ZANELLI, Angelo Bortolo
ZANELLI, Angelo Bortolo. – Nacque a San Felice di Scovolo (in seguito San Felice del Benaco), sulla sponda bresciana del lago di Garda, il 17 marzo 1879, terzogenito dell’agrimensore Bortolo e di Maddalena Bacca, già genitori di Teresa (1870) e di Giuseppe (1876). Un altro fratello, Bortolo (1882), fu sacerdote a Bione e Tignale, morendo di spagnola nel 1918.
Assecondandone l’indole, nel 1890 la madre – scomparso il marito nel 1888 – consentì al figlio di frequentare la scuola d’arte Romualdo Turrini di Salò, sotto la guida di Saverio Pollaroli, Luigi Amaduzzi e Carlo Banali, e di far pratica nella bottega Bigoni. Diplomatosi scalpellino, Zanelli, su consiglio di Banali, si trasferì a Brescia (1894-95), lavorando prima con l’ebanista Cesare Passadori, poi nelle botteghe dei marmisti Bonifacio Apostoli e Pietro Faitini. Dal 1896 seguì i corsi serali di Arnaldo Zuccari e Cesare Bertolotti alla scuola Moretto, conseguendo premi annuali. Di questo periodo sono le prime opere note: rilievi decorativi neorinascimentali e il perduto bassorilievo Angelica e Medoro.
Nel 1898 vinse il concorso del legato Brozzoni, consistente in una pensione triennale volta a consentire a giovani artisti locali l’iscrizione a un’accademia di belle arti (sono perduti i saggi intermedi e la prova finale di matrice verista Uomo nudo che spacca un ceppo). Zanelli fu quindi ammesso all’Accademia di Firenze nel dicembre del 1898, alla scuola dello scultore Augusto Rivalta, dell’anatomista Giulio Chiaruggi e dello scultore svedese Johan Theodor Lundberg: quest’ultimo si rivelò decisivo per la maturazione del giovane e per la sua apertura al contesto internazionale.
L’assolvimento dell’obbligo di leva comportò la sospensione della borsa di studio. Zanelli riuscì tuttavia a frequentare sporadicamente l’Accademia Carrara di Bergamo e un ignoto scultore di Messina (1899-1902). Nel 1903 concluse il pensionato con il saggio finale Donna in preghiera o Amore e morte (gesso, Brescia, Civici Musei di arte e storia), esemplificativo della formazione accademica ricevuta, all’insegna dell’accurata modellazione del nudo e della ricerca di armonie formali.
Su consiglio di Lundberg, partecipò al concorso per il Pensionato artistico nazionale di scultura: prevalendo fra i sette allievi dell’Accademia fiorentina selezionati, egli poté accedere alla fase nazionale della competizione, per la quale presentò bassorilievi e studi sul tema del lavoro: L’aratura e Il trasporto di un masso dalla cava (1903, gesso, Roma, Accademia di belle arti). Con queste prove, che documentano l’adesione dello scultore al linguaggio praticato, tra gli altri, da Enrico Butti e da Vincenzo Vela, Zanelli vinse il concorso e, dal 1904, si stabilì nella capitale. Lì strinse amicizia con il pittore Felice Carena, collega di Pensionato, frequentò l’Accademia di belle arti e iniziò a coltivare un’estesa rete di relazioni nello stimolante ambiente culturale romano.
Nel 1904 si prestò per due monumenti destinati a Salò, anche in segno di vicinanza a quella località della sua giovinezza, colpita nel 1901 da un sisma: il Monumento a Giuseppe Zanardelli (bronzo, Salò, piazza Zanardelli) e il Monumento a Gasparo da Salò (busto in marmo, Salò, Municipio), entrambi conclusi nel 1906. Nel primo caso l’opera zanelliana si distinse dai coevi monumenti dedicati a Zanardelli a Brescia (quello di Davide Calandra del 1909) e a Toscolano Maderno (quello di Leonardo Bistolfi del 1908-09) per il trattamento sintetico del modellato. Del celebre Gasparo (esposto alla Biennale veneziana nel 1924) si conservano il modello (Roma, Gipsoteca del Vittoriano) e una replica in gesso donata nel 1928 dall’autore a Gabriele D’Annunzio (Gardone Riviera, Vittoriale degli Italiani).
