ANI (Ānīsi; A. T., 73-74)
Città medievale dell'Armenia sulla riva sinistra dell'Arpachai (affluente dell'Arasse), che fa attualmente da confine fra la Turchia e la Transcaucasia russa. L'alta pianura è unita da un lato alla regione di Cars, dall'altro è dominata dalla massa vulcanica dell'Alagos, declina lentamente a sud nella fertile valle dell'Arasse. Fu il centro e la residenza della dinastia armena dei Bagratidi (946-1046), sotto i quali contava forse 100.000 abitanti, raccolti nella cinta fortificata delle mura, costruite sull'orlo di ripide balze. La città "dalle mille chiese" continuò ad essere ricca e popolosa anche sotto il dominio musulmano (dapprima dei Selgiuchidi, poi della dinastia dei Shāddadidi) e georgiano fino all'inizio del sec. XIII; le incursioni tartare e il terremoto del 1319 condussero al graduale abbandono della città, con l'emigrazione della popolazione nella Cilicia e, oltre il Ponto, fin nella Galizia e nella Dofonia. Ora è in rovina. Nei pressi della città passa la ferrovia Leninakan-Erivan, in territorio russo.
Segni imponenti dell'antica floridezza sono i resti monumentali che furono scavati sistematicamente da N. Marr a partire dal 1892. Non a torto lo Strzygowski ha potuto chiamare Ani "Museo all'aria aperta dell'arte armena". Dai resti del castello, appartenuto nel sec. V alla famiglia dei Kansara-Kanov e passato nel sec. IX ai Bagratidi, alle ben conservate mura cittadine, costruite nel 964 dal re Asciot III, e infine alle molte vestigia di chiese (se ne son contate centoventi), di monasteri e di case private; è tutto un succedersi d'imponenti resti architettonici che attirò da tempo l'attenzione degli studiosi. A detta dello Strzygowski, Ani è l'unico centro artistico armeno su cui possa dirsi una parola sicura.
La più antica costruzione ecclesiastica è una basilichetta ad una navata, eretta nel sec. VII (come proverebbe un'iscrizione e lo stile dei resti decorativi) e poi conglobata nel palazzo reale. Questa chiesa è coperta da un tetto sorretto da parecchi archi sostenuti da bassi pilastri, i cui capitelli hanno una rozza decorazione (aquile sopra conigli ed altre prede, oppure teste di buoi ed umane). La costruzione, come tutte le altre della zona, è di tufo molle facilmente plasmabile. Nel lato settentrionale è congiunta alla chiesa una costruzione posteriore, in cui rimangono ricche tracce di decorazioni, specialmente pittoriche. Il pittore Chestner fece dei rilievi di tali ornati, che si trovano riprodotti nell'opera di M. F. Brosset (v. Bibl.).
Il monumento meglio conservato di Ani è la cattedrale. Iniziata sotto il re Surbat fu terminata poco dopo il 1000 per le cure di Katramida, moglie di suo fratello Gaghik. Autore sembra esserne stato il celebre architetto Tirdat, colui che fu chiamato a Costantinopoli per la ricostruzione di una cupola di S. Sofia, danneggiata nel terremoto del 989. L'edificio ha forme prevalentemente bizantine con tracce d'influssi orientali. Ha tre navate e un'abside. Le arcuazioni, che terminano in una leggiera punta, poggiano su alte colonne. Archi a ferro di cavallo si notano lateralmente. Sull'altissimo edificio s'impostava una cupola che però cadde in tempi assai lontani. All'esterno si trova il motivo, comune ad altre costruzioni armene, dei falsi archi sostenuti da strette colonnine; i capitelli ed altre membrature sono abbelliti da motivi ornamentali. Anzi questi ornati farebbero apparire la chiesa del sec. XII o XIII e potrebbe darsi che all'esterno vi sia stato un restauro. La celebrità della cattedrale d'Ani fa accorrere molti pellegrini dai più lontani paesi: essi si recano a venerare anche la tomba della regina Katramida che è non lontana dalla chiesa.
Ancora più imponente è la chiesa costruita nel 1001 da re Gaghik in onore di S. Gregorio, il patrono dell'Armenia. Era una costruzione molto alta, con una cupola che poggiava su quattro grandi piloni e con quattro nicchie absidali. La sua pianta quadriloba era inscritta in un circolo, secondo il modello già costruito per la chiesa di Zvarthnoz, presso Eshniadsin (edificata nel sec. VII dal patriarca Narses III). Dal deambulatorio si accedeva al centro attraverso un colonnato. Sulla facciata settentrionale esisteva un'enorme statua colorata del re Gaghik, in atto di offrire il modello della chiesa (la statua attuale è un rifacimento).
La chiesa di S. Gregorio Illuminatore, iniziata nel sec. X, appartenne alla famiglia degli Abugamrenz e fu restaurata in epoca posteriore. Caratteristica è la chiesa del convento detto delle ragazze. Vi si notano i motivi ornamentali del sec. XIII. Ricordiamo poi la cappella circolare del Redentore (del 1035) e la chiesa di San Gregorio edificata nel 1215 da Tigrȧne Hohenenz.
Nel sec. XI Ani, passata sotto il dominio musulmano (e perciò decaduta da capitale dell'Armenia), non vide diminuire le sue glorie artistiche. Una delle costruzioni islamiche più belle è il minareto di basalto rosso eretto dall'emiro Manuch. Esso poggia sopra un edificio che contiene un'ampia sala divisa da due linee di piccole colonne; nel piano inferiore sono quattro stanze; più giù ancora le cantine. Dal minareto si gode una magnifica veduta sulle rocce selvagge. L'antico palazzo reale, suddiviso in costruzioni principali e secondarie a differenti livelli (causa l'irregolarità del terreno), ha una parte mediana che contiene una grande sala (cosiddetta "della basilica"), ove era una doppia fila di colonne sostenenti archi lignei dipinti con meravigliosi motivi di lotte d'animali. Presso il palazzo una cisterna distribuiva l'acqua a tutte le parti della costruzione per mezzo di un complesso sistema di tubature. Il bagno era a più camere ed aveva acqua calda e fredda. Meraviglia dell'idraulica è pure la distribuzione delle acque nell'antica città. E questo non è se non parte delle cose belle e interessanti che gli archeologi sempre più scoprono in una città che appare un centro di grandissima importanza alle soglie dell'Asia.
Bibl.: M. F. Brosset, les ruines d'Ani, Pietroburgo 1860-61; H. F. B. Lynch, Armenia, Londra 1901; N. Okunew, Ani capitale dell'Armenia, in Starhè Gody, II, ottobre 1912, pp. 3-16; J. Strzygowski, Die Baukunst der Armenier und Europa, Vienna 1918.