ROZENSTEJN, Anja Moiseevna (Anna Kuliscioff). – Nacque a Simferopoli (penisola della Crimea) nel 1854 (ma la data è incerta)
da Moisej e da Rosalia Karpacevskj, maggiore di altri due figli, Misa e Adele. Il padre, di famiglia ebraica convertita alla religione ortodossa, esercitava un’attività commerciale nel settore dei grani che consentì alla famiglia un alto tenore di vita. I genitori si separarono intorno al 1880, ma per Anna continuarono a essere un punto di riferimento e un sostegno economico nei momenti di difficoltà.
Conformemente alla sua classe sociale, la famiglia le diede un’ottima educazione: dotata di bellezza e fascino riconosciuto, rivelò subito una pronta intelligenza, ottime capacità di apprendimento e inclinazione per le materie scientifiche. Dopo aver completato gli studi secondari nella città natale, alla fine dei quali ottenne la medaglia d’oro per meriti scolastici, nel 1871 si trasferì a Zurigo per seguire i corsi universitari che in Russia erano preclusi alle donne; si iscrisse alla seconda sezione del corso di filosofia, Dipartimento delle scienze esatte del Politecnico.
Accanto a una già chiara volontà di emancipazione personale, a Zurigo si manifestò in pieno la sua vocazione politica e sociale, in sintonia con un ambiente studentesco ricco di giovani russi, in maggioranza donne, a contatto con il mondo degli esuli politici che all’epoca popolavano la città. Appartenne a quella generazione ribelle che fu protagonista del nichilismo russo, in rivolta contro i privilegi e la mentalità dei padri e portatrice di idee paritarie circa i rapporti tra i sessi. Immersa in un composito influsso di suggestioni culturali, letterarie e politiche, Anna si accostò alla lettura dei testi classici del socialismo e fu coinvolta nei movimenti rivoluzionari e nella cospirazione contro il governo russo, vicina alle idee anarchiche di Michail Bakunin, ma anche alla visione più gradualista di Pëter Lavror.
Nel 1873, in seguito a un oukaze che ordinava agli studenti russi di abbandonare l’Università di Zurigo, strappò il suo libretto universitario e si preparò a una lotta aperta contro il regime dello zar Alessandro II.
Lo stesso anno sposò Pëtr Markelovič Makarevič, nobile originario di Odessa; nulla si sa a proposito del loro rapporto matrimoniale, tra le ipotesi quella che fosse stato contratto per ottenere l’indipendenza giuridica prima di aver raggiunto la maggiore età (Casalini, 2013, pp. 31 s.); a Odessa, città nella quale visse dal 1874, continuò l’attività cospirativa, partecipando ai dibattiti sulle pratiche e le prospettive politiche nel gruppo dei Čajkovcy, su posizioni populiste e ‘propagandiste’.
L’attività dei giovani russi rimpatriati fu all’insegna della parola d’ordine della ‘andata nel popolo’, che si concretizzò, con uno slancio religioso, in iniziative di sostegno, alfabetizzazione e diffusione dei principi universali di libertà e giustizia a contatto diretto con i contadini e con i gruppi più indigenti della popolazione. Il movimento, continuamente oscillante tra insurrezionalismo e propagandismo, fu stroncato dalla repressione zarista.
Nel 1874 Makarevič venne arrestato e condannato ai lavori forzati in Siberia. Anna radicalizzò le sue posizioni, convincendosi della necessità di un’azione politica più incisiva; entrò allora nella clandestinità e, ospite di Elena Kosač, si trasferì a Kiev, dove insieme ad altre ex studentesse di Zurigo fu membro del Buntary, un gruppo di rivoltosi fautori ‘dell’azione immediata’ agli antipodi del pacifismo. Per la preparazione di un falso manifesto dello zar che avrebbe dovuto incitare i contadini all’occupazione delle terre, fu emesso contro di lei un ordine di arresto per attività cospirativa al quale riuscì a sfuggire.
