VENTUROLI, Angelo Maria Baldassarre
– Nacque a Medicina l’8 gennaio 1749, da Domenico Antonio, artigiano di umili origini, e da Maria Caterina Orfei, di agiata famiglia medicinese, terzogenito di quattro figli (Maria Rosa la primogenita, quindi Vincenzo, infine Angela). Fu tenuto a battesimo alle ore 14 del medesimo giorno nella parrocchiale di S. Mamante a Medicina, avendo come padrino il rev. Domenico Moretti e come madrina la nonna materna Ursula Ghelli.
Vedova nel 1754, nel 1756 Maria Caterina si trasferì a Bologna presso un parente, don Luigi Dardani, mansionario del capitolo di S. Petronio. Formatosi come pittore, ma anche scultore e ceroplasta, Dardani fu forse colui che profuse nel piccolo Angelo i primi rudimenti del disegno. Venturoli si iscrisse poi giovanissimo all’Accademia nel 1759, avendo per docenti Ascanio Amalteo d’Oderzo per la matematica, Giovanni Antonio Bettini per il disegno, Petronio Fancelli per la pittura e Raimondo Compagnini per il disegno architettonico. Vinse quattro volte il premio Fiori (1767, 1768, 1770 e 1771) e due volte il premio Marsili Aldrovandi (di seconda classe nel 1770 con un progetto per un Teatro di fiera; di prima classe nel 1771 con un progetto per un Palazzo di campagna di gusto palladiano).
Diplomatosi nel 1772, la conoscenza di Carlo Bianconi lo avviò alla pratica professionale dell’architettura e, grazie agli interventi di quest’ultimo, ai primi incarichi ufficiali: l’esecuzione dal 1773 per il cardinale Giovanni Corner Giustiniani di diversi progetti architettonici e decorativi per la sua villa cinquecentesca e l’annesso casino seicentesco a Castelfranco Veneto, comunemente detti ‘del Paradiso’ (complesso demolito nel 1803 e ricostruito dal 1852 come villa Revedin, oggi Bolasco Piccinelli); la progettazione, mai attuata, di un palazzo per i principi Holstein-Gottorp (1775); la collaborazione al casino di Giacomo Sardini a Lucca (dal 1777).
Il primo incarico bolognese gli giunse nel 1776 con la progettazione dell’altare maggiore della chiesa di S. Maria della Vita e la risistemazione della zona presbiteriale, di cui disegnò anche balaustrata e pavimentazione: fu questo il primo di una lunga serie di progetti di altari e assetti interni di chiese sia bolognesi sia della provincia che impegnò buona parte della sua carriera e che si estese presto alla riprogettazione di interi edifici sacri.
È il caso, ad esempio, dell’altare maggiore di S. Mamante a Medicina (1790) e di quelli bolognesi di S. Antonio di Savena (1780), S. Margherita (1782-83), S. Agata (1791) e della Beata Vergine di S. Luca, con successivo ingrandimento della cappella maggiore (1810 e 1812); della sistemazione della cappella del SS. Sacramento in S. Petronio (1814); degli altari laterali di S. Paolo Maggiore a Bologna (1818-19); della risistemazione della zona presbiteriale di S. Giovanni Battista a Minerbio (1811), con l’apertura dei finestroni dell’abside e il ricollocamento del grande gruppo plastico di Giuseppe Maria Mazza proveniente dalla chiesa di S. Gabriele a Bologna.