Il saggio di primo anno del Pensionato (La voce del sangue, 1904, gesso perduto) testimonia ancora una volta la matrice verista dalla quale prese le mosse lo scultore, debitrice anche dell’osservazione diretta dell’arte greca, resa possibile dal viaggio a Napoli e a Palermo (estate del 1904). Il saggio finale fu la Canefora (Portatrice di pane o Donna della canestra), di cui si conservano due gessi (1908, Roma, Accademia di belle arti e Gipsoteca del Vittoriano) e una tarda replica in cemento (Brescia, Civici Musei di arte e storia). Altre prove databili a questi anni sono Idillio, Il torso, La biga, Perseo, perdute o in alcuni casi documentate solo da fotografie.
Il fregio decorativo La vita umana o Ave vita – commissionato nel 1908 da un magnate statunitense per un monumento funerario progettato da Marcello Piacentini – mai posto in opera, fu fuso in bronzo negli anni Quaranta: La danza delle Ore fu posta sulla tomba di Zanelli e della moglie al cimitero romano del Verano, mentre gli altri pannelli e i relativi modelli sono conservati ai Civici Musei di arte e storia di Brescia.
Per i giardini pubblici Rebuffone di Brescia lo scultore eseguì i tre busti bronzei di Tullio Bonizzardi, Fausto Massimini e Massimo Bonardi (1908-13). Un medaglione bronzeo con il Ritratto di G. Zanardelli fu posto nel 1910 nel municipio di Vobarno.
Del Canottiere, coppa-trofeo per il Circolo canottieri Aniene di Roma (1909-10), resta la sola documentazione fotografica. Sorte analoga toccò al Tripode-coppa (L’elettricità) ideato dall’artista nel 1910-11 per il Concorso internazionale di telegrafia di Torino bandito dal ministero delle Poste e Telegrafi: si ha notizia di vari esemplari, interi e parziali, in gesso, in bronzo o in argento di questa immagine, che combina uno slanciato nudo femminile di gusto floreale all’interno della struttura architettonica di stampo classico del trofeo.
Dopo essere stato escluso dal concorso del 1907 per le sedici statue allegoriche delle regioni destinate all’erigendo monumento a Vittorio Emanuele II o Vittoriano di Roma (Zanelli aveva presentato il Piemonte), partecipò nel 1908 alla competizione per il grandioso fregio decorativo da collocarsi nel basamento sottostante alla statua equestre del re, a coronamento dell’Altare della Patria.
L’inaspettata affermazione del giovane bresciano, al quale inizialmente la commissione aveva assegnato la vittoria, comportò diverse critiche; si giunse quindi a un secondo confronto, in cui la proposta di stampo simbolista e bistolfiana di Zanelli fu messa in gara con la corrente storicista e verista rappresentata da Arturo Dazzi. Nella traduzione dei modelli dagli esemplari in scala a quelli a grandezza reale, in modo da poterli esporre in tempo per il cinquantenario dell’Unità (1911) – quando i due progetti furono allestiti a turno direttamente sul Vittoriano – Zanelli si avvalse di una folta schiera di aiuti, tra i quali si segnalano il conterraneo Giacinto Bardetti, l’anconetano Vittorio Morelli e il romano Antonio Maraini.
Il fregio, in marmo di Botticino, alto cinque metri e lungo settanta, rappresenta un corteo di figure allegoriche sviluppate attorno ai temi L’Amor patrio che pugna e vince e Il Lavoro che vivifica e feconda. Le due ali convergono al centro verso la colossale figura stante della dea Roma vestita di peplo, con elmo e lancia, e recante nella sinistra la Vittoria. La sinfonia plastica ideata da Zanelli si nutre di fonti che spaziano dal classicismo fidiaco fino al respiro monumentale michelangiolesco, mediato dalla lezione di Auguste Rodin e di Émile-Antoine Bourdelle. Il tono aulico e solenne del fregio – il cui contraltare pittorico è riconoscibile nell’opera di Giulio Aristide Sartorio a Montecitorio – rimanda echi secessionisti e klimtiani, configurandosi come la massima espressione della cultura simbolista italiana.