Nel 1877 lasciò la Russia per non rientrarvi mai più e raggiunse la Svizzera con un passaporto intestato alla sorella di Elena Kosač. Iniziò così un periodo nuovo della sua vita, a contatto con esponenti del socialismo internazionale tra i quali Jules Guesde, August Bebel, Wilhelm Liebknecht, Georgij Plechanov; in questo contesto Anna partecipò al dibattito tra l’ala più radicale dell’anarchismo e quella che invece cominciò a riflettere sull’opportunità della costruzione di un partito politico.
Nell’agosto dello stesso anno, probabilmente in occasione di un congresso a Saint-Imier, vicino a Lugano, conobbe l’anarchico Andrea Costa, imolese rifugiato in Svizzera in seguito a una condanna in contumacia per i moti insurrezionali di Benevento del 1874. Iniziò un’intensa e passionale storia d’amore, particolarmente sofferta per la diversa personalità ed educazione dei due e perché messa alla prova dal clima politico in cui erano immersi, segnato dalla repressione poliziesca del movimento socialista internazionale. Le inclinazioni rivoluzionarie e il programma anarchico al quale entrambi continuarono ad aderire si aprirono nel frattempo a spunti critici e a propositi nuovi di rilancio dell’attività propagandistica e organizzativa; si trattò, preso atto dei fallimenti delle azioni dimostrative e insurrezionali, dell’idea di mirare a una maturazione del popolo e del movimento socialista attraverso l’uso degli spazi concessi dalle libertà e dai diritti politici, preludio in Costa alla ‘svolta’ poi esplicitata con la Lettera ai miei amici di Romagna (in La Plebe, XII (1879), 30, pp. 1 s.).
Dopo un soggiorno a Londra dove condusse una ricerca al British Museum sulle rivoluzioni in Europa, Anna raggiunse Costa a Parigi nel novembre del 1877; qui collaborò con Pëtr Kropotkin all’attività di una neonata sezione dell’Internazionale, in un momento di ripresa del movimento operaio francese e di rafforzamento delle sue organizzazioni.
Nel marzo 1878 Anna e Andrea Costa vennero arrestati in seguito a una manifestazione di commemorazione della Comune. Anna Kuliscioff, come si fece chiamare, dopo un mese e mezzo di detenzione fu espulsa dalla Francia e avviata alla frontiera svizzera, mentre Costa venne condannato a due anni di prigione. Dopo un breve soggiorno a Ginevra, orientò il suo impegno verso la realtà italiana, anche per fare da tramite tra il suo compagno e il movimento anarchico. Prese contatto con i circoli prima di Lugano, da luglio a settembre, poi di Milano e Firenze, dove arrivò il 30 settembre 1878; fu arrestata il 2 ottobre nella casa di Francesco Natta in cui erano ospitati anche i coniugi anarchici, suoi amici, Francesco Pezzi e Luigia Minguzzi. Nonostante le iniziali speranze di un rilascio per mancanza di prove a suo carico, la detenzione proseguì fino alla fine del 1879. Il processo fu l’occasione per presentarsi all’opinione pubblica italiana; affermò di essere socialista, ma di non aderire all’Internazionale, di essere estranea ai fatti di cui era imputata e di ritenere che il compito dei militanti non fosse quello di sostituirsi al popolo, ma di dirigere e indirizzare la protesta sociale.
Una volta libera lasciò l’Italia con Costa, che nel frattempo era anch’egli uscito di prigione e l’aveva raggiunta, ma i due vi rientrarono dopo poco clandestinamente fermandosi prima a Bologna e poi a Milano. Furono arrestati nell’aprile del 1880 con l’imputazione di aver cospirato contro la sicurezza dello Stato; in quell’occasione fu sequestrato il manoscritto di Anna sul nichilismo russo, dove descriveva la natura della ribellione e dell’apostolato sociale proprio dei giovani russi nel contesto di un Paese non ancora sviluppato. Prosciolta dall’accusa e rilasciata il 19 agosto, si stabilì a Lugano, dove strinse l’amicizia con Carlo Cafiero; con lui lavorò all’edizione critica, che non sarà pubblicata, dell’opera di Carlo Pisacane La Rivoluzione. Nel frattempo maturò un certo distacco dal suo passato, in sintonia con la temporanea intesa sentimentale e politica con Costa.
