VILLA PERNICE, Angelo
VILLA PERNICE, Angelo. – Nacque a Milano il 16 novembre 1827 da Giuseppe Villa e da Giuditta Pernice. Ebbe un solo fratello di poco più giovane, Antonio, morto in tenera età.
Possidente, addottoratosi in legge all’Università di Pavia nel 1850, ereditò un maglio di rame nel Lecchese dallo zio materno Antonio, cui fu affidato dopo la scomparsa precoce di entrambi i genitori; si suppone che fosse questo il motivo per cui in seguito ne assunse il cognome. Occasionali impegni nella gestione di piccoli impianti di produzione serica e un magazzino commerciale in via del Bollo rappresentarono per Villa Pernice, che pure li conservò per tutta la vita, più l’emblema delle onorate origini industriali e mercantili familiari che non fonti di sostentamento e di autoidentificazione. Inviato come commissario governativo all’Esposizione industriale di Londra del 1862, espose i prodotti della sua fucina; lo stesso fece nelle successive esposizioni di Parigi, Vienna e Milano, ricevendo medaglie e diplomi.
Consigliere comunale nel 1852 e assessore tra il 1857 e il 1858, deputato alla Congregazione provinciale tra il 1856 e il 1860, dopo l’espulsione delle truppe asburgiche da Milano Villa Pernice si difese anche pubblicamente dalle voci che lo vollero austriacante voltagabbana. Nell’agosto del 1848 aveva preso parte alle sollevazioni come capitano della milizia mobile destinata alla difesa delle mura milanesi; il piano terreno del suo palazzo di via Cusani, durante le battaglie di Palestro e Magenta, era stato da lui convertito in pronto soccorso, ricoverando a proprie spese feriti di entrambe le armate.
Politico, amministratore pubblico, imprenditore e studioso, Villa Pernice per tutta la vita si considerò espressione di quella borghesia nazionale in formazione, «amica della libertà, studiosa, coltivata, intraprendente», che a suo parere costituiva, come scrisse in Il sistema rappresentativo e i partiti (1889), un «nucleo sociale importantissimo, valido e coscienzioso, aspirante con la deputazione al potere, cui sorregge e controlla; da una parte in contatto continuo per aspirazioni e interessi con l’aristocrazia, di cui imita le larghe abitudini e la squisita educazione, dall’altra per mezzo degli interessi materiali, economici, commerciali, industriali, in relazione colle classi popolari, spesso con benevoli rapporti di patronato, talvolta con lotta di opposte tendenze» (p. 15).
Dal Parlamento (fu deputato dal 1867 al 1876), Villa Pernice ebbe modo di partecipare attivamente alla costruzione di quel modello di Stato interventista e investitore (De Cecco - Pedone, 1995) che contraddistinse l’azione politica della classe dirigente italiana nei primi due decenni seguiti all’Unità. Il collegamento della moneta al regime di convertibilità internazionale finalizzata all’attrazione di capitali stranieri come alla legittimazione dei titoli di debito pubblico del nuovo Stato; le nuove forme e l’inasprimento del prelievo fiscale; la costruzione rapida di ferrovie e strade; le molteplici forme della promozione statale della modernizzazione economica e sociale, ma anche la faticosa conquista della consapevolezza teorica che tali pesanti scelte di politica economica avrebbero presupposto: furono questi i tratti principali delle scelte d’intervento economico messe in atto dalla Destra al governo, i quali, tutti, s’impressero con decisione nel lavoro di Villa Pernice.
Il più intenso impegno parlamentare assunto dal milanese fu rappresentato dalla partecipazione ai lavori della commissione permanente per l’esame dei bilanci ministeriali. Istituita con il regolamento della Camera del 1863 e dotata di competenze relative all’esame di tutti i disegni di legge comportanti maggiori spese, il consesso fu un rilevante passaggio di discussione di tutti i più importanti provvedimenti sottoposti al Parlamento nella delicata e complessa fase di costruzione della compagine nazionale. La laconicità dei verbali delle riunioni non consente purtroppo di cogliere articolatamente le posizioni espresse da Villa Pernice negli anni in cui ne fece parte (1870-76) in qualità di membro della sottocommissione di Agricoltura, Industria e Commercio, di cui spesso fu relatore in Parlamento.
La partecipazione ai lavori della commissione Bilanci, presieduta da Marco Minghetti finché questi divenne presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, e a fianco di uomini del valore di Angelo Messedaglia, Agostino Depretis, Federico Sèismit Doda, Ruggiero Bonghi, Giuseppe Finzi, Silvio Spaventa, Giovanni Lanza, Domenico Farini, Giovanni Cadolini e Michele Coppino (nonché, dopo la rinuncia al ministero, di Quintino Sella, già in qualità di ministro spesso presente alle riunioni della commissione), costituì per la traiettoria politica e umana di Villa Pernice un determinante momento di maturazione, oltre che di consolidamento di influenti relazioni sociali e politiche. Anche al termine della decennale esperienza governativa di Sella (nel momento in cui Minghetti, nel luglio del 1873, assunse, con la sua seconda presidenza del Consiglio, anche il ministero delle Finanze), Villa Pernice poté contare sull’appoggio del nuovo ministro.