L’impresa del Vittoriano, che valse a Zanelli immediato successo (pur non riuscendo a impedirne il richiamo alle armi, che comportò la sospensione dei lavori nel 1915-18), si concluse nel 1925 con la posa in opera della statua della dea Roma: lo stesso anno una sua replica marmorea fu destinata al piroscafo Roma della Società di navigazione generale italiana.
A ridosso del trionfo nel concorso romano, Zanelli nel 1912 fu invitato al concorso per il monumento equestre del generale José Gervasio Artigas a Montevideo: di dimensioni ragguardevoli, l’opera – condotta dall’artista contemporaneamente ai lavori per il Vittoriano – fu inaugurata nel 1923. Un’altra impresa monumentale richiesta da Oltreoceano all’artista italiano occorse nel 1928-29: le tre colossali statue allegoriche bronzee della Repubblica, della Virtù e del Progresso, e i fregi decorativi lapidei per il Campidoglio dell’Avana.
Testimoniano invece frequentazioni intime i ritratti di quest’epoca: Mario Lago e Giulio Bargellini (1911-12, gesso, Roma, Gipsoteca del Vittoriano), la celebre cantante Salomea Krucenisky Riccioni e il Capitano Salvi (1912-15, marmo, Brescia, Civici Musei di arte e storia; gesso, Roma, Gipsoteca del Vittoriano) e pure il Ritratto di Dario Banali, medaglione bronzeo collocato sulla tomba del figlio dell’antico maestro di Zanelli (1918-19, Salò, Cimitero).
Nel 1918 anche Zanelli sottoscrisse il manifesto prampoliniano Bombardiamo le accademie, industrializziamo l’arte, assieme a Sartorio, Ettore Ximenes, Ardengo Soffici e Dazzi.
La stagione del dopoguerra vide pure lo scultore bresciano impegnato per i monumenti ai caduti di Salò (1919-30), di Imola (1923-26) e soprattutto di Tolentino (1924-38), dove l’opera fu concepita come ingresso architettonico al campo sportivo comunale.
Per il padiglione progettato da Armando Brasini all’Esposizione di Parigi del 1925 Zanelli ideò le allegorie di Arte e Industria, in seguito documentate nella residenza romana di Brasini. L’architetto Pietro Lombardi coinvolse lo scultore per il monumento al generale Alessandro Guidoni (1928-29, Guidonia Montecelio), dove l’esecuzione dei rilievi disegnati da Zanelli fu assegnata a Costante Coter. Il monumento-faro a Cristoforo Colombo (1929-30, Santo Domingo), quelli al generale Justo José de Urquiza (1937, Buenos Aires), a re Fuad I d’Egitto (1934-42, Il Cairo) e a Guglielmo Marconi (1938, Sasso Marconi) non furono invece mai realizzati e sono variamente documentati da bozzetti, modelli o disegni. A Tsushima, in Giappone, proveniente dalla nave Mikasa, si conserva una fusione apparentemente moderna del monumento all’ammiraglio Tōgō Heihachirō, eseguito da Zanelli nel 1926-31.
Zanelli ricevette premi alle Esposizioni di Bruxelles (1910) e Parigi (1925), partecipò alla prima Quadriennale di Roma (1931) e ad alcune biennali di Venezia. Fu socio ordinario dell’Accademia di S. Luca a Roma e onorario di quella di Milano, socio corrispondente degli Atenei di Brescia e di Salò, delle Accademie di Firenze e di Parma, accademico di merito dell’Accademia di Perugia, professore onorario di quelle di Carrara e di Napoli. Fu inoltre accademico della Pontificia accademia dei Virtuosi al Pantheon e membro della Pontificia Commissione centrale per l’arte sacra in Italia; nel 1938 ricevette il premio Mussolini e nel 1939 la nomina ad accademico d’Italia. Nel 1929 assunse la presidenza dell’Accademia di Roma, dove nel 1931 diventò titolare della cattedra di scultura.