Il loro carteggio (A. Kuliscioff, Lettere d’amore ad Andrea Costa, 1880-1909, a cura di P. Albonetti, Milano 1976) rivela un legame intenso ma provato dai continui distacchi e dalla difficoltà della comunicazione; fu un rapporto tormentato anche dalla gelosia reciproca e dall’incertezza nelle prospettive future, nonostante i tentativi di prefigurare un’immagine di vita insieme. Anna, innamorata e piena di dedizione, insieme alle sue fragilità mostrò un’indole incapace di rassegnarsi a qualsiasi forma di minorità, così come il disagio di rimanere nell’ombra dell’attività politica di Costa.
Nel 1880 le giunse la notizia della separazione dei genitori, appoggiata se non favorita dalla sorella Adele, che non sopportava più una vita «annegata nelle ricchezze» (lettera a Costa, 25 novembre 1880, ibid., p. 171).
Nel gennaio del 1881 Costa uscì dal carcere con l’obbligo di soggiornare a Imola, dove Anna lo raggiunse. Qui l’8 dicembre 1881 nacque la loro figlia Andreina.
Il soggiorno imolese fu breve e infelice, lei già ammalata della tubercolosi forse contratta in carcere («ho dimenticato tutti i dolori che provavo nella mia vita in Imola» scrisse da Berna il 30 ottobre 1882, ibid., p. 260). A disagio in una dimensione politica peculiare e territorialmente circoscritta, espresse la sua adesione alla linea legalitaria di Costa, ma in modi generici, che non furono accompagnati da operatività e forti convinzioni, come dimostra la collaborazione con l’Avanti!, limitata alla serie di corrispondenze Dalla Russia, che cessarono nel 1884 (Casalini, 2013, p. 62).
Di fatto, nel gennaio del 1882, lasciò l’Italia con Andreina e si iscrisse alla facoltà di medicina all’Università di Berna. In un clima cosmopolita che le corrispondeva, riallacciò i contatti con l’amica Vera Zasulič, con Alessandrina Ravizza e con il gruppo degli esuli russi di Ginevra; dopo qualche tempo entrò in contatto con i capi della socialdemocrazia europea tra i quali Karl Kautsky, Eduard Bernstein, August Bebel. Fondamentale fu il rapporto con Georgij Plechanov e con il gruppo da lui fondato, Emancipazione del lavoro, prima organizzazione russa ispirata al marxismo, che contribuì a orientarla nel suo avvicinamento ai principi del ‘socialismo scientifico’ e a convincerla della necessità della fondazione di un nuovo partito.
In Italia, con le elezioni politiche del 1882, le prime a suffragio allargato, Costa entrò in Parlamento. Anna seguì da lontano e commentò gli elementi essenziali delle vicende italiane; nelle sue lettere ad Andrea chiedeva notizie, libri e giornali, mentre raccontava della crescita della bambina coltivando a tratti l’illusione di una rinnovata intesa sentimentale.
Nei primi mesi del 1884 si trasferì con la figlia a Napoli, anche per cercare un clima più adatto alla cura della malattia polmonare che continuava ad affliggerla; provata nel fisico, in una situazione di isolamento e ristrettezze economiche, attraversò momenti di vera disperazione. Prima donna iscritta alla facoltà di medicina, fu totalmente immersa nello studio; si scontrò con la burocrazia e a volte con l’ostilità dell’accademia, «l’ambiente stesso dei professori – scrisse – camorrista e faccendiere è soffocante» (Lettere d’amore..., cit., p. 292). Questi disagi la spinsero a frequentare corsi a Pavia, Padova e Torino, dove strinse amicizia con Cesare Lombroso e le sue giovani figlie, da lei indirizzate verso i principi del socialismo.
