DE GUBERNATIS, Angelo
Nacque a Torino il 7 apr. 1840 da Giambattista (morto nel 1867), figlio di un capitano dell'esercito sardo, che era stato funzionario del ministero delle Finanze sabaudo.
Il D. frequentò le scuole e l'università a Torino, dove ebbe come insegnanti, tra gli altri, T. Vallauri, M. Coppino, E. Ricotti. Ancora studente (1860), ebbe l'incarico di professore al ginnasio di Chieri; nel '61 fu incaricato provvisoriamente anche della sua direzione. Subito dopo la laurea in lettere ('62), fu nominato professore prima di lettere latine e greche al liceo di Lucera, poi di lettere italiane al liceo di Ivrea, incarichi che tuttavia non ricoprì poiché parti nel novembre per Berlino, avendo ottenuto una borsa di studio per perfezionarsi in sanscrito, zendo e grammatica comparata.
Sono di questi anni le sue prime prove drammaturgiche: del 1857 il dramma in versi Sampiero di Bastelica (perduto); del '59 il dramma Werner in cui, come afferma lo stesso D., è forte l'influenza di Goethe e soprattutto di Schiller (pubbl. sulla Rivista contemporanea, VII [1859], 19, pp. 208-273); la tragedia Pier delle Vigne (1869), messa in scena dalla compagnia di E. Rossi al teatro Gerbino di Torino nel dicembre '60; la tragedia Crescenzio (1860, perduta); Iacopo, Bonfadio (1861, perduta), "una tragedia sterminata" la definisce il D. nell'autobiografia pubblicata nel 1900 (Fibra, p. 150), ispirata al Fieschi di Schiller; Don Rodrigo, ultimo re dei Visigoti, "undramma a forti tinte ed a scene grandiose, che, per far piacere al Rossi, scrissi in prosa" (ibid., p. 139), rappresentata da E. Rossi al teatro Gerbino di Torino nel '61 (pubbl. con prefazione di G. Prati, Torino 1861); La giovinezza di Sordello, tragedia in versi (pubbl. sul Museo di famiglia del '61; e ancora "drammi tetri sul tipo di quelli di Emile Souvestre, di Octave Feuillet e di Giuseppe Vollo" (ibid., p. 166).
Questi suoi testi teatrali, del tutto dimenticati (come quelli successivi) dopo le prime rappresentazioni, sono facilmente riconducibili nel solco di una tradizione ottocentesca che aveva mescolato ambientazione e temi desunti dalla storia e dalla letteratura medievale o classica, a motivi di tipo romantico. Dalle tragedie in versi di S. Pellico, come la notissima e molto rappresentata Francesca da Rimini (1817), alle tragedie di C. Marenco, ambientate per lo più in un Medioevo di derivazione dantesca (la più nota fu Pia de' Tolomei, 1837), all'altrettanto popolare Fornaretto di F. Dall'Ongaro (1846), fino alle ultime propaggini di Una partita a scacchi e Turandot di G. Giacosa (1875): si tratta di una copiosissima produzione drammatica, di valore artistico scarso se non nullo, che poggiava soprattutto sulla rievocazione di momenti e situazioni di un passato di fantasia a fini latamente educativi, morali, patriottici, usando i toni stilistici patetici e sentimentali tipici del melodramma e del feuilletton. Ed è infatti nella librettistica per i melodrammi che molti di questi motivi troveranno la migliore forma espressiva. Carattere distintivo di questo tipo di teatro, del modo stesso di intendere la rappresentazione, era il fatto di essere costruito soprattutto sulla figura del grande attore, spesso già nella fase di progettazione, sempre, comunque, nella fase di realizzazione, determinata dai grandi interpreti che decidevano con la loro sola disponibilità interpretativa del successo di un testo. Il D. si colloca pienamente all'interno di questa temperie, stabilendo fin dall'inizio uno stretto sodalizio con E. Rossi, attore all'epoca di grande popolarità (nel binomio-opposizione con T. Salvini), per il quale e con il quale scrisse diversi lavori teatrali. Tuttavia, come per la produzione poetica (che lo stesso D. nella autobiografia ricorda sempre assieme ai testi teatrali), la molla principale è di carattere soggettivo, se non proprio autobiografico. Si tratta dunque di un'attitudine propriamente lirica, scarsamente sostenuta da sufficiente padronanza del linguaggio tecnico e formale della poesia come della drammaturgia, che approda a componimenti nei quali si contempera, spesso goffamente, l'immaginazione, per lo più letteraria, e la vocazione moralistica e didattica testimoniata da tutta la sua attività intellettuale.