Il 12 settembre 1909 a Riga aveva sposato la pittrice Elisabetta Kaehlbrandt (Riga, 27 settembre 1880-Bergamo, 13 dicembre 1970), conosciuta a Roma l’anno precedente. Dal matrimonio con la donna – che collaborò con il marito per i cartoni dei fregi decorativi destinati a L’Avana – nacquero Alessandro e Magda.
Morì a Roma il 3 dicembre 1942, confortato dall’amico don Angelo Rescalli.
In vista del decennale della morte dello scultore nel 1951-52 la vedova e i figli donarono allo Stato le opere contenute nello studio, consentendo di allestire la Gipsoteca zanelliana al Vittoriano. Analogamente, in occasione della mostra bresciana del 1984, altre opere furono donate dai figli ai Musei civici della città; un ulteriore nucleo di sculture si aggiunse dopo la scomparsa della figlia Magda (2003).
Presso i Civici Musei bresciani e l’Accademia di S. Luca a Roma sono conservati importanti fondi archivistici, mentre i disegni contenuti negli album ‘verde’ e ‘grigio’, già pubblicati nel 1984, risultano attualmente irrintracciabili, così come le prove giovanili realizzate presso Bigoni a Salò.
Il percorso di Zanelli, che mosse da umili origini e, guidato da caparbietà, assurse ai massimi onori della professione in virtù dell’affermazione nel concorso per il Vittoriano, costituisce «un punto di vista privilegiato per leggere formule e contraddizioni, spinte verso la modernità e nostalgici ritorni al passato, che innervano la cultura artistica italiana nel difficile percorso dell’elaborazione di un’arte nazionale tra la fine dell’Ottocento e gli anni del regime» (Terraroli, 2011, p. 127). La stessa impresa del fregio per l’Altare della Patria, fonte di tanta fama internazionale per lo scultore negli anni a venire, «rappresenta [...] il culmine, e la conseguente crisi creativa, della scultura monumentale italiana che cerca di affrancarsi dagli stilemi veristi ed accademici [...] e approda a forme e tematiche elegantemente simboliste, nelle quali una nuova lingua sembra cercare una perfetta fusione tra esigenze narrative e ritmicità grafica e musicale, tra densità materica e valori luministici» (ibid.). Ciò spiega il percorso declinante dello scultore nell’ultima fase della sua carriera, contrassegnata quasi esclusivamente da imprese monumentali fuori dai confini nazionali, mentre la sua presenza in patria si fece rarefatta.
Fonti e Bibl.: L. Callari, Storia dell’arte contemporanea italiana, Roma 1909, p. 77; M. Lago, A. Z., Roma 1911; S. Vigezzi, La scultura italiana dell’Ottocento, Milano 1932, p. 99; A. Giarratana, Commemorazione dell’accademico d’Italia A. Z. (1943), estratto da Memorie storiche dell’Ateneo di Salò, XII-XIV (1941-1943), p. 60; C.E. Oppo, A. Z. Commemorazione tenuta alla R. Accademia d’Italia il 5 giugno 1943, Roma 1943; P. Guerrini, A. Z., in Memorie storiche della diocesi di Brescia, XII, Brescia 1944, pp. 195 s.; A. Z., in Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1942-45, Brescia 1947, pp. 246-248; Z., A., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXXVI, Leipzig 1947, p. 403; F. Sapori, Scultura italiana moderna, Roma 1948, p. 32; P. Bucarelli, Z., A., in Enciclopedia Italiana, XXXV, Roma 1950, p. 883; P. Tosel, Giovanni Canavesio, Jacopo Bernardi, Luigi Luciano, A. Z., Pinerolo 1953, pp. 