A partire dal 1885 la corrispondenza con Costa si diradò progressivamente. La fine dell’unione venne siglata con fermezza da Anna in una lettera del luglio 1885: «È certo che non mi sarà possibile di regolare ogni mio passo secondo i tuoi desideri, dovrei allora rinunciare alla mia libertà, simulare una soggezione che non è umiliante soltanto quando è reciproca e determinata dall’intensità dell’affetto» (p. 305). Non venne meno tuttavia la stima che Anna continuò a dimostrargli, così come l’attenzione volta a preservare il rapporto tra Andreina e suo padre.
Si laureò in medicina a Napoli nell’anno accademico 1886-87, con specializzazione in ginecologia e una tesi sulla febbre puerperale. Fu a Napoli che conobbe Filippo Turati, in occasione di una raccolta fondi per gli esuli russi. Tra i due nacque un’intesa profonda («La mia vera vita cominciò dal nostro incontro», Carteggio, a cura di F. Pedone, V, 1977, p. 701), sempre pervasa da un’affettuosa e reciproca premura, dalla volontà di proteggere le rispettive fragilità, lei fisicamente più debole, lui fin da giovane afflitto da ‘malattie nervose’, lei generalmente decisa e assertiva, lui più prudente.
L’unione diventò anche un celebre sodalizio politico, centrale nella genesi del socialismo riformista e della sua pratica politica negli anni tra i due secoli. Il loro percorso, pur nella diversità dei ruoli e dei temperamenti, li portò ad affermare la necessità di una graduale maturazione del proletariato attraverso le lotte e l’organizzazione di classe, parallelamente alla costruzione di un sistema pienamente democratico come ineludibile premessa al futuro avvento del socialismo; questo progetto si confrontò problematicamente con il giudizio sull’arretratezza dell’Italia nel confronto con altri Paesi europei, un fattore che rallentava le riforme e condizionava la tattica del partito.
L’esistenza di Anna cominciò a cambiare in meglio; dopo la laurea si trasferì a Milano nel 1891, dove fu la ‘dottora dei poveri’ fino a quando, dopo qualche anno, fu costretta a smettere per ragioni di salute. Le carte di polizia segnalarono inoltre come il suo allontanamento dalle istituzioni ospedaliere fosse dovuto a insofferenze per la disciplina e alla diffusione di notizie sugli ‘affari interni’ che minacciavano il credito degli istituti.
Nel 1889 Turati e Kuliscioff diedero vita alla Lega socialista milanese, di ispirazione marxista, primo nucleo del Partito socialista. Nel 1892 Anna intervenne a Genova al congresso nazionale di fondazione del Partito e ribadì la necessità di isolare le tendenze operaiste e anarchiche; pur non ricoprendo cariche istituzionali, conquistò rapidamente un ruolo di primo piano nel gruppo dirigente e fu protagonista della scena pubblica e del dibattito politico, diventando la ‘signora’ del socialismo italiano.