Allo stesso periodo giovanile risalgono pure i primi lavori di biografo, e precisamente i volumi Santorre di Santarosa (Torino 1860) e Giovanni Prati (Torino 1861, rist. nella collana "Illustri italiani", Firenze 1883), pubblicati (per la UTET) sotto il titolo di collana "I contemporanei italiani. Galleria nazionale del secolo XIX". Del 1861 è il primo di una serie di libri per le scuole, Dell'amor patrio insegnato dagli antichi scrittori classici (pubbl. a Torino), cui seguiranno La Divina Commedia dichiarata alla gioventù (3 voll., Firenze 1887-91); La patria nostra (libro di lettura per le classi superiori della scuola elementare), Roma 1893; L'Italia rappresentata ai giovani nelle sue principali bellezze, ricchezze e glorie (libro di lettura per le prime classi ginnasiali, tecniche e preparatorie alle normali), Roma 1893; Rispetti popolari per la fanciullezza, Roma 1908, ecc.; va aggiunta la pubblicazione di tutte le lezioni, corsi universitari, conferenze tenute nelle più diverse occasioni.
In questo filone si inserisce l'iniziativa di fondare a Firenze, nel 1881, Cordelia. Rivista mensile per le giovinette italiane, che diresse fino all'84, quando l'incarico passò a Ida Baccini, già principale collaboratrice al periodico.
Si tratta di una tipica rivista "popolare", ossia tendenzialmente ad ampia diffusione, che si inserisce nella vasta pubblicistica del periodo postunitario, nel quale, al grande fiorire di opuscoli e manuali (dovuti a nomi anche molto noti come P. Mantegazza, Neera, ecc.), accuratamente pensati e differenziati a secondo del tipo di pubblico a cui si rivolgono (operai, contadini, donne, ragazzi, ecc.), si accompagnano numerose iniziative pubblicistiche tendenti a raggiungere, con mezzi di comunicazione e persuasione nuovi o rinnovati, settori di opinione pubblica esclusi fino allora dagli indirizzi programmatici culturali e sociopolitici, e quindi di mercato. Il primo fenomeno di pubblico, di questo tipo, già ampiamente consolidato negli anni Ottanta, era stato la diffusione della narrativa romanzesca italiana e straniera di diverso valore culturale e artistico, dai grandi scrittori francesi, inglesi e russi della prima metà dell'800 fino alla letteratura d'appendice, che proprio nell'ultimo ventennio del secolo conobbe un grande ulteriore sviluppo di produzione e di consumo, anche in Italia. Non a caso il D. pubblicò nel 1867, a puntate, un romanzo dal titolo Gabriele, sulla Perseveranza, sensibile come fu, benché a suo modo, alle esigenze e alle mode dei tempi; d'altra parte, abbandonò la forma romanzesca solo perché riconobbe in altri generi di letteratura gli strumenti più adatti alla divulgazione delle proprie idee; e in particolare ritornò più volte sul paragone tra romanzo e biografia, risolto a tutto favore di quest'ultima.
Ancora studente, il D. aveva cominciato a collaborare a riviste e giornali, tra cui la Rivista contemporanea, Mondo illustrato e Il Diritto di Torino, con note drammatiche e letterarie; nel 1861 fondò e diresse a Torino il giornale Letteratura civile, nel '62 a Chieri fondò L'Italia letteraria, a cui collaboravano. tra gli altri, A. G. Barrili e Cletto Arrighi, e che si fuse ben presto con Le Veglie letterarie di Firenze. Iniziò così un'attività pubblicistica, di fondatore e organizzatore di riviste, che continuò fino alla morte e che testimonia in modo eloquente la peculiarità del suo modo di intendere la pratica intellettuale e culturale.
Come borsista, rimase un anno a Berlino, seguendo i corsi, in particolare, di F. Bopp e A. Weber. Tornato in Italia nel novembre '63, fu subito nominato dal noto orientalista M. Amari, ministro dell'Istruzione, professore straordinario per l'insegnamento di sanscrito e zendo presso l'Istituto di studi superiori di Firenze. Le lezioni dei primi corsi furono pubblicate in tre opuscoli: Cenni sul sanscrito (Firenze 1863), Le novelle indiane del Panciatantra e il Discorso degli animali del Firenzuola (ibid. 1864); I primi venti inni del Rigveda annotati e tradotti (Firenze 1865). Con questi lavori il D. inaugurava in Italia il filone di studi indologici, che si erano già sviluppati nella cultura accademica europea, soprattutto tedesca, nei decenni precedenti, studi che lui stesso svilupperà negli anni successivi e ai quali continueranno a fare riferimento a lungo gli studiosi della disciplina.
