LITOLFI, Annibale
Nacque nella seconda decade del secolo XVI, primogenito dei tre figli di un esponente della famiglia Litolfi di cui è ignoto il nome e di Antonia Balliani, dama di corte della duchessa di Mantova Margherita Paleologo.
Il padre apparteneva a una famiglia di notai e piccoli proprietari terrieri con interessi economici lungo l'area del Po mantovano tra Gazzuolo e Viadana, dove dal 1528 al 1594 esercitarono il notariato un Bartolomeo Litolfi e suo figlio Giacomo Francesco, dei quali però si ignora il grado di parentela con il Litolfi. Come il L., anche i suoi fratelli, Girolamo e Claudio, furono al servizio dei Gonzaga; Claudio nel 1557 fu mandato dalla Paleologo presso Ludovico Gonzaga in Francia.
È certo che il L. fu in stretta familiarità con i Calandra, i cui esponenti ricoprirono per varie generazioni le cariche di segretario, castellano o maestro di corte dei Gonzaga. Tale legame è rivelato dallo stesso L. nelle lettere del 1539 dirette in Monferrato a Sabino Calandra, in cui egli, definendo Sabino suo barba, o zio, rivela una forma di parentela non meglio precisata che è però anche associabile, nell'uso del tempo, a una qualche sorta di tutela esercitata da Calandra sul L. in sostituzione del padre, probabilmente a quella data già morto.
Si ignora come si sia svolta l'educazione del L.; è certo però che il cospicuo carteggio inviato da lui dalle sedi diplomatiche in cui fu destinato rivela il possesso di una solida formazione classica. A Mantova il L. frequentò l'umanista Benedetto Lampridio, uno dei precettori di Francesco Gonzaga, primogenito del duca Federico. Fu probabilmente grazie alla tutela del Lampridio che nell'aprile 1539 Pietro Bembo, da poco cardinale, adempì una promessa fatta durante una visita a Mantova nel 1537, quando si offrì di prendere al suo servizio il L. al posto del fratello minore Girolamo, come in un primo tempo era stato richiesto, essendo quest'ultimo considerato dal Bembo troppo giovane. Il L. non raccolse l'invito e rimase a Mantova, dove fu in contatto con il poeta Nicolò d'Arco, al quale prestò alcune odi del Lampridio ricevendone in cambio nove versi di apprezzamento Ad Hannib. Lytolphum (d'Arco, p. 92).
Al servizio già in quell'anno del duca Federico II, il L. compare nei primi mesi del 1540 come compilatore e firmatario in veste di cancelliere di numerosi decreti ducali. Nonostante il riordino della Cancelleria ducale e la riduzione del numero dei segretari - realizzato dopo la morte del duca (28 giugno 1540), dai reggenti, il cardinale Ercole Gonzaga e Margherita Paleologo - il L. rimase in servizio fino ai primi mesi del 1547, data in cui scompaiono le tracce di questa sua attività. Ciò si dovette forse a Giovanni Giacomo Calandra, capo della Cancelleria, che considerava il L. uno dei segretari insostituibili. Nel 1540, infatti, con l'assegno di 3888 lire - il più alto tra tutti quelli degli oratori mantovani, come risulta da un bilancio redatto dalla Camera ducale nel 1554 - il L. fu nominato ambasciatore a Milano, presso il governatore Ferrante Gonzaga. Già nell'ottobre 1547 le relazioni del L. da Piacenza, al seguito del Gonzaga, informavano dell'occupazione della città in seguito all'uccisione del duca Pierluigi Farnese, avvenuta il 10 settembre per mano dei nobili congiurati locali con la connivenza dello stesso Ferrante.
Tornato a Milano nel novembre, il L. prolungò il suo incarico di segretario ambasciatore in quello Stato fino alla primavera del 1555. Nel giugno 1550 visitò, insieme con Ferrante Gonzaga, Paolo Giovio nella sua famosa villa-museo di Como. Nel 1554 fu a Bagni di Lucca, da dove, tra il 20 maggio e il 28 giugno, riferì dell'assedio di Siena e delle imprese di Pietro Strozzi, non senza trascurare la necessità di curarsi presso quei bagni da una fastidiosa forma di ritenzione urinaria di cui soffriva già da qualche anno e che con il tempo divenne cronica.
Alla lettera da Lucca del 20 maggio 1554 il L. allegò l'ode De balneis Lucensibus, che consente di apprezzare le sue doti letterarie: vi celebra le proprietà terapeutiche delle acque, dalle quali aveva tratto evidentemente grande giovamento, enumerando con consumata cultura classicista le malattie e i disturbi curabili. Tale perizia poetica nella lingua latina doveva essere di qualità superiore rispetto alle attitudini letterarie in volgare, che L. aveva rivelato in uno scambio di lettere con S. Calandra del maggio 1539, allorché aveva inviato due sue novelle, oggi perdute, sollecitando una valutazione da parte del destinatario.
Nominato nel 1555 ambasciatore presso la corte cesarea in Belgio in sostituzione di Guglielmo Cavagliati, alla fine di luglio il L. informava con dettagliate relazioni la Cancelleria mantovana.