Nella sua celebre conferenza su Il monopolio dell’uomo, tenuta al Circolo filologico di Milano il 27 aprile 1890 e stampata nel 1894 in forma di opuscolo, affermò con forza la centralità della questione femminile, denunciò la subalternità della donna nelle sue determinazioni storiche e i privilegi tenacemente difesi dagli uomini di tutte le classi. Con una trattazione puntuale e stringente analizzò la discriminazione di genere, partendo, com’era consueto, dai nodi storici e antropologici per arrivare all’analisi della società coeva; il modello ispiratore fu il libro di Bebel, Die Frau und der Sozialismus (Zürich-Hottingen 1879), opera fondamentale nella diffusione su scala internazionale della linea del Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD). Il discorso di Anna si distinse nettamente dalla retorica di una propaganda che all’epoca diffondeva gli ideali di una ‘civiltà socialista’ rivolgendosi alle donne con toni alternativamente pietistici e colpevolizzanti; seguì piuttosto la linea tracciata da Anna Maria Mozzoni, considerando l’oppressione culturale e giuridica femminile nella sua natura interclassista, l’istruzione e il lavoro extradomestico come momenti ineliminabili del percorso di emancipazione, la maternità ‘attiva’ un periodo transitorio nella vita delle donne, la famiglia un’istituzione in rapido cambiamento, il cristianesimo una religione che portava la responsabilità di aver consolidato nel tempo la concezione della donna creata dall’uomo e per l’uomo.
Nel 1891 fondò con Turati la Critica sociale, chiamata nella corrispondenza tra i due la «loro figliola»; il contributo di Anna fu determinante, oltre che nel lavoro redazionale, nei rapporti con i collaboratori, nella corrispondenza internazionale e nella scelta dei contenuti della rivista, che spaziarono dalla riflessione politica a quella economica, culturale e antropologica, aggregando gli esponenti più significativi del mondo intellettuale progressista e positivista. Numerosi articoli furono firmati dalla coppia con le iniziali ‘T.K.’ oppure ‘Noi’.
Nel gennaio del 1894 indirizzò al «carissimo maestro» Friedrich Engels una lettera per avere consigli sulla linea del Partito socialista italiano (PSI) davanti alle agitazioni contadine che percorrevano l’Italia da Nord a Sud e che rischiavano di essere stroncate dalla reazione e dalla minaccia dello stato d’assedio, già proclamato in Sicilia; chiarì in questa occasione la sua idea sul ruolo del Partito, che non poteva sottrarsi dall’appoggiare i movimenti autenticamente popolari e la sua visione circa l’utilità di una ‘rivoluzione antimonarchica’ come possibile momento di passaggio a equilibri politici e sociali più avanzati.
All’inizio di maggio del 1898, alla vigilia dei moti di Milano sfociati nella repressione guidata dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, fu tra gli operai e le operaie dello stabilimento Pirelli; venne arrestata con Turati, Leonida Bissolati e altri militanti socialisti con l’accusa di aver preparato il terreno alla rivolta. Le carte prefettizie segnalarono la sua «attivissima propaganda» di «molto profitto specie nella classe operaia. Di facile ed elegante parola, tenne numerose conferenze, [...] nessuna occasione tralasciando per istillare nelle masse l’odio di classe. [...] Verso le autorità serba contegno indifferente» (Scheda della Prefettura di Milano, in Archivio Fondazione Kuliscioff). Fu deferita al tribunale di Guerra e condannata a due anni di detenzione, che si ridussero, grazie a un indulto, a sei mesi di carcere. Venne liberata il 31 dicembre 1898, fisicamente provata, ma determinata a proseguire nell’attività politica e a riflettere sul significato della repressione nel contesto milanese, che giudicò una prova di forza contro il movimento operaio e un tentativo di riportarlo alla clandestinità. Fu ancora l’esempio della SPD, e in particolare la linea espressa da Kautsky e Liebknecht, a costituire l’orientamento per continuare la battaglia politica dopo il fallimento (da lei previsto) della svolta reazionaria di fine secolo.
Sia Kuliscioff sia Turati manifestarono scarso interesse per le dispute teoriche e una chiara propensione ad affrontare concretamente i nodi politici del Paese.