In questo periodo scriveva per il teatro i drammi: La morte di Catone (in versi, Milano 1863) e Il cavalier Marino (in prosa, ibid. 1863); pubblicava un volumetto di versi scritti tra i 18 e i 24 anni, intitolato Prime note (Firenze 1864) e dedicato ai compagni di studi torinesi.
In occasione dell'uscita del volume, V. Imbriani ne pubblicò una decisa stroncatura, (rist. in app. sulla Riv. bolognese, fasc. 9-10 [settembre-ottobre 1868], pp. 900 ss.), riprendendo per il D. il giudizio espresso da Goethe su K. Witte, il quale da fanciullo prodigio era divenuto letterato e giurista di mediocre valore, ossia "il prodigio è scomparso, è rimasto il fanciullo". La polemica tra l'Imbriani e il D. ebbe un seguito nel 1868, quando sulla Rivista bolognese (fasc. 5, maggio, p. 454) fu pubblicata La canzone di Margherita all'arcolaio tradotta dal Faust di Goethe nello stesso ritmo dell'originale, a firma De Gubernatis. Nel fascic. 7 (luglio, pp. 616-619) comparve Bozzacchioni poetici. Lettera a P. Siciliani di V. Imbriani che conteneva un violento e argomentato attacco alla traduzione del D. esteso alla sua intera figura intellettuale e culturale. Seguì quindi (fasc. 9-10, settembre-ottobre, pp. 887-899) una lettera di rimostranze del recensito e una replica dello stesso Imbriani, tanto sarcasticamente feroce da provocare le dimissioni di alcuni redattori dalla rivista (questi materiali e un frammento della recensione, già citata, del '65, furono raccolti in un opuscolo dal titolo A. D. e Vittorio Imbriani: polemica, stampato a Bologna nel 1868); sulla Rivista europea, poi, nel '71, il D. criticò il programma della Rivista bolognese definendolo "sciocco", il che dette nuova esca ai giudizi polemici di Imbriani. Il D. continuò, del resto, a scrivere e a pubblicare componimenti poetici di vario genere, che raccolse e pubblicò in un volume dal titolo Liriche. Gemiti e fremiti di un mezzo secolo (Roma 1906).Nel gennaio 1865 uscì a Firenze il primo numero della nuova rivista fondata e diretta dal D., La Civiltà italiana. Rivista di scienze, lettere ed arti, ispirata a un programma analogo a quello che aveva promosso le riviste da lui precedentemente fondate e dirette, e alla quale collaborarono P. Villari, F. Dall'Ongaro, G. Carducci, C. De Meis, G. Ascoli, G. Pitré.
La qualità e il rilievo culturale dei collaboratori alla Civiltà italiana, come del resto alle riviste successive del D., è dovuta essenzialmente alla rete di relazioni che fin da giovanissimo aveva cominciato a intrecciare con le maggiori figure italiane dell'epoca; facilitato dall'essere entrato prestissimo nell'ambiente accademico e culturale fiorentino, dalla quantità considerevole di pubblicazioni in campi diversi e dal fervore di iniziative che produsse incessantemente, allargò in breve tempo questo tipo di relazioni alle maggiori personalità europee; il che è ben testimoniato dai numerosissimi carteggi, in parte tuttora custoditi presso la Biblioteca nazionale di Firenze.
Poche settimane dopo la fondazione della rivista, decidendo di aderire al programma e al gruppo anarchico di Bakunin, il D. presentò le dimissioni dalla cattedra con una lettera diretta al ministro dell'Istruzione che fu stampata sul n. 7 (12 febbr. 1865) della Civiltà italiana. L'adesione al gruppo bakuniniano ebbe una durata di pochi mesi e tuttavia, in questo periodo, il D. si impegnò assai alacremente nella propaganda dei principî bakuniniani, per come li aveva percepiti, pubblicando, oltre la lettera già ricordata, un appello Ai popolani d'Italia su Lo Zenzero di Firenze (24 maggio '65). Ricordando l'episodio dopo molti anni, il D. prenderà le distanze dal fervore dell'adesione di allora. In effetti in quegli anni all'attrazione esercitata dai primi gruppi anarchici e protosocialisti su molti intellettuali non corrisponde, se non in alcuni casi, un'altrettanto forte consapevolezza politica e ideologica delle implicazioni che tale tipo di adesione comportava; il che, per un verso, derivava dalla stessa fumosità ideologica e programmatica propria di molte di quelle organizzazioni o, più spesso, sette, e, per altro verso, dalla facile attribuzione alle nuove dottrine di quei caratteri genericamente umanitari, pacifisti, egualitari, che furono tipici dell'orientamento "progressista" di molta cultura dell'epoca.