107-140; C. Bonardi, A. Z., in Commentari dell’Ateneo di Brescia. Atti della Fondazione Ugo da Como, 1954, pp. 77-86; E. Lavagnino, L’arte moderna, II, Torino 1956, pp. 696 s.; C. Maltese, Storia dell’arte in Italia, 1785-1946, Torino 1960, p. 251; A. Dolfo, A. Z. scultore, tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia, a.a. 1971-72; Aspetti dell’arte a Roma dal 1870 al 1914 (catal.), Roma 1972, passim; F. Bellonzi, Architettura, pittura e scultura dal Neoclassicismo al Liberty, Roma 1978, pp. 62, 124, 151; P.L. Mazzoldi, Brevi note sulla vita e sulle opere dello scultore A. Z. nel centenario della sua nascita, San Felice del Benaco 1979; M.F. Giubilei, A. Z., in Il Liberty italiano e ticinese (catal., Lugano-Campione d’Italia), Roma 1981, p. 74; A. Z. (1879-1942) (catal.), a cura di R. Bossaglia - B. Passamani - V. Terraroli, Brescia 1984; R. Lonati, Z., A., in Dizionario degli scultori bresciani, Brescia 1986, p. 276; M. De Micheli, La scultura dell’Ottocento, Torino 1992, pp. 220-227; M. Zanelli, Una pittrice venuta dal Nord, Rezzato 1992; Ead., Una vita per l’arte, Rezzato 1993; V. Vicario, Gli scultori italiani dal Neoclassicismo al Liberty, II, Lodi 1994, pp. 1132-1134; Id., La scultura bresciana dell’Ottocento e del primo Novecento, Spino d’Adda 1995, ad vocem; Id., La scultura bresciana dal Neoclassicismo al Liberty, in Commentari dell’Ateneo di Brescia, 1995, pp. 145-177; P.L. Mazzoldi, San Felice del Benaco e il suo territorio. Saggi di ricerca per una ricostruzione storica, Salò 2000, pp. 243-250; A.P. Torresi, Z., A., in Scultori d’Accademia. Dizionario biografico di maestri, allievi e soci dell’Accademia di belle arti di Firenze (1750-1915), Ferrara 2000, p. 130; A. Z. (catal., San Felice del Benaco), a cura di M. Corradini - P.L. Mazzoldi - M. Riccioni, Padenghe sul Garda 2002; Elisabetta Kaehlbrandt (1880-1970) (catal.), a cura di F. Tedeschi - E. Di Raddo - F. De Leonardis, Brescia 2002; A. Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento. Da Canova ad Arturo Martini, II, Torino 2003, p. 990; Sculture dei Civici Musei, 1860-1950 (catal.), a cura di P. Ferrari - M. Mondini, Brescia 2003, pp. 19, 36, 57; A.M. Damigella, Per una storia della scultura del Pensionato Artistico Nazionale, in Studi Romani, LII (2004), 1-2, pp. 73-98; A.L. Ghirardi, A. Z., in Artisti bresciani dall’Art Nouveau al Novecento (1900-1945) (catal., Chiari), a cura di M. Corradini, Roccafranca 2005, pp. 41-49; M. Valotti, A. Z. (1879-1942). Contributo per un catalogo, tesi di dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 2007; A. Z. (1879-1942). Contributo per un catalogo, a cura di M. Valotti, Brescia 2007; A.M. Damigella, La scultura del Pensionato Artistico Nazionale, 1891-1940, Roma 2008, passim; V. Terraroli, Il complesso monumentale del Vittoriano: architettura, scultura e decorazioni, in Altare della Patria. Cento anni di un monumento “bresciano”, a cura di M. Tedeschi, San Zeno Naviglio 2011, pp. 107-129 (in partic. pp. 122-129); M. Valotti, A. Z. e l’Altare della Patria. Nel laboratorio dello scultore: viaggi, letture, scoperte, San Zeno Naviglio 2011, pp. 131-135; E. Baresi, A. Z. Un giovane artista per una giovane nazione. Il fregio dell’Altare della Patria, documenti e immagini, Roccafranca 2018.