Nei primi anni del Novecento la loro abitazione in viale Portici a Milano, affacciata sulle guglie del duomo, fu sede della Critica sociale, circolo del socialismo lombardo, luogo di passaggio di tanti protagonisti della politica e della cultura. Tra i frequentatori più assidui, Claudio Treves, con il quale Anna intrattenne un dialogo quasi quotidiano, Bissolati, suo amico e confidente, e Alessandro Schiavi, il futuro curatore del carteggio con Turati. La stanza di ricevimento, con due scrivanie e il ritratto di Marx alla parete, fu anche un celebre salotto dove lei regnò incontrastata, tenendo le redini delle conversazioni con «un pugno di ferro in un guanto di velluto», come osservò Turati (Lettere dall’esilio, a cura di B. Pittoni, Milano 1968, p. 22). Ammirata e temuta, fu descritta in tante testimonianze nei suoi tratti esotici, sempre elegante e brillante, intransigente e austera, avvolta in un’aura mitica accresciuta dall’età e da un passato eccezionale, che tuttavia la sua riservatezza tratteneva nell’ombra.
Il carteggio con Turati iniziò nel 1898, alla vigilia dell’apertura di una nuova stagione politica, di collaborazione con i democratici e con Giovanni Giolitti. Nelle sue lettere Anna commentò, segnalando debolezze e contraddizioni o plaudendo ai successi e alle scelte condivise, non solo gli eventi politici e istituzionali della scena italiana ed europea, ma anche la pratica quotidiana della vita parlamentare romana, spesso colta e stigmatizzata con toni caustici nei suoi tatticismi e opportunismi. Nell’età giolittiana lo scontro interno al PSI tra riformisti e massimalisti la portò ad attaccare con durezza l’ideologia intransigente, il ‘giacobinismo’ e il ‘rivoluzionarismo’ che ritenne disastrosi sia per il proletariato sia per l’attività parlamentare del gruppo socialista. La sua interpretazione del riformismo ebbe sempre un tratto insieme fortemente pragmatico e intransigente, legato al senso degli antagonismi sociali di fondo e alla capacità del Partito e del sindacato di legarsi «agli interessi generali del proletariato» (Vigezzi, in Anna Kuliscioff e l’età del riformismo, 1978, p. 180).
Questa linea di condotta emerse nella campagna per la legislazione di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, nella quale Anna svolse un ruolo di primo piano. La proposta avanzata dai socialisti inizialmente ebbe caratteri agitatori, poi sfociò in un testo presentato al Parlamento e ripreso in modo riduttivo dalla legge Carcano (242/1902), approvata nel 1902.
Sul punto il movimento emancipazionista italiano si divise; da un lato ci fu il rifiuto di una protezione ritenuta di per sé discriminatoria e destinata a limitare la presenza delle donne in fabbrica, dall’altro la convinzione che la legislazione sociale fosse una tappa fondamentale delle lotte operaie, un progresso sulla via delle riforme e un modo per dare dignità alla donna lavoratrice. Kuliscioff sostenne, appoggiandosi all’esperienza di altri Paesi europei, che le leggi di tutela non avrebbero avuto l’effetto di mandare a casa l’ormai enorme esercito di manodopera femminile, mentre invece «i salari da fame e gli orari senza limite delle lavoratrici deprimono il tasso generale dei salari e allungano la giornata media di tutta intera la classe operaia, esulandola completamente dalla vita civile» (In nome della libertà della donna “Laissez faire, lassez passer!”, in Avanti!, 19 marzo 1898). Nella campagna socialista venne dunque meno la logica paritaria: evidentemente Anna non mostrò qui interesse per le ragioni teoriche del femminismo, ma piuttosto mise in campo la sua esperienza di medico e al centro delle argomentazioni la salute delle lavoratrici e tutte le informazioni acquisite in proposito dalle inchieste e dalle statistiche ormai disponibili sulle condizioni del lavoro femminile e minorile.