In anni maturi il D. approdò a un generico progressismo testimoniato da diversi opuscoli, per lo più testi di conferenze o interventi a congressi, come A tous les amis de la paix (XIXCongrès universel de la paix, Roma 1911), Pacifismo e patriottismo (Milano 1912), in cui, come molti suoi contemporanei, cercava di conciliare il pacifismo con l'adesione all'impresa di Libia, o il Catalogo del Museo storico della pace, da lui prefato (Roma 1912), il che non gli impedì tuttavia di assumere posizioni schiettamente antioperaie (cfr. per es. l'articolo "Le sommosse popolari e il folklore", in Riv. delle tradizioni popolari ital., 1° febbr. 1894), o filocolonialiste (cfr. il Proemio a Peregrinazioni indiane) in linea con lo sgretolamento dell'impianto positivista-progressista che andò accentuandosi tra la fine dell'800 e il primo decennio del sec. XX.
Alla metà del 1865 il D. abbandonò il gruppo anarchico e sposò la cugina di Bakunin, Sofia Besobrasov; benché la sua militanza politica avesse suscitato scalpore, producendo anche successivi strascichi, già alla fine del '65 ottenne l'incarico di tenere un corso libero presso lo stesso Istituto di studi superiori fiorentino e poco dopo venne reintegrato nella cattedra di sanscrito, come professore straordinario prima e ordinario poi, mantenendo questo insegnamento fino al 1891. Le lezioni del corso furono subito pubblicate con il titolo La vita e i miracoli del dio Indra nel Rigveda (Firenze 1866), seguite ben presto da altre opere di indianistica e pomparatistica: Le fonti vediche dell'epopea indiana (Firenze 1867), Memorie intorno ai viaggiatori italiani nelle Indie orientali dal secolo XIII a tutto il XVI (ibid. 1867), Piccola enciclopedia indiana (ibid. 1867). Scrive lo stesso D. che i suoi primi riferimenti culturali in materia furono la Histoire comparée des langues sémitiques di E. Renan, la Storia universale di C. Cantù gli Studi orientali e linguistici di G. Ascoli ma soprattutto gli studi di Max Müller, del quale erano state tradotte in italiano, per iniziativa di D. Comparetti, nel 1864, le Lezioni sulla scienza del linguaggio, e che influenzò profondamente gli studi mitologici e folklorici in Italia e in Europa.
A partire dalle analisi conclusive di F. Bopp, che aveva dimostrato la comune origine del sanscrito e delle lingue indoeuropee, e dagli studi successivi di linguistica comparata e glottologia indoeuropea, Müller esaminò le raccolte mitologiche più antiche (come i veda) e varie raccolte di novellistica popolare alla luce di un metodo che derivava dalla riflessione sui nessi tra linguaggio e mito, ovvero tra scienza del linguaggio, scienza del mito e scienza delle religioni. La scuola di mitologia comparata facente capo a Müller e di cui il D. fu il divulgatore più convinto e fedele in Italia, faceva della filologia comparata lo strumento fondamentale di analisi dei materiali; nel convincimento, proprio del Müller, che la primitiva mitologia indoeuropea si fosse depositata, filtrata, nelle fiabe e nelle leggende delle differenti popolazioni di origine ariana, e queste a loro volta trasmesse nei racconti e novelle popolari, arrivando perciò a riconoscere nelle strutture semplificate di fiabe, miti, leggende e novelle, elementi comuni sul terreno linguistico e mitologico.
La filologia comparata dimostrava dunque, secondo il Müller, come i nomi attribuiti nel mondo primitivo alle forze naturali (innanzitutto al sole, la luce, la notte) si fossero progressivamente tramutati nei nomi propri di altrettante divinità, differenziate poi per caratteri e funzioni (Numina nomina); sicché, postulando l'indissolubilità di pensiero e linguaggio, il legame stabilito tra il sistema del linguaggio e i sistemi dei miti permetteva di spiegare l'origine dei miti stessi come prodotto errato del linguaggio. Il Müller dunque, tendeva a delimitare rigorosamente il confine tra la razionalità moderna e l'irrazionalità primitiva, confinando quest'ultima a una precisa zona di "malattia" del linguaggio e del pensiero, nella piena adesione a un impianto essenzialmente positivista; con questa operazione tuttavia riaffermava una linea di continuità tra leggende, miti, racconti popolari, che diede grande impulso all'attività dei raccoglitori di materiali della tradizione orale, che vide anche in Italia impegnate figure come Imbriani, Comparetti, A. D'Ancona, e G. Pitré, su basi sensibilmente nuove rispetto alla precedente generazione romantica.
