CATONE (Cato, Cattho), Angelo (Angelo de Supino)
Nacque a Benevento intorno al 1440 da famiglia nobile, la quale forse proveniva da Supino, presso Frosinone; è da escludere invece che fosse nato a Taranto o a Sepino nel Molise, come pur affermano diversi autori sulla scorta del Toppi, il quale scinde i dati biografici del C. in quelli di tre omonimi. Compiuti gli studi di medicina, si laureò in questa disciplina nel 1461 e intraprese la carriera dell'insegnamento. Nel 1465 ottenne da Ferrante I d'Aragona - che aveva riaperto lo Studio napoletano dopo la chiusura decretata (1458) in seguito ai disordini avvenuti alla morte di Alfonso I - l'incarico di lettore di medicina e astronomia all'università. Entrò ben presto in ottimi rapporti con la corte aragonese, ricco centro di cultura umanistica, tanto che il re gli affidò la sovrintendenza della sua splendida biblioteca, ricca di manoscritti ed incunaboli, e lo scelse anche come suo medico personale.
Il C. usava firmarsi "philosophus et medicus",ma la sua fama, più che all'attività di docente e di bibliofilo, era dovuta alla sua vasta dottrina in campo astrologico. Nel giugno 1469fece pubblicare a Benevento un almanacco astrologico sotto forma di lettera a Matteo dell'Aquila, abate dell'Ordine dei celestini,e il 1º marzo 1472intervenne nella disputa attorno ad una nuova cometa, denominata "Mies",ed apparsa il 25gennaio di quell'anno, con una lunga epistola diretta a Giovanni d'Aragona, figlio del re Ferrante. Il C. si presenta come uomo di scienza, consapevole della responsabilità derivantegli dal suo incarico universitario, ma nelle conclusioni della lettera, dove afferma che l'apparizione della cometa è preannunzio di sciagure e di gravi rivolgimenti, lascia trasparire la sua preoccupazione politica, rivolta principalmente al Regno di Napoli; neppure al re Ferrante del resto sfuggivano il significato e le implicazioni politiche che potevano avere predizioni fatte dall'alto dell'autorità del C., il che spiega in parte la generosa protezione accordata al famoso astrologo. Il C. ricambiò dedicandogli un trattato inedito sui veleni e con la sua opera di fido consigliere, pur non dimenticando i suoi obblighi d'insegnante.
Per mettere tutti gli studenti di medicina in grado di possedere le Pandectae Medicinae di Matteo Selvatico, opera a suo avviso indispensabile ad ogni medico e farmacista per la ricchezza di citazioni da medici antichi e medievali, ne curò la stampa presso Arnaldo da Bruxelles nel 1474(si disputò a lungo se fosse invece del Riessinger): si tratta di una delle prime stampe effettuate a Napoli, e delle più belle. La dedica al re Ferrante è ricca di notizie sulla vita scientifica e letteraria dell'epoca a Napoli, di cui il C. descrive pure siti e monumenti.
Si deve alla sua attività di editore anche la stampa del Tractatus de febribus di Antonio Guarnerio (Napoli 1474)e della Practica de medicinis dell'arabo G. Mesué (ibid. 1475).
Attratto da un matrimonio vantaggioso, si sposò ed ebbe due figli, Lucrezio e Lorenzo; ma, alla morte della moglie, decise di vivere in celibato e più tardi di entrare nello stato ecclesiastico.
Nel 1474, quando Federico d'Aragona, principe di Taranto, partì da Napoli diretto in Borgogna per chiedere la mano della principessa Maria, figlia unica di Carlo il Temerario, il C. lo accompagnò con un gran seguito civile e militare. Il viaggio fu lungo e difficile, a causa dello stato di guerra dei paesi attraversati, tanto che si concluse solo nel settembre 1475. Il C. passò allora alla corte di Carlo il Temerario in qualità di medico, lo accompagnò nelle sue campagne militari contro gli Svizzeri fino alla sconfitta di Granson (2marzo 1476) e lo curò quando egli si ammalò e diede segni di nevrastenia. Accortosi che gli avvenimenti non erano più favorevoli al Temerario (a cui aveva predetto la sconfitta di Morat del 22 giugno successivo), consigliò al re di Napoli di richiamare il figlio Federico dalla Borgogna. Questi andò prima a Parigi presso Luigi XI; il C. lo seguì e finì per accettare l'offerta del re francese di diventare suo medico ed elemosiniere; forse non tornò neppure a Napoli nel 1477 assieme a Federico, dato che il suo posto all'università era stato assegnato a Gerolamo Murczio.