Quali esempi di un più significativo intervento su edifici sacri si possono ricordare i casi bolognesi di S. Giuliano (1778-81), dei Ss. Gregorio e Siro (1779-80) e di S. Maria Labarum Coeli (1780), cui si aggiungono S. Michele a Poggio Renatico (1779), S. Michele a Baragazza (1790-1801), il Sacro Cuore di Gesù e S. Giovanni Battista a Castel Guelfo (1799-1814), S. Maria Nascente a Pragatto di Crespellano (1817), oltre ad alcuni campanili (S. Giuliano, 1780, S. Sigismondo, 1795, e S. Giacomo dei Carbonesi, 1802, a Bologna; S. Croce di Selva di Budrio, 1808): tra questi spicca l’elegante e slanciata torre di S. Sebastiano a Renazzo (1793-98), nella quale il tipico modello rinascimentale bolognese, ancora in uso per tutta l’età barocca (si pensi al campanile di S. Cristina della Fondazza), venne rinnovato nel rispetto della tradizione mediante l’inserimento di un alto basamento rastremato a bugne isodome, specchiature murarie sui quattro lati del corpo, coronamento a fregio dorico con cornicione marcapiano aggettante a due terzi dell’altezza e finestroni campanari di gusto vagamente michelangiolesco sormontati, ai lati dei frontoncini, da coppie di acuti pinnacoli piramidali ad accrescere il senso di elevazione della struttura: un modello poi variamente replicato nel territorio (per esempio, da Giuseppe Brighenti) per tutto il XIX secolo.
Fu alla facoltosa committenza privata, tuttavia, che Venturoli dovette il rapido accrescersi del proprio ruolo da protagonista indiscusso dell’architettura neoclassica bolognese. Tra le prime commesse in questo senso vi furono la villa per Gaetano Muratori a Calcara di Crespellano (dal 1777), il ‘Roccolo’ per il senatore Luigi Ratta a Vedrana di Budrio (dal 1780), nonché la villa (oggi scomparsa) della marchesa Lucrezia Fontanelli Aldrovandi Marescotti a Borgo Panigale (dal 1783).
Dopo la partecipazione al fianco di Bianconi e Giuseppe Jarmorini ai lavori per la grandiosa villa Hercolani (1785-86), la consacrazione professionale di Venturoli si ebbe con una notevole serie di interventi nelle grandi ville senatorie di campagna, tra le quali la ristrutturazione generale di villa Tanari a Bazzano (1790-91) e di palazzo Bentivoglio Pepoli a Zola Predosa (1778-1806); gli interventi nel palazzo Albergati di Zola Predosa (dal 1791); la costruzione ex novo di villa Mòdoni a Medicina (dal 1790-91 circa); villa Pietramellara a Manzolino di Castelfranco Emilia (dal 1794).
Meno numeroso, ma di non meno prestigiosa committenza rispetto alle ville di campagna, fu l’operato di Venturoli per il completamento o l’ammodernamento di alcune delle più sontuose residenze cittadine di Bologna, tra cui i palazzi Bianchetti (1785-88), Vassè Pietramellara (1790-94), Gotti (dal 1791), Hercolani (dal 1793), Agucchi (dal 1795), Cappelletti (dal 1797) e Amorini Bolognini (dal 1809). In tutti, Venturoli operò specialmente sulle facciate, ma nonostante i molti progetti presentati i suoi interventi si risolsero sempre nella necessità di adeguarsi allo stile architettonico preesistente, per lo più di impianto rinascimentale; decisamente più autonoma la sua progettazione degli interni, con particolare rilievo per lo scalone d’onore di palazzo Hercolani, nel quale ripropose, affinate, soluzioni già approntate per villa Mòdoni. A questa serie possono essere aggiunti la casa Landriani in piazzetta S. Francesco a Modena (dal 1782) e palazzo Cappelletti a Rieti (dal 1805).
Frattanto la notorietà di Venturoli aumentava: dopo essersi invano candidato nel 1778 e nel 1780 a socio dell’Accademia di Bologna, nel 1781 gli fu affidata la cattedra di architettura, che resse fino alla soppressione dell’istituzione a seguito della conquista napoleonica. Fu anche nominato principe dell’Accademia per l’anno 1794-95 e viceprincipe per gli anni 1802-03 e 1803-04. Dall’ottobre del 1802 venne chiamato alla bolognese Commissione apposita per i teatri; dal maggio del 1806 fece parte della Commissione apposita per l’esame degli architetti civili e periti agrimensori e della Commissione permanente di architettura e ornato; nel settembre del 1813 fu nominato tra i fabbricieri del santuario della Beata Vergine di S. Luca. Furono però anni difficili, nei quali vide morire la madre Maria Caterina (1796), la sorella Angela (1804) e il fratello Vincenzo (1807): gli sopravvisse solo la sorella maggiore, Maria Rosa.