Il D., fedele discepolo delle teorie del Müller, legò quindi ben presto i suoi studi indianisti all'interesse per la mitologia, la demologia, le tradizioni popolari. Pubblicò infatti gli Studi su l'epopea indiana e su l'opera biblica (Firenze 1868) e la Storia comparata degli usi nuziali indo-europei (Milano 1869), cui seguirono la raccolta delle Novelline di S. Stefano di Calcinaia (con una introd. sulla parentela dei miti con le novelline, Torino 1869), Storia popolare degli usi funebri indo-europei (Milano 1873), Storia comparata degli usi natalizi in Italia e presso gli altri popoli indo-europei (Milano 1878, rist. anast. Bologna 1969), Storia comparata degli usi funebri in Italia e presso gli altri popoli indo-europei (Milano 1878, rist. anast. Bologna 1969), Zoological Mythology or the Legends of Animals (2 voll., London 1871), opera di carattere erudito e di sistemazione, che gli procurò fama e considerazione molto più all'estero che in Italia, tanto più che venne immediatamente tradotta in francese e tedesco.
Questo lavoro del D., benché sottoposto anch'esso a critiche e riserve contemporanee e posteriori soprattutto per l'impianto teorico e metodologico, rimane tuttavia ancora oggi un apprezzabile punto di riferimento per gli studi del settore; all'epoca poi in cui uscì, rappresentò la prima consistente occasione di proiezione della cultura scientifica ed erudita italiana nel contesto europeo, funzione questa che rimane uno dei meriti maggiori del lavoro del D. per le sue pubblicazioni che, comunque, valorizzò come tramiti di un legame e di uno scambio permanente tra la cultura italiana e quelle europee e, ancora più, per l'attività legata alle riviste, ai congressi e ai convegni da lui promossi e organizzati.
Nello stesso solco di studi uscirono: Cenni sopra alcuni indianisti viventi (Firenze 1872); Letture sopra la mitologia vedica (Firenze 1874); Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie orientali (Livorno 1875); Matériaux pour servir à l'histoire des études orientales en Italie (Florence 1876, testo dell'intervento al III Congresso degli orientalisti, come delegato italiano); Mythologie des plantes ou Legendes du régne végétal (Paris 1878-82). Di carattere divulgativo sono le Letture di archeologia indiana (Milano 1881), come anche Peregrinazioni indiane (3 voll., Firenze 1886-87), sorta di diario del viaggio compiuto dal D. in India nell'85, nel corso del quale raccolse, tra l'altro, manoscritti e materiali vari che costituirono il primo blocco del Museo indiano da lui fondato a Firenze nel 1886. Ancora: Mitologia comparata (Milano 1887), Letteratura indiana (Milano 1889), Gli studi indiani in Italia (Firenze 1891), Max Müller e la mitologia comparata (Firenze 1875), Dante e l'India (Roma '89), Brahman et Sâvitrî, ou L'origine de la prière, in Actes du onzième Congrès international des orientalistes, I Section, Paris 1899, pp. 9-44, L'avenir de l'histoire des religions (discorso tenuto l'8 sett. 1900 al I Congresso internazionale di storia delle religioni, pubblicato in Actes du prémier Congrès international d'histoire des religions, Paris 1901, pp. 53-74), Vita e civiltà vedica (confrontata con la vita degli antichi romani), Roma 1906; introduzione e testo descrittivo alla Mitologia illustrata da B. Pinelli (3 voll., Roma 1895-96), Storia dell'etnologia (Perugia 1912).
La sollecitazione a perseguire questo versante di studi è, nelle stesse parole del D., tanto eloquente da spiegare i motivi del suo interesse, ma anche la maniera spesso affrettata e superficiale di coltivarli, dato che è il prodotto congiunto del suo impegno come divulgatore del pensiero di Müller e, insieme, del suo modo singolare di concepire i settori disciplinari come campi di sperimentazione di un'immaginazione nutrita di non moltissime ragioni culturali e scientifiche.