Alla sua indipendenza ideale e operativa all’interno della commissione Bilanci Villa Pernice tenne quindi al punto da renderla esplicita fin dalla settimana successiva all’ascesa di Minghetti alla massima carica esecutiva, anche in considerazione del fatto che in quei mesi egli stava certamente pianificando due dei momenti più rilevanti della sua carriera parlamentare: la relazione al progetto di riforma del Monte di pietà di Roma (che fu approvato dal Parlamento, quasi senza discussione, nell’aprile del 1874), e la lunga e faticosa relazione al progetto di legge sulla nuova tassa sul traffico dei titoli di Borsa, approvato nel giugno dello stesso anno. Nonostante le rilevanti distanze che separavano la loro visione in tema d’intervento statale nell’economia, nella pratica politica come nella dimensione ideale Villa Pernice – che dal 1867 al 1876 presiedette la Camera di commercio di Milano – fu molto vicino a Sella, che a più riprese plasmò lo Stato italiano sotto il profilo sia politico-economico sia finanziario.
La quantità ed eterogeneità delle associazioni animate o partecipate da Villa Pernice nella città natale sono espressive di una precisa concezione delle relazioni tra Stato e società civile, nonché dei molteplici significati che la munificità poteva assumere nel contesto ambrosiano postunitario.
Fu presidente della Direzione degli asili infantili di Milano – carica cui assurse fin dal 1863, dopo essere stato membro della Direzione già dall’epoca preunitaria –; presidente dell’Accademia dei filodrammatici; consigliere dell’Accademia scientifico-letteraria; presidente del Comitato per gli ospizi marini degli scrofolosi, dell’Associazione per l’incoraggiamento dell’intelligenza e dell’istituto tecnico Carlo Cattaneo; membro della Società storica lombarda, del Regio Istituto lombardo, dell’aristocratica Società del giardino come della Società per la diffusione delle cucine economiche.
La concezione liberale e liberista delle relazioni tra Stato e mercato che mosse Villa Pernice a intraprendere un’intensa azione politica e istituzionale si riflesse anche nel suo intervento sociale. Se da un lato riteneva – come scrisse nel 1863 al medico milanese Mosè Rizzi – che le associazioni teatrali, musicali e letterarie fornissero l’«occasione di divertirsi e di far del bene educando lo spirito ed il cuore» (Archivio storico della psicologia italiana, c. 2r), dall’altro egli era convinto che «le cucine economiche e pei malati poveri, gli asili d’infanzia e pei bambini lattanti, gli assegni di baliatico, i soccorsi a domicilio, gli apparecchi per le fisiche imperfezioni, i dispensarii di medicine, le visite gratuite mediche, e simili, si raccomanda[sser]o meglio alla carità privata, della quale con maggiore fiducia approfitta il povero, che nei pubblici stabilimenti e nella carità legale ha poca simpatia» (La questione sociale, 1891, p. 130).
«Al Governo – scrisse ancora – incumbe più che ad altri il procurare il risparmio sociale, non nel senso di accumulare ricchezze nelle casse dello Stato, cosa non possibile nemmeno, se non in casi eccezionalissimi, sibbene nel non richiedere, con le gravezze e le imposte e con servigi personali, più di quanto occorra pel regolare adempimento dei generali e importanti compiti al medesimo devoluti e spettanti, quelli soprattutto della sicurezza pubblica interna ed esterna. [...] Ai poveri e agli operaj impotenti a spargnare provvederà la filantropia privata, sotto forma di caritatevole sussidio per gli uni, di benevola assistenza per gli altri, prestati dall’azione individuale o dalle associazioni; perocché il vero ufficio, lo scopo principale della associazione consistono appunto nel correggere le ineguaglianze delle forze fisiche e economiche, colla riunione dei mezzi» (ibid.).
Come presidente della Camera di commercio di Milano, Villa Pernice ebbe modo più volte di esprimere le sue opinioni riguardo ai due nodi cruciali attorno a cui si svolgeva la discussione coeva di questo ente in Italia, ovvero la limitatezza delle funzioni e la scarsa partecipazione diretta.
Di questi temi egli peraltro discusse nel quadro del primo congresso delle Camere di commercio, tenutosi a Firenze nel 1867, e all’interno del Consiglio superiore del commercio, organo consultivo del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio di cui fu membro nei primi anni Settanta. L’attribuzione a Villa Pernice dell’incarico di giudice commerciale onorario presso il Tribunale di commercio di Milano, che esercitò fino al 1870, è espressiva del nesso che la legge istitutiva dell’ordinamento giudiziario del 1865 instaurava tra le Camere di commercio e queste corti. Come rappresentante milanese al Congresso internazionale del commercio in Egitto per la visita ai travagliati lavori di apertura del canale di Suez, premette sul ministro di Agricoltura, Industria e Commercio per sollecitare un impegno governativo risolutore delle controversie internazionali che frenavano lo svolgimento del taglio dell’istmo.
