essenza (οὐσία) divina, incomunicabile, e l'attività (ἐξέεγεια) comunicabile, essi distinguevano; la divinità del Figlio consisteva perciò, secondo essi, nella sua partecipazione all'attività. Inoltre, mentre Ario, partendo da presupposti più vicini al neoplatonismo, riteneva Dio assolutamente inconoscibile, Eunomio pensava che Dio stesso non conosce di sé più di quanto possa saperne il filosofo.
Bibl.: Gli storici ecclesiastici Socrate (St. Eccles., IV, 7 e V, 2, in Patrologia graeca, LXVII, coll. 474, 568); Sozomeno (St. Eccl., VII, 17; ibid., col. 1464); Filostorgio (St. Eccl., I, i; II, 3; VIII, 2; IX, 4; X, 2; ibid., LXV, coll. 461, 468, 555, 570, 583); S. Epifanio (Panarion haer. 76, importante per i 47 "sillogismi" di Aezio); Teodoreto (Haereticarum fabularum compendium, IV, 3, in Patrol. gr., LXXXIII, col. 421). L'Apologia di Eunomio è in Patrologia graeca, XXX, col. 868, la sua professione di fede ("Εχϑεσις πίστεως) ibid. LXXII, col. 950. S. Basilio, Contra Eunomium, in Patrol. Gr. XXIX, e Greogorio di Nissa, Contra Eunomium, in Patrol. Gr., XLV. Opere moderne: Hefele-Leclercq, Histoire des Conciles, Parigi 1907, I, ii, p. 886 segg.; J. Tixeront, Histoire des dogmes, II, 4ª ed., Parigi 1912, p. 49 segg.; J. F. Bethune-Baker, An Introduction to the early history of Christian doctrine, 3ª ed., Londra 1923, p. 178 segg.; R. Seeberg, Lehrbuch der Dogmengeschichte, II, 3ª ed., Erlangen 1923, p. 106.