Tratto caratteristico del suo carteggio dalle Fiandre, e in seguito dall'Inghilterra, fu la pratica ricorrente di inviare insieme con le missive ufficiali dirette al duca Guglielmo Gonzaga, contenenti notizie di prevalente natura politica, una relazione di tono confidenziale al castellano S. Calandra sugli avvenimenti di cui era testimone. Per la precisione e la scrupolosità nel registrare i particolari, questi rapporti furono associati già da A. Luzio e da R. Quazza alla contemporanea pratica usata nei dispacci diplomatici dagli ambasciatori veneti, con i quali il L. mantenne effettivamente stretti rapporti di collaborazione, come lui stesso spesso riferisce.
Già dal 19 agosto scorrono dunque nei dispacci da Bruxelles le personali osservazioni del L., come quelle sulle trattative di matrimonio di Elisabetta, futura regina d'Inghilterra, con Emanuele Filiberto di Savoia - assecondate da Filippo II, ormai rassegnato alla quasi certa mancanza di eredi da parte della regina Maria - con lo scopo di porre sul trono inglese un fedele alleato. Il 9 settembre segue la notizia dell'arrivo da Londra del principe spagnolo per incontrare il padre imperatore, del quale, in una lettera del 18 settembre, il L. rivela l'intenzione di ritirarsi in un monastero in Spagna lasciando i suoi Stati al figlio. A testimonianza della fondatezza di questa informazione il 15 novembre il L. inviò al Calandra una relazione particolareggiata del rito di abdicazione delle Fiandre da parte di Carlo V a favore di Filippo. Il 17 genn. 1556 fece seguire un lungo comunicato al duca Guglielmo sulla commovente cerimonia con la quale avvenne la cessione degli altri territori spagnoli da parte dell'imperatore. I successivi dispacci, che giunsero da Anversa, dove Filippo II si era trasferito, riferirono le drammatiche notizie sull'Inghilterra in preda alle lotte religiose fra i sostenitori e gli oppositori della regina cattolica Maria.
Dopo essere stato ricevuto in udienza, il 27 ag. 1556, da Carlo V in procinto di imbarcarsi per la Spagna, il L. riferì a Mantova l'invito dell'imperatore a tutti gli ambasciatori accreditati presso la corte imperiale di restare presso il nuovo re di Spagna. Giunte il 3 settembre da Mantova le nuove credenziali, ai primi di aprile 1557 egli si apprestava a seguire Filippo II in Inghilterra.
Durante i tre mesi di permanenza sull'isola, il L. - con una cinquantina di lettere inviate a vari suoi corrispondenti tra i quali, oltre al duca e al castellano di Mantova, il cardinale Ercole Gonzaga e Ferrante Gonzaga - informò sia della guerra imminente tra Francia e Spagna, con altre notizie politiche di prima mano e avvenimenti quali la rivolta di Tommaso Stafford, sia della personalità e dell'aspetto dei personaggi incontrati, che ritraeva in autentici profili, quali quello tracciato della regina Maria in due lettere del mese di maggio.
Il documento più noto del L. in questo periodo è tuttavia la descrizione delle cose d'Inghilterra che egli tracciò in tre relazioni, di cui due politiche e una sul costume locale, inviate al duca Guglielmo. La prima, oggi perduta, riferiva degli avvenimenti e delle conseguenze derivanti dallo scisma anglicano di Enrico VIII e doveva essere la più rilevante dato che riportava vicende di cui l'ambasciatore mantovano fu testimone. Nella seconda il L., ripetendo fatti lontani, racconta situazioni complessivamente già note. Nella terza relazione, facendo ricorso alla propria formazione umanistica, il L. descrive sapientemente la geografia e il costume degli Inglesi.
Rientrato a Bruxelles dopo l'esperienza inglese, il L. riferì a Mantova gli avvenimenti di San Quintino e tentò invano di raggiungere Ferrante Gonzaga, ammalatosi nei giorni successivi alla battaglia, che incontrò a Bruxelles. Da qui riferì della malattia e degli ultimi giorni del Gonzaga fino alla morte, avvenuta il 16 nov. 1557. Perseguitato già da qualche tempo dai creditori a causa dei notevoli ritardi - quando non della mancanza - dei pagamenti dovuti per le sue missioni all'estero, nel gennaio-marzo 1558 il L. colse l'occasione di un breve soggiorno in patria per tentare di porre ordine nelle finanze familiari, già in dissesto a causa della negligente amministrazione della madre, morta al principio del 1557.
Tornato nelle Fiandre alla fine di marzo, un interessante scambio di notizie con l'ambasciatore di Venezia a Bruxelles testimonia il prestigio che il L. ancora godeva all'interno del corpo diplomatico accreditato in quella corte. Malgrado ciò, all'inizio dell'estate 1558 egli fu richiamato definitivamente in patria dove, nel corso di quello stesso anno, fu nominato commissario di San Benedetto Po. Rimasto in quell'ufficio fino al 1561, il 25 aprile fu comandato per una missione in Romagna, che dovette però ritardare a causa del riacutizzarsi del dolore a una gamba di cui soffriva già da qualche anno. Nell'autunno di quello stesso anno il L. fu nominato commissario di Medole per quello che doveva essere il suo ultimo incarico.
Dopo aver vissuto poveramente gli ultimi mesi, e rammaricandosi ancora per il soldo non corrisposto per le missioni all'estero, il L. morì a Medole, quasi dimenticato, il 6 nov. 1562.
Stampate in un'edizione scorretta e incompleta alla fine del XIX secolo in Inghilterra (Quazza, p. 57), le Relazioni del L. furono successivamente citate e ripubblicate in più occasioni a testimonianza del valore rappresentato dalle note storiche e di costume in esse contenute.
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