CAPPELLO, Annibale
Nato a Mantova intorno al 1540, dopo l'ordinazione sacerdotale si trasferì a Roma, ove, divenuto segretario del cardinale Cesare d'Este, si trasformò in un sagace e profondo conoscitore della politica e degli intrighi della Curia. In breve "lo sciagurato prete" fu ritenuto uno fra i più validi "novellanti", la cui penna "fu coltello alla fama dei grandi".
Durante i pontificati di Pio V e di Gregorio XIII il C. svolse così l'attività di compilatore di avvisi manoscritti redatti in forma di lettera, in un linguaggio immediato e incisivo, destinato a una cerchia ristretta di lettori se non a singole persone, quali uomini politici o mercanti, che abbisognavano di notizie di prima mano. Egli, che risiedeva come molti altri "novellanti" nella zona d'accesso al Vaticano intorno a Panico (forse presso via de' Bresciani, sede di una numerosa colonia lombarda), forte della protezione del cardinal d'Este, poté sfidare in quegli anni la repressiva legislazione pontificia, che dal 17 marzo 1572 (Constitutio di Pio V "contra scribentes, exemplantes et dictantes monita vulgo dicta avvisi e ritorni") comminava severissime pene, fino alla morte; poco dopo, Gregorio XIII con la bolla Ea est "contra famigeratores et menantes" (1º sett. 1572) confermava i provvedimenti precedenti, denunciando "questa nuova setta di uomi illecitamente curiosa, i quali trasmettono ogni cosa riguardante i privati affari che venga in loro cognizione o che per loro libidine inventino e facciano sciocche e false previsioni". Ma nel 1586 sotto il pontificato di Sisto V furono scoperti contatti del C. con potenze protestanti e nemiche della S. Sede, e la sua attività assunse le tinte dello spionaggio.
Prima di salire sul patibolo Maria Stuarda (8 maggio 1586), nel suo testamento spirituale diretto al pontefice, denunciava "cattive relazioni d'alcuni che stanno costì presso la Santità vostra de' quali si dice ricevano stipendi da questo stato per tradir la causa di Dio ... et in ea re cardinales quoque implicantur" (Tempesti). Analoghe accuse venivano mosse da lord Arundell. Il pontefice tuonò in concistoro contro i cardinali, incapaci di mantenere segreti con i loro collaboratori, e insieme promosse accurate indagini che accertarono le relazioni mantenute dal C., oltre che con la regina d'Inghilterra, anche con il duca di Sassonia.
Roma divenne perciò per lui troppo pericolosa dopo che Sisto V confermò tutte le disposizioni contro i "detrattori della fama et honor d'altri in lettere" (11 ott. 1586). Pensando di potersi salvare con una fuga tempestiva, protetto dall'ambasciatore di Francia, egli uscì dalla città sotto falso nome, ma, colpito in contumacia dalla scomunica e dalle censure ecclesiastiche, fu rintracciato a Pesaro il 9 ott. 1587, mentre forse cercava di raggiungere il ducato estense per chiedere ospitalità. Ricondotto a Roma e imprigionato a Tor di Nona, venne condannato a morte mediante impiccagione per aver scritto "cose false ed improbe contro i preti, cardinali e lo stesso pontefice" e perché "scherniva detti sacri con principi amici e aveva piacere osceno a mostrare un brevario diurno e notturno chiamato della mascula Venere, era eretico e faceva false divinazioni". Il C. affrontò con coraggio la morte affermando "che non temeva né Dio né il supplizio essendo morti anche il padre e il fratello in supplizio". Lasciò nelle mani del governatore di Roma e di un notaio un testamento in cui menzionava ragguardevoli personaggi da lui conosciuti: alla duchessa di Ferrara destinava un "Agnus Dei" in oro e perle, una corona in corallo con perle e "cinque diamantini in un anello e rubino"; a Fabio Orsini "un anelletto a cinque cupole" e a Sigismondo Gonzaga un frammento della Croce. Fu affidato durante le sue ultime ore alle cure dell'arciconfraternita di S. Giovanni Decollato, che nel suo Archivio conserva il ricordo dell'agghiacciante supplizio: "a hore XVI il detto Annibale accompagnato dalla nostra compagnia, cantando le solite litanie..., fu condotto in Ponte e quivi, tagliatogli prima la mano destra e poi la lingua, fu appiccato".
L'esecuzione avvenne il 14 nov. 1587, e il suo corpo mutilato fu sepolto nella chiesa dei SS. Simone e Giuda.
Bibl.: C. Tempesti, Vita di Sisto V, I, Roma 1866, pp. 558 s.; S. Bongi, Le prime gazzette in Italia, in Nuova Antologia di scienze,lettere ed arti, giugno 1869, pp. 311-346; A. Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta carnefice…, Città di Castello 1986, p. 9; P. Picca, I martiri del giornalismo nella Roma papale, Roma 1912, passim; G. Gaeta, Manuale di storia del giornalismo, I, Trieste 1951, pp. 45-52; T.Bulgarelli, Gliavvisi a stampa in Roma nel Cinquecento, Roma 1967, p. 13; L. von Pastor, Storia dei papi, X, Roma 1955, pp. 67 s., 608.