Nel luglio del 1784 acquistò un immobile in strada S. Donato 1558, nella parrocchia di S. Maria Maddalena, per ristrutturarlo e affittarlo, e dove pare non abbia mai abitato; unici recapiti documentati sono un appartamento in via Castiglione 389, ove visse con i fratelli nell’ottobre del 1801 e nel dicembre del 1802, e la successiva residenza in via Cavaliera 1618, ove è attestato nel 1816 e nel 1820.
Durante gli anni della dominazione napoleonica ricevette diversi incarichi ufficiali, tra cui quelli di membro del Consiglio generale del dipartimento del Reno (dal 1802) e di consigliere comunale della Municipalità di Bologna (dal 1803). Inoltre, in qualità di perito revisore demaniale, buona parte del suo impegno professionale fu suo malgrado reindirizzato, come per altri colleghi (Giuseppe Tubertini, Giovanni Battista Martinetti, Ercole Bassani), alle rilevazioni per il catasto urbano postsoppressioni, spesso venendogli richiesto di adattare gli immobili a funzioni civili, produttive o abitative. Non mancarono tuttavia occasioni per nuove prestigiose commissioni private, ancora una volta soprattutto ville di campagna: delle molte (senza contare quelle rimaste unicamente su carta), basti ricordare villa Monti a Belpoggio (dal 1805) e villa Regoli Bentivoglio oggi Revedin (dal 1812), le ristrutturazioni di villa Zambeccari ad Anzola dell’Emilia (dal 1805-08) e, infine, l’erezione del monumentale prospetto meridionale della settecentesca villa Malvezzi Campeggi a Bagnarola di Budrio (dal 1812, sebbene i primi sopralluoghi datino già al 1804).
Dopo la rifondazione dell’Accademia pontificia di belle arti (1816), egli rifiutò di succedere a Giovanni Antonio Antolini (suo successore nel 1803) alla cattedra di architettura, continuando tuttavia a partecipare attivamente alla vita accademica e rimanendo protagonista indiscusso del panorama architettonico locale: tra le opere tarde, si ricordi in particolare l’ampliamento di villa Malaguti ‘La Pasquina’ a S. Silverio di Chiesa Nuova su via Toscana (1814-17).
Prolificissima, dunque, l’attività di Venturoli nel corso dell’intera carriera: 356 i progetti (realizzati e non) elencati dall’architetto stesso e stampati da Antonio Bolognini Amorini nel suo Elogio del 1827, cui vanno aggiunti i progetti (per lo più non realizzati) per teatri, ponti e porte urbiche, le molte topografie urbane e di singoli edifici o proprietà, i disegni per il monumento al duca Pietro di Curlandia (1785) e per svariati monumenti funebri (invenzioni originali, per esempio, i monumenti Baldi Comi, 1815, e Mattioli, 1817, in Certosa; risistemazione e integrazione di opere rinascimentali, come i monumenti Albergati Capacelli, 1804, Malvezzi Lupari, 1808, e Zambeccari, 1813), arredi sacri e apparati effimeri, oltre a numerosissimi pareri tecnici e perizie.
L’opera architettonica di Venturoli si caratterizza quale estrema propaggine del neopalladianesimo europeo e in questo senso gli studi si sono adoperati per un suo preciso inquadramento, per lo più analizzando i progetti di residenze di campagna. L’incontro con gli edifici di Andrea Palladio si ebbe in occasione di diversi viaggi nel Veneto intrapresi negli anni Settanta (di queste visite restano numerosi schizzi a penna degli edifici di maggior interesse), ma anche attraverso la già ricca bibliografia palladiana, tra cui le tavole di Ottavio Bertotti Scamozzi, edite a Vicenza nel 1776-1783 e presenti nella sua biblioteca sia in questa prima edizione sia in quella del 1796.