Villa Pernice non ebbe figli. Anche nella proiezione pubblica, la dimensione familiare della sua esistenza fu impersonata dalla figura altamente simbolica della moglie Rachele Cantù, figlia dello storico e deputato Cesare. Di nove anni più giovane, sua sposa il 27 ottobre 1852 (gli condusse una dote di 125.000 lire milanesi, del tutto all’altezza delle attribuzioni concesse alle fanciulle dalle più ricche famiglie milanesi dell’epoca), Rachele era cresciuta nell’elegante villa Beccaria di Sala Comacina, poi divenuta residenza estiva dei coniugi. Educata nel coltissimo e cosmopolita ambiente intellettuale in cui il padre era immerso, Rachele Cantù Villa Pernice era una delle due figlie nate dalla relazione tra Cesare e Antonietta Curioni, moglie del conte Giulio Beccaria, figlio di Cesare. Allieva di Luigi Scrosati presso la Scuola d’arte decorativa dell’Accademia di Brera, tenne nell’abitazione di via Cusani uno degli ultimi salotti culturali milanesi intitolato all’Accademia dei Pedanti, dotato di cariche formali, di un preciso statuto e le cui riunioni erano scrupolosamente verbalizzate.
Villa Pernice morì a Milano nella notte tra il 19 e il 20 dicembre 1892. Le rappresentanze di società operaie che il mattino del 22 dicembre convennero di fronte al palazzo di via Cusani per accompagnare la sua salma alla chiesa di S. Maria del Carmine (la Società ramieri, idraulici e affini, la Società operai di Vimercate, la Società dei fattorini di banca e di studio, il Circolo operaio ordine e progresso, la Società degli operai di porta Tenaglia, la Società degli osti e dei trattori, le società del personale ferroviario delle reti Mediterranee, Adriatica e del Ticino oltre ai coloni della tenuta di Concorezzo – di cui era stato sindaco tra il 1860 e il 1867 – e ai maestri delle fucine di Lecco) testimoniarono il perseguimento di un ideale sociale e politico a lungo e accesamente propugnato.
Il suo lascito materiale alla vedova consisté essenzialmente negli immobili che Villa Pernice aveva ereditato dallo zio Antonio, incrementati con sapienti acquisizioni fondiarie: i locali milanesi di via Cusani e via del Bollo, un palco al Teatro alla Scala, tre case a Concorezzo in via del Borgo, terre poste tra Concorezzo e Monza, provviste di cinque case coloniche nelle località di San Vincenzo e Malcantone per un’estensione di poco inferiore ai 40 ettari. Dopo la sua morte, 4000 lire furono assegnate allo scultore Bassano Danielli per l’esecuzione del busto in marmo oggi alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, che conserva l’importante collezione libraria raccolta da Villa Pernice anche grazie all’apporto della moglie Rachele.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza e altra documentazione di mano di Villa Pernice e Rachele Cantù sono oggi conservate dagli eredi presso l’Archivio privato Nogara, Roma. Si veda anche Archivio di Stato di Milano, Successioni, b. 263, f. 78, Denunzia della successione di Angelo Villa Pernice, 15 aprile 1893; Notarile, notaio Gabrio Sormani, rog. 21 gennaio 1852; notaio Achille Marocco, rog. 14 marzo 1850 e 22 aprile 1856; notaio Carlo Gariboldi, rog. 14 gennaio 1849 e 23 novembre 1850; notaio Paolo Finati, rog. 16 gennaio 1857. Si può ricorrere all’Archivio storico della psicologia italiana, ASPI, Milano, b. 6, f. 185 (cit. dalla lettera del 21 giugno 1863) anche per altra corrispondenza di Villa Pernice e Rachele Cantù. Minute notizie biografiche sono ricavabili da In memoria di A. V.-P., Milano 1893 (in partic. L. Anzoletti, Notizia biografica di A. V. P. già pubblicata in parte nella Rassegna nazionale di Firenze, pp. 149-170). Per l’elenco delle opere a stampa di Villa Pernice, il quadro complessivo dei suoi lavori parlamentari e ampliamenti bibliografici si può ricorrere a G. Maifreda, Governo e rappresentanza degli interessi. A. V. P. 1827-1892, Rubbettino 2001 e al sito internet www.storia.camera.it. Il più completo profilo biografico di Rachele Cantù è contenuto in Dizionario biografico delle donne lombarde, a cura di R. Farina, Milano 1995, s.v.; si veda anche M.I. Palazzolo, Un salotto milanese di fine secolo: l’Accademia dei Pedanti di Rachele Villa Pernice, in Il Risorgimento, 1983, n. 2, pp. 132-148. Si vedano inoltre: M. De Cecco - A. Pedone, Le istituzioni dell’economia, in Storia dello Stato italiano, a cura di R. Romanelli, Roma 1995, pp. 253-300; G. Melis, L’amministrazione, ibid., pp. 187-251.