Una riprova di questo intreccio di nessi è nell'ambientazione indiana e mitologica che sceglie per i drammi che scrive in questi anni, parallelamente alle opere scientifiche e accademiche indianiste e orientaliste: Il re Nala, trilogia drammatica, ispirata a un noto poemetto indiano che fa parte del Mahabhârata (la seconda parte fu rappresentata a Firenze nel '69 al teatro de' Fidenti), Il re Dasarata, dramma leggendario in due atti, soggetto ricavato dai primi due libri dell'epopea Râmâyana (rappresentato da E. Rossi al teatro Nuovo di Firenze nel '71); Mâyâ o L'illusione, mistero drammatico, soggetto desunto dalla leggenda vedica di Smassepa contenuta nell'Aitareya Brâhmana, tutti raccolti nel volume Drammi indiani (Firenze 1883); e successivamente Buddha, dramma in 5 atti (Roma 1902). A confermare il carattere elegiaco e melodrammatico di questi testi, valga il fatto che diversi di essi furono musicati per balletto o ridotti a libretto per l'opera lirica. A questi lavori si affiancano, di ambientazione storica romana, Romolo (Firenze 1873) rappresentato al teatro Valle di Roma nel 1900, in occasione del congresso degli orientalisti; e Romolo Augustolo, elegia drammatica (Roma 1876), pubblicati nel volume Drammi romani (Roma 1899), a cui si aggiunse Probo, principe della pace, dramma storico in tre atti (Firenze 1912).
Nel ventennio 1870-90 il D. si affermò dunque in campo nazionale e internazionale, come orientalista, mitologo, erudito, benché non mancassero attacchi, a volte feroci, al suo lavoro scientifico e accademico, che era da lui praticato più come accostamento a temi e raccolte di materiali, più o meno noti, che con la rigorosa attenzione scientifica e sistematica a cui altri specialisti contemporanei si ispiravano.
A questa caratterizzazione di fondo si deve la sua incessante attività di fondatore e direttore di riviste, nonché di collaboratore di moltissimi periodici italiani e stranieri. Ancora alla metà degli anni '60 collaborava, tra gli altri, alla Perseveranza di Firenze diretta da R. Bonghi, al Politecnico di Milano diretto da F. Brioschi, a Il Borghini. Giornale di filologia e di letteratura italiana compilato da P. Fanfani. Dopo la Civiltà italiana, che cessò dopo pochi fascicoli le pubblicazioni a causa della parentesi bakuniniana del suo direttore, il D. fondò e diresse: la Rivista orientale a Firenze (1867-69), che doveva raccogliere gli studi del settore, la Rivista contemporanea a Torino (1868), la Rivista europea a Firenze (1869), mensile a cui collaboravano G. Prati, G. Strafforello, G. Pitré, e una serie di corrispondenti da Parigi, Londra, Berna, ecc.; quindi il Bollettino degli studi orientali (Firenze 1876), di carattere specialistico, Il Giornale della Società asiatica italiana (Firenze 1886), ossia della Società che lo stesso D. aveva fondato e di cui fu presidente onorario, il già ricordato Cordelia, la Revue internationale (Firenze 1884), simile nell'impostazione alla precedente Rivista europea. Seguì Natura e arte (1891), rivista illustrata quindicinale italiana e straniera di scienze, lettere ed arti (Milano-Roma), a cui collaboravano S. Farina, la contessa Lara, C. Arrighi, V. Bersezio, A. Boito, E. De Amicis, A. Fogazzaro, C. Lombroso, M. Serao, ecc. Ancora: Rivista delle tradizioni popolari italiane (1893-1895) in ristampa anastatica, Bologna 1968; La vita italiana. Rivista illustrata (Roma 1895), tra i collaboratori: R. Bonghi, V. Bersezio, G. Deledda, Contessa Lara, A. Fogazzaro, S. Farina, V. Aganoor, G. Pascoli, L. Pirandello, ecc.; Cronache della civiltà elleno-latina (Roma 1902-1905).
Si aggiunga che, tra il '76 e l'85 sulla Nuova Antologia di Firenze, il D. tenne la rubrica della "Rassegna delle letterature straniere", e che collaborò a molte riviste straniere, tra cui Nouvelle Revue, Revue bleue, République française, Cosmopolis, Courrier littéraire di Parigi; Athenaeum, Contemporary Review di Londra; Deutsche Rundschau, Deutsche Revue e Grenzboten in Germania; Viestnik Evrop'i di Pietroburgo ed altre.
Nella stessa linea del suo preminente interesse alla divulgazione, rivolta a settori ampi e indifferenziati del pubblico potenziale ed effettivo, si collocano pure il suo impegno di conferenziere, che lo portò in ogni parte del mondo, e la pubblicazione di molti volumi di resoconti di viaggio: oltre al già ricordato Peregrinazioni indiane, pubblicò nel '77 a Milano La Russia contemporanea; La Hongrie politique et sociale (Florence 1885); La France. Lectures, impressions et réflessions (Florence 1891); L'Argentina. Ricordi e letture (Firenze 1898); La Serbie et les Serbes (Florence 1897); La Roumanie et les Roumains (Florence 1898); In Terra Santa (Milano 1899); I popoliasiatici (Milano 1900); La Boulgarie et les Boulgares (Florence 1899), ecc.