Il neopalladianesimo di Venturoli, che non traspare dai progetti per altari – descrivibili piuttosto come di stile barocco depurato – e che vede talora innestarvi elementi estranei, è ben rilevabile fin dai disegni per i concorsi clementini e, in seguito, fu applicato alla progettazione delle residenze di campagna, talora con discreta autonomia inventiva, talaltra spingendosi ai limiti del calco, in ogni caso dimostrando un’eccezionale padronanza del lessico palladiano e più prettamente scamozziano: tale palladianesimo non deve infatti essere interpretato unicamente quale libero e personale ideale stilistico, bensì come l’orientamento di chi, in linea con il neocinquecentismo variamente diffuso nell’architettura tardoneoclassica italiana, si trovò a dover progettare ricorrentemente residenze di campagna, laddove altri architetti contemporanei predilessero il modello del palazzo urbano romano raffaellesco e sangallesco per le sedi cittadine o l’architettura militare sanmicheliana per le commesse pubbliche. Resta comunque l’ampiezza e sincerità dell’ispirazione palladiana di Venturoli, rilevabile anche in alcune chiese, ove il modello veneziano appare evidente sia in facciata, sia nell’impianto planimetrico e voltato, sia nell’organizzazione spaziale.
Di bassa statura (donde il soprannome Angiolino tra gli intimi) e portamento elegante, meticoloso nel lavoro e prodigo nella beneficenza, «gioviale, faceto e piacevole di gioconda conversazione» (Bolognini Amorini, 1827, p. 23), Venturoli fu ben inserito nella più alta società bolognese dell’epoca, ma non si sposò mai. Ben poco incline a viaggiare (non intraprese mai il canonico viaggio a Roma), la sua attività si concentrò per lo più nel Bolognese, quasi mai fuori regione, spingendosi al massimo fino a Modena, Ferrara e Forlì; donde la scarsa eco della sua opera nel panorama italiano e l’orizzonte esclusivamente locale degli studi a lui dedicati: ricerche, puntuali e numerose, che tuttavia non hanno finora prodotto una vera monografia complessiva.
Nel 1820 l’architetto redasse testamento, destinando quasi tutti i propri beni (compresa la biblioteca privata e la preziosissima collezione di 616 formelle di marmi di ogni qualità, colore e provenienza) e fondi all’istituzione di un collegio artistico a sostegno di ragazzi bolognesi tra i 12 e i 20 anni di troppo modeste condizioni economiche per intraprendere un percorso di studi propedeutico all’accesso all’Accademia di belle arti. Esecutori testamentari, da lui stesso nominati, furono il marchese Antonio Bolognini Amorini (suo primo biografo e ordinatore del suo fondo archivistico), il conte Luigi Salina e Carlo Savini, i quali procedettero anche a identificare il luogo più adatto a ospitare l’istituto, acquistando il 24 aprile 1822 dalle carmelitane scalze l’ex Collegio illirico ungarico in via Centrotrecento 4 a Bologna, ove esso ancora oggi ha sede, iniziando ufficialmente l’attività nel dicembre del 1825.
Morì il 7 marzo 1821, e fu sepolto nel Pantheon della Certosa di Bologna. La sua iconografia è tramandata dal busto in marmo di Giacomo De Maria per il Pantheon bolognese, oggi nei depositi del Museo d’arte moderna di Bologna, MAMBo (calchi in gesso sono presso il Museo civico di medicina e la Fondazione collegio artistico Venturoli, ove si trova anche una copia marmorea di Federico Monti, del 1862), e da un ritratto pittorico nel Collegio Venturoli, dubitativamente attribuibile a Pietro Fancelli.
Fonti e Bibl.: Medicina, Archivio parrocchiale di S. Mamante, Libro dei battezzati; Archivio di Stato di Bologna, Assunteria d’Istituto - Accademia Clementina, b. 30, n. 11, 1781 (Requisiti per l’aggregazione di Angelo Venturoli); Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B.135: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno, cioè pittori, scultori ed architetti bolognesi, XVIII secolo, cc. 115-116; Archivio fondazione collegio artistico Venturoli, Archivio Angelo Venturoli (Perizie, Disegni, Raffetti, Onorificenze, Carteggi) ed Eredità Venturoli, cartt. 1-5.
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