La figlia Andreina nel 1904 sposò Luigi Gavazzi, esponente di una famiglia di industriali tessili, cattolica e conservatrice; il matrimonio venne celebrato in chiesa e a questo proposito Anna osservò in una lettera a Costa come la malinconia non provenisse «da quel piccolo incidente del matrimonio religioso, ma dal fatto che la nostra figlia non ha né l’animo ribelle, né il temperamento di combattività [...] essa non fu mai socialista, né miscredente» (lettera del 27 marzo 1904, in A. Kuliscioff, Lettere d’amore, cit., p. 343); ma si trattò, appunto, di un lieve dispiacere, non certo di una presa di distanza da scelte che ritenne naturale accettare. Fu sempre vicina alla figlia e ai cinque nipoti, particolarmente quando venne a mancare il marito di Andreina.
Tra il 1906 e il 1914 si impegnò nella battaglia per il suffragio universale maschile e femminile.
Nel dibattito aperto all’interno del Partito socialista Kuliscioff criticò l’esitazione a battersi per il voto alle donne e affrontò risolutamente la questione femminile sul piano dei diritti, dando il via a quella «polemica in famiglia» che la contrappose alle posizioni attendiste di Turati: «Le donne italiane, novecentonovantanove su mille – dice Turati, che deve averle contate – sono assenti dalla politica; e gli assenti hanno torto... Ebbene, io vado più in là: concedo che tutte le donne siano assenti: sarà una ragione di non chiamarle?... Ma che cosa ha fatto finora il partito socialista [...] per essere, verso la donna, meno ingannatore delle religioni, meno prete dei preti?» (Ancora del voto alle donne. Suffragio universale a scartamento ridotto, in Critica sociale, 1910, n. 8, p. 113). Mentre richiamò il Partito socialista a non smarrire la sua carica ideale, accettò una sorta di divisione dei compiti tra il femminismo borghese (legittimato a rivendicare comunque il voto alle donne) e i socialisti (che nella loro battaglia per il suffragio universale avevano il compito di rivendicarlo per tutte, comprese le analfabete).
Nonostante le sue condizioni di salute la trattenessero sempre di più in casa, fu ancora protagonista sul fronte dell’organizzazione delle donne socialiste: nel 1912 fondò l’Unione femminile nazionale socialista e il periodico La difesa delle lavoratrici (1912-1925), che esordì il 7 gennaio con una rievocazione di Bebel.
Le critiche al gruppo parlamentare socialista ne presero di mira anche l’inconcludenza e la tendenza a cedere alle lusinghe giolittiane, inasprendosi nel 1911, quando protestò contro il dilazionamento di una presa di posizione netta nei confronti dell’impresa libica. Di fronte alla prima guerra mondiale non credette alla scelta neutralista dell’Italia, ritenuta irrealistica e legata a giochi politici personalistici, né la condivise nella sostanza, opponendo sempre più fermamente alla neutralità le ragioni dell’interventismo democratico, a partire dall’analisi dei rapporti internazionali e dal timore che con la vittoria degli imperi centrali in Europa sarebbero prevalsi il militarismo e le forze della reazione. Dopo la disfatta di Caporetto (1917) sollecitò Turati a proclamare il dovere di tutti alla difesa della patria.
Non risulta una sua vicinanza alla tradizione ebraica, ma fu favorevole alla dichiarazione di Balfour che indicò nella Palestina una terra d’asilo per gli ebrei e criticò Vittorio Emanuele Orlando per essersi riferito alla Palestina solo come alla terra santa del Sepolcro, senza nominare il problema della diaspora e delle persecuzioni subite dal popolo ebraico (Carteggio, cit., IV, 1977, p. 778).
Salutò con entusiasmo la rivoluzione russa di febbraio, mentre espresse un giudizio negativo sulla presa del potere bolscevico, individuando nel regime che si stava affermando il sorgere della dittatura e la negazione del socialismo.