Si tratta di opere che, per un verso, rispondono al gusto diffuso dell'epoca per i racconti di viaggio, per lo più in luoghi esotici e lontani, e tuttavia confermano quella attitudine profondamente radicata nel D. alla divulgazione, al didattismo che sorreggeva pure la sua copiosa produzione di biografie.
Nel 1873 aveva pubblicato a Firenze Ricordi biografici d'illustri Italiani, che comprende 42 ritratti, una prima serie dei quali era stata pubblicata sulla Rivista europea tra il '72 e il '73; tra gli altri vi compaiono quadri biografici di Manzoni, Capponi, Cantù, Tommaseo, De Sanctis, Settembrini, P. Villari, Aleardi, Prati, Guerrazzi.
Su questa linea seguirono altri volumi dedicati a diverse figure della storia italiana: Francesco Dall'Ongaro e il suo epistolario (Firenze 1875); Paolo Mantegazza. Ricordo biografico (Firenze 1879); Alessandro Manzoni. Studio biografico (letture fatte alla Taylorian Institution di Oxford, Firenze 1879); Biografia di Daniele Pallaveri (Venezia 1880); Luigi Ferri. Parole dette innanzi al feretro (Roma 1899); e nella collana "Italia illustre. Galleria di ritratti biografici di contemporanei italiani" uscirono tra il 1908 e l'11, a Roma, Il re Vittorio Emanuele III, Pio X, Gaspare Finali, Giovanni Schiaparelli, Giuseppe Aurelio Costanzo, nonché Mario Rapisardi (Milano-Palermo-Napoli 1911), ecc.; di ordine non strettamente biografico, ma riconducibili alla medesima idea della storia letteraria, sono gli studi del D. più significativi in questo campo, ossia Il Manzoni ed il Fauriel studiati nel loro carteggio inedito (Roma 1880), Eustachio Dègola, il clero costituzionale e la conversione della famiglia Manzoni. Spogli da un carteggio inedito (Firenze 1882), Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta e il suo carteggio dantesco (Milano 1883); dove l'interesse soprattutto dei primi due lavori sta nell'aver raccolto e pubblicato materiali inediti, preziosi per la ricostruzione della figura intellettuale manzoniana.
Ancora all'interesse congiunto per la biografia e per la divulgazione si connette il lavoro del D. per la compilazione dei numerosi dizionari, alcuni dei quali sono ancora oggi di utile consultazione, benché concepiti e realizzati con criteri approssimativi e frettolosi, e, spesso, tutt'altro che precisi nei dati e nell'informazione. Il primo, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, fu pubblicato a Firenze nel 1879 (21 voll.). Il D. vi premise un Proemio autobiografico, nelle prime righe del quale si trova ripresa e ribadita quell'intenzione di "avvicinare quanto più mi fosse possibile l'Italia che scrive e che pensa alla parte più colta delle nazioni straniere", che aveva sorretto la Revue internationale e la Rivista europea. Seguirono: Dictionnaire internationale des écrivains du jour (2 voll., Florence 1888-91; cfr. la prefazione A mes collègues et à mes confrères en littérature); Dizionario degli artisti italiani viventi, pittori, scultori e architetti (8 voll., in collaborazione con U. Matini, Firenze 1889-92); Dictionnaire internationale des écrivains du monde latin (Roma-Firenze 1905-06).
L'intreccio di autobiografia (la memoria) e di didattismo divulgativo si ritrova dunque alla radice anche dell'interesse del D. per la letteratura italiana, praticata più come ulteriore campo di applicazione delle proprie generali ragioni intellettuali e morali che come vera e propria critica letteraria.