A Parigi incontrò il Commynes, che aveva già conosciuto alla corte del Temerario, e si legò a lui di affettuosa amicizia. Fu proprio il C. a spingere l'amico alla stesura dei Mémoires, nei quali sono ricordati diversi casi ed avvenimenti cui entrambi ebbero a partecipare (IV, 7; V, 3, 5; VI, 6; VII, 5). Il C. vi appare come un raffinato conoscitore della lingua latina, dotato di una certa influenza a corte più come consigliere e veggente che come medico; nel 1477 avrebbe annunciato al re la morte di Carlo il Temerario durante una messa, nell'attimo stesso in cui, si disse, il duca moriva a Nancy. Tra le altre predizioni si ricordano quella della salita al trono di Napoli del principe Federico, avvenuta vent'anni dopo, o quelle della morte della moglie e della ascesa al cardinalato del generale delle finanze Guillaume Briçonnet. A causa di tale facoltà profetica non fu esente da aperte accuse di magia ed anzi venne insinuato il sospetto che fosse a parte del tradimento in seguito al quale fu assassinato il Temerario. Il C. si difese con una conciliazione fra astrologia e religione, affermando che gli uomini riescono a prevedere soltanto ciò che Dio permette che si sappia in anticipo, e che tale preveggenza si può avere soltanto con la fede, non per magia con l'aiuto del demonio. Del resto già nell'epistola sulla cometa aveva affermato che il divieto cristiano di prevedere il futuro riguarda solo gli eventi che Dio, causa prima, riserva a sé sotto il suo potere, ma non quelli soggetti a cause secondarie, i pianeti, che pertanto possono essere conosciuti dagli uomini. Anche Commynes lo difese ricordando la verità relativa delle sue predizioni ed affermando, che il C. si servivasolamente dell'astrologia. Grande era comunque divenuta la sua popolarità, ed il re stesso gli testimoniava la sua stima affidandogli molte carte di carattere politico che furono poi trovate nell'eredità del Catone. Egli non tralasciava peraltro i suoi studi umanistici, manifestando l'intenzione di scrivere quei Commentari delle cose di Francia che non videro mai la luce ma alla cui stesura avrebbero dovuto servire i Mémoires del Commynes; a tal fine inviò pure in Inghilterra l'umanista Domenico Mancini a raccogliere notizie dirette sul re Riccardo III, e quello gli dedicò infatti il suo De occupatione Regni Anglie per Riccardum tercium libellus, scritto nel 1483 e pubblicato solo nel 1936da C. A. Y. Armstrong.Nel 1479 il C. curò il re colpito da apoplessia; l'anno successivo si recò a Roma presso papa Sisto IV per sostenere la richiesta dei beneventani per una casa ad uso pubblico. Tornò ben presto in Francia, perché nel 1482, alla morte dell'arcivescovo di Vienne Astorge Aimeri, il re gli offrì quella carica, probabilmente da lui stesso sollecitata. Il suo ministero in quella città non fu facile.
Appena eletto il C. chiese e ottenne dal capitolo diocesano (che si riunì a Tourdan perché a Vienne infuriava la peste portata dalle guerre civili) un consistente sussidio per le spese sostenute. Ben presto dovette intervenire nell'annosa questione del primato del vescovado di Vienne su quello di Arles, che durava fin dal V secolo. Chiusa dal pontefice Callisto II nel 1119 con una bolla che sanciva il primato di Vienne sulle province arcivescovili di Bourges, Bordeaux, Auch, Narbona, Aix ed Embrun, la rivalità era sorta nuovamente nonostante un sinodo del 1450ed aveva messo in difficoltà ma non debellato i predecessori del Catone. Nel 1483 egli dovette intervenire per l'elezione del decano del capitolo di Bourges, sostenendo un candidato del re contro Guglielmo di Cambrai, che aveva maggiori titoli per quella carica.
Dopo un viaggio a Blois per curare il futuro re Luigi XII (al suo capezzale erano accorsi i migliori medici di Francia, come Salomon de Bombelles, Adam Fumée ed altri) intervenne ancora nel 1486 per avversare le pretese dell'arcivescovo di Embrun, Jean Bayle.
In quell'anno scrisse da Parigi una lettera al visconte Langeac de la Mothe, cognato di re Ferrante, sulla congiura dei baroni, ed in particolare sulla pace dell'11 ag. 1486.Dalla lettera, che è di notevole importanza per la ricostruzione storica dell'avvenimento, traspaiono le simpatie aragonesi del C., che esulta per i successi militari di Federico, figlio di Ferrante, e non ha dubbi sul tradimento di quei Coppola, Petrucci e Arcamone che il re fece ben presto giustiziare, appena firmata la pace (vedi E. Cione, Una lettera poco nota di A. C. sulla congiura dei baroni, in Riv. stor. ital.,LVIII [1941], pp. 235-55.