Nel dopoguerra la crisi dello Stato liberale, i conflitti sociali e le fratture tra massimalisti, rivoluzionari e riformisti che portarono il PSI alla scissione furono momenti attraversati cercando soluzioni che, da un lato, facessero chiarezza all’interno del Partito e, dall’altro, superassero l’ingovernabilità parlamentare tramite la costruzione di alleanze tra socialisti, progressisti e popolari (Ventura, in Anna Kuliscioff e l’età del riformismo, 1978). Questi ultimi, osservò, avevano radici nel Paese, e «dovunque i partiti clericali sono forti, anche gli stessi socialisti, come in Germania e in Austria, devono coalizzarsi con essi per formare un governo. Se no, bisogna andare incontro alla dittatura, e in caso proletaria o militare sarebbe egualmente fatale per il paese» (Carteggio, cit., V, 1977, p. 203). Nella secessione aventiniana scorse, condividendo le posizioni di Giovanni Amendola, il significato politico della collaborazione tra forze democratiche nel segno dell’antifascismo. Se si illuse, contrariamente a Turati, che i frutti del rinnovamento dei partiti antifascisti avrebbero potuto arrestare l’affermazione del regime, individuò tuttavia le potenzialità insite nell’esperienza dell’Aventino, destinate a maturare in un futuro più lontano.
Morì a Milano il 30 dicembre 1925 e fu sepolta nel cimitero Monumentale della città. I suoi funerali vennero disturbati da manifestazioni e aggressioni squadristiche.
Opere. Una scelta degli scritti di Anna Kuliscioff (quelli a sua unica firma) sono pubblicati in Anna Kuliscioff. Scritti, Milano 2015. Si segnalano in particolare: Il monopolio dell’uomo, Conferenza tenuta al circolo filologico di Milano il 27 aprile 1890, ristampa anastatica, Milano 2002 (edizione digitale); Il sentimentalismo nella questione femminile, in Critica sociale, 1° maggio 1892; Anna Kuliscioff a Friedrich Engels, Milano, 19 gennaio 1894, in Anna Kuliscioff. Immagini scritti testimonianze, a cura di F. Damiani - F. Rodriquez, Milano 1978, pp. 84-86; Discorrendo del monopolio dell’uomo, in Critica sociale, 16 giugno 1908; Proletariato femminile e partito socialista, in Critica sociale, 16 settembre-1° ottobre 1910.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio Fondazione Anna Kuliscioff, fondo Kuliscioff; F. Turati - A. Kuliscioff, Carteggio, raccolto da A. Schiavi, a cura di F. Pedone, I-VI, Torino 1977.
Anna Kuliscioff. In memoria: a lei, agli intimi, a me, Milano 1926; A. Schiavi, Anna Kuliscioff, Roma 1955; F. Pieroni Bortolotti, Socialismo e questione femminile. 1892-1922, Milano 1974; Anna Kuliscioff e l’età del riformismo, Atti del Convegno... 1976, Milano 1978 (in partic. G. Haupt, Il ruolo degli emigrati e dei rifugiati nella diffusione delle idee socialiste all’epoca della Seconda Internazionale, pp. 59-76; B. Vigezzi, Anna Kuliscioff e i problemi del riformismo, pp. 155-194; A. Ventura, Anna Kuliscioff e la crisi dello stato liberale, pp. 230-256); M. Bigaran, Per una donna nuova. Tre periodici di propaganda socialista tra le donne, in nuova dwf, 1982, n. 21, pp. 53-72; M. Addis Saba, Anna Kuliscioff, vita privata e passione politica, Milano 1993; N. Shepherd, Anna Kuliscioff, in Jewish women: a comprehensive historical Encyclopedia, 2009, Jewish Women’s Archive, https:// jwa.org/encyclopedia/article/kuliscioff-anna (23 gennaio 2017); M. Casalini, Anna Kuliscioff. La Signora del socialismo italiano, Roma 2013; M. Degl’Innocenti et al., Anna Kuliscioff. Il socialismo e la cittadinanza della donna, Roma 2015; Lavoro e cittadinanza femminile. Anna Kuliscioff e la prima legge sul lavoro delle donne, a cura di P. Passaniti, Milano 2016.