Agli studi manzoniani già ricordati, il D. fece seguire, oltre numerosi articoli di argomento letterario, sulle riviste da lui dirette e le altre a cui collaborava, una Storia universale della letteratura in 21 voll. (Milano 1882-85), comprendente sezioni dedicate al teatro, la lirica, l'epopea, la satira, il romanzo e la novella, la novellina popolare, l'eloquenza, la storia, le dottrine filosofiche; ogni sezione era distinta in una parte di descrizione storica e una parte antologica. Con tali titoli il D. passò nel '91 a ricoprire la cattedra di letteratura italiana all'università di Roma, che mantenne fino alla morte nel 1913 (ricoprendo anche l'incarico dell'insegnamento di sanscrito fino al 1908), senza tuttavia abbandonare gli ambiti disciplinari in cui già si era affermato, e che anzi perseguì, in questi anni, con la partecipazione a congressi internazionali (fu delegato italiano nei congressi internazionali degli orientalisti a Pietroburgo, Firenze, Berlino, Stoccolma, Londra, Ginevra, Parigi, Amburgo; presiedette il XII congresso degli orientalisti a Roma nel 1900, il I congresso latino a Roma nel 1903), con la fondazione della Società italiana per le tradizioni popolari italiane (1890) e della Rivista delle tradizioni popolari già ricordata, nonché la Società elleno-latina a Roma (1902).
Continuò a pubblicare, soprattutto testi di conferenze o discorsi relativi alla mitologia e l'orientalistica: Culto dei patres presso gli antichi Romani (Roma 1906), Roma e l'Oriente (Roma 1892), De Sacountala à Griselda (Roma 1905), e di carattere letterario: Rassegna della letteratura francese (Roma 1901), Il romanzo d'una poetessa (Roma 1901), La poésie amoureuse de la Renaissance italienne (Roma 1907), oltre i testi dei corsi universitari, tenuti tra il 1902 e il 1913, su Alfieri, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso, Galilei, Metastasio, Parini.
Alla copiosa produzione accademica e divulgativa affiancò in questi anni un libro a cui affidava esplicitamente il compito di contrapporsi in intento educativo e popolarità a Cuore di De Amicis: è la sua autobiografia intitolata Fibra. Pagine di ricordi (Roma 1900), in cui il D. confida come sintesi pedagogica di tutto il suo programma scientifico, accademico e culturale. Da un analogo intendimento nascono Etincelles. Pensées d'un maître recueillies par une disciple (Roma 1900) e una sua parziale traduzione, uscita postuma, Pensieri (Rocca San Casciano 1915), florilegio di passi di vario argomento tratti dalle sue opere, articoli, conferenze, lettere.
Una medesima ispirazione sorregge l'attività del D. nei vari settori a cui si applicò; ed è precisamente quanto, mutate di poco le parole, andò ripetendo nelle prefazioni, proemi, conclusioni, quasi sempre annesse alle sue pubblicazioni, autodefinendosi "poligrafo puro". Con queste intenzioni aveva, del resto, promosso una iniziativa di carattere culturale e commerciale ben distante dall'ambito accademico e intellettuale tradizionale, ossia l'organizzazione e il finanziamento di una Esposizione nazionale femminile intitolata alla Beatrice dantesca (nel presunto anniversario della morte) nel 1890 a Firenze, nella quale furono esposti 38.000 oggetti di vario genere (libri, documenti, manufatti, disegni, pitture, ecc.), presenti 28.000 espositrici e nel corso della quale si svolsero conferenze letterarie, gare filodrammatiche, gare musicali, un corso per scrittrici, per insegnanti, per compositrici, per pittrici, per scultrici, per ricamatrici, ecc., all'insegna della esaltazione e della celebrazione dell'ingegno femminile. L'impresa si risolse peraltro in un disastro finanziario e di critica, che coinvolse pesantemente il D. per gli aspetti economici e di prestigio culturale.
Questo rigoglio di iniziative, anche disparate, si spiega, per un verso, con le caratteristiche biografiche del personaggio; G. Caprin nel commemorarlo sul Marzocco (9 marzo 1913) scrisse che la sua opera "ha più che un interesse scientifico o letterario, un interesse biografico", aggiungendo che "tutto ciò che il poligrafo ha scritto è troppo per uno scienziato magari geniale, è troppo poco per un genio universale".
Per un altro verso, rientra molto bene in un'idea di impegno culturale che il D. condivideva con molti suoi contemporanei, per i quali la diffusione con ogni mezzo delle idee era compito precipuo degli intellettuali, tanto più in un'Italia appena unificata politicamente ma ancora tanto diseguale socialmente e culturalmente. Quel misto di positivismo, progressismo, umanitarismo, che si trova continuamente e spesso ingenuamente riaffermato nei suoi lavori, è la ragione che spiega l'ampiezza spropositata dei suoi interessi; questa ispirazione e l'incapacità di sorreggerla con applicazioni rigorose, meditate, spiega pure la, a volte incredibile, sciatteria dei suoi scritti, specie quelli letterari e poetici, come la diffusa critica fino alla stroncatura cui fu spesso soggetto; nel contempo tutte queste caratteristiche fanno della sua figura un esemplare discretamente atipico nel panorama della cultura italiana del secondo '800.
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