Per lo più il C. amava vivere a corte, e la sua presenza a Vienne non dovette essere molto assidua; si era fatto costruire una cappella nel castello della Bâtie, dove preferiva abitare invece che nel cadente palazzo arcivescovile di Vienne. Qui si faceva rappresentare, durante le sue frequenti assenze, dai canonici Giacomo Begon de la Tour e Pietro de Naillac. Così l'opposizione alla sua persona cresceva a Vienne, giungendo perfino a un tentativo di assassinio nel 1487, a cui il C. sfuggì in modo assai avventuroso allontanandosi prudenzialmente dal Delfinato e recandosi a Roma, dove si trattenne poco. Nel 1490 lo colpì una nuova disavventura: per essersi rifiutato di pagare una pensione di 233 fiorini e mezzo, assegnata dal papa Innocenzo VIII al decano Ettore di Poisien, fu interdetto con breve papale nello spirituale e nel temporale. In seguito però il Parlamento del Delfinato, al quale il C. s'era appellato, annullò gli effetti dell'interdizione perché contraria ai diritti della Chiesa gallicana.
Il C. non aveva purtuttavia interrotto la sua attività culturale e filosofica. Appassionato bibliofilo, aveva fatto stampare a sue spese a Lione nel 1489,presso J. Neumeister, un raro Breviarium Viennense, uno dei primi breviari comparsi in Francia. Partecipava a Parigi al cenacolo letterario di Guido di Rochefort, dove conobbe Roberto Gaguin, i fratelli Fernand e l'umanista veneziano G. Accellini Balbi. Già dal 1487aveva iniziato la stesura dei Commentaria sui dieci libri morali di Aristotele, terminati a Roma nel 1493ma non stampati (o perduti). In una lettera a Sisto IV (che era stato suo maestro prima di divenir papa) nel 1482 il C.annunzia la pubblicazione di un'opera intitolata De animae intellectivae immortalitate, di cui però non si ha notizia.
Presso il nuovo re Carlo VIII il C. mantenne il favore goduto sotto il re precedente, mentre è noto che i collaboratori di Luigi XI erano generalmente malvisti dall'ultimo dei Valois. Le ragioni di tale favore vanno ricercate nell'amicizia col Brigonnet, divenuto consigliere del re, e nel fatto che il C., come napoletano, era considerato un elemento utile in vista della spedizione su Napoli. Infatti nel 1490 egli era a Roma per incarico diplomatico del re, oltre che per trattare affari relativi al suo vescovado; nel 1493 poté assistere alle cerimonie per la festa di s. Tommaso d'Aquino e predicare, l'anno successivo, alla presenza del papa Alessandro VI. Nel luglio 1494 accolse a Vienne Carlo VIII diretto a Napoli, dove lo seguì più per l'avversità dei cittadini di Vienne che per ordine del re. Fu suo commissario ad Orvieto per qualche tempo, poi preferì trasferirsi a Benevento, probabilmente per il disagio che doveva venirgli dall'essere a Napoli, la città della sua giovinezza, dei suoi studi e dei suoi amici aragonesi al seguito del nuovo conquistatore.
Il C. morì a Benevento nei primi mesi del 1496.
Appare improbabile, come suppone C. Charvet (p. 525)che il C. tornasse a Vienne al seguito di Carlo VIII, e che vivesse ancora qualche anno, dato che ebbe un successore come arcivescovo solo nel 1499, e che Commynes nel 1498 non lo dice ancora morto. Fu seppellito nella tomba familiare a Benevento, nella chiesa di S. Maria delle Grazie, anche se nel testamento aveva lasciato una notevole somma per la costruzione del suo mausoleo a Vienne e per il restauro della cattedrale. La famiglia Catone si estinse nei primi decenni del sec. XVI.
I due più importanti scritti medico-astrologici sono: la cit. lettera a Giovanni d'Aragona, pubbl. col titolo De cometa qui anno 1472 mense Ianuario apparuit (Neapoli 1472), in cui in dieci capitoli egli tratta della zona celeste dove vide la cometa, delle sue caratteristiche (composizione, colore, misure), della cronologia delle apparizioni e del significato astronomico e astrologico di essa, per la quale propone il nome di Pogonias; e un Liber de epidemia, scritto nel 1464, ancor prima di insegnare all'università, dedicato ai consoli di Benevento, rimasto manoscritto (Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1371, T. 5.9.;cfr. Narducci, p. 577).Suddivisa in sei capitoli, l'opera tratta delle cause della peste, da ricondurre all'influsso dei cieli secondo le dottrine astrologiche; delle difese da apprestare contro di essa, in città e fuori; dei medicamenti necessari, sia esterni o interni al corpo (cioè applicabili o ingeribili), e delle regole per le cure relative. A parte la fama che il C. si acquistò con queste operette e con le sue predizioni (del resto, almeno negli scritti, assai vaghe e generiche: si vedano, ad esempio, quelle contenute nella lettera a Matteo dell'Aquila, disgrazie d'ogni genere di cui egli tace notizie più precise per non essere odiato da qualcuno e per non spaventare la gente), il suo nome resta soprattutto legato all'opera di Commynes, che più volte gli si rivolge affettuosamente presentando chiarimenti sul metodo storico adottato. Fin dal prologo l'autore dei Mémoires si augura che il materiale da lui raccolto (cosi definisce il suo capolavoro) venga utilizzato dall'arcivescovo di Vienne per qualche grande opera in lode del suo re Luigi.
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