CATALANI, Angelica
Nata a Senigallia il 10 maggio 1780 da Antonio, commerciante in pietre preziose e primo della cappella del duomo della città, e da Antonia Summi, anconetana di umili origini, fu dal padre avviata allo studio della musica in tenera età e affidata a Pietro Morandi, maestro della cappella del duomo di Senigallia. Questi scoprì le eccezionali attitudini musicali della giovanissima allieva, destinata ad essere ricordata come una delle voci più prestigiose della storia del teatro musicale.
Le modeste condizioni della famiglia indussero il padre, che vantava una lontana parentela con la famiglia Mastai, a far accogliere la giovane figlia nel convento di S. Lucia di Gubbio, riservato all'educazione delle fanciulle di nobili origini; fu comunque proprio nel convento eugubino che la C. (secondo quanto sostiene lo Scudo) poté ricevere una seria educazione musicale e mettere in luce le sue doti vocali - subito emerse per timbro, estensione e straordinaria flessibilità - tanto da divenire non soltanto motivo di ammirazione da parte delle altre educande, ma richiamo per i fedeli che accorrevano numerosi alle funzioni. Tuttavia il successo mondano ottenuto dalla C. finì per scandalizzare parte dei fedeli tanto che le autorità ecclesiastiche ordinarono alla superiora di sopprimere i suoi a solo.
A quattordici anni la C. ritornò in famiglia e il padre, dopo iniziali resistenze, acconsentì ad affidarla a un maestro di grande talento, il sopranista Luigi Marchesi, i cui insegnamenti - stando sempre alla testimonianza dello Scudo - la C. avrebbe seguito a Firenze per ben due anni, durante i quali apprese a controllare la singolare facilità del suo organo vocale immediatamente caratterizzato da una sorprendente estensione e da un timbro affascinante. Questi anni di educazione severa - di cui fino a questo momento manca una testimonianza sicura che siano maturati sotto la guida del Marchesi - avranno un'importanza fondamentale nella sua formazione artistica: la C., appresi i virtuosismi più elaborati e complessi della tecnica vocale italiana di tradizione prettamente settecentesca, diverrà famosa in tutta l'Europa musicale, affrontando un repertorio dapprima vario e impegnativo, cui si accosterà con accurata e rigorosa coscienza interpretativa, sebbene non del tutto esente da abbandoni belcantistici arbitrari, volti a mettere in luce le doti della sua sorprendente tecnica vocale. Tornata poi a Senigallia, fu casualmente scoperta dall'impresario Alberto Cavos, che la fece esordire sulle scene del teatro La Fenice di Venezia nel 1795,forse in una opera di Nicolini (Scudo); trionfalmente accolta dal pubblico veneziano, indulgente nei confronti della sua inesperienza scenica, tornò poi a Venezia nel 1797 quale interprete della Lodoiska di S. Mayr a fianco di L. Marchesi. Grande fu l'entusiasmo destato nel pubblico, che le valse una scrittura per il carnevale e la primavera seguenti, sempre per La Fenice, ove tra l'altro apparve in prime rappresentazioni di opere di N. Zingarelli (Carolina e Mexicow, carn. 1798, e Il Ratto delle Sabine, 26 dic. 1799), S. Mayr (Lauso e Lidia e Gli Sciti), G. Nasolini (Morte di Cleopatra, nuova versione con musiche di G. Marinelli, primavera 1800).
Affermatasi rapidamente per i preziosismi di bravura che entusiasmavano il pubblico e la critica, la quale tuttavia rilevò taluni difetti stilistici dovuti all'inesperienza, la C. nel 1799 fu dapprima a Livorno, quindi al teatro Argentina di Roma, alla Pergola di Firenze, e nel 1800 a Trieste per Gli Orazi e i Curiazi di Cimarosa; decise allora di affrontare il pubblico della Scala di Milano, dove il 26 dic. 1801 fu prescelta come protagonista per la prima rappresentazione della Clitemnestra di Zingarelli, dopo aver interpretato con successo il ruolo di Fecennia ne I Baccanali di Roma di G. Nicolini il 21 gennaio dello stesso anno. La fama dei consensi ottenuti le procurarono una scrittura dall'Opera Italiana di Lisbona, dove, invitata dal reggente di Portogallo, venne ingaggiata nel 1801 per una serie di recite con il compenso allora favoloso di 24.000 scudi. La C., confermando le sue qualità vocali e drammatiche, destò nel pubblico portoghese fanatici entusiasmi, favorita dalla rivalità sorta con Elisabetta Gafforini e Girolamo Crescentini, celebri virtuosi, sui quali la cantante, rivelando anche in questo singolari capacità nella gestione del suo talento, uscì vittoriosa affermandosi come indiscussa diva del momento. A Lisbona, nel cui teatro S. Carlo vide rinnovarsi il successo scaligero in opere di Zingarelli, Mayr e Nicolini, nel 1804 sposò un attaché dell'ambasciata francese, Paul Valabrègue, uomo avido e senza scrupoli che, pensando di sfruttare il talento della moglie, divenne suo amministratore e contribuì alla sua affermazione europea, conducendola dapprima a Madrid e quindi a Parigi. Qui la C. si esibì esclusivamente in concerti dal maggio al settembre 1806, anche alla presenza di Napoleone, che l'ascoltò a Saint-Cloud, in arie di Cimarosa, M. Portogallo, Nicolini e Piccinni, suscitando il delirio del pubblico parigino, ma non i consensi unanimi della critica, che opportunamente evidenziò certi difetti stilistici poi accentuatisi negli anni seguenti, del resto compensati da un temperamento musicale di prim'ordine, unito a un sicuro dominio della scena nel frattempo maturato.
Assai apprezzata da Napoleone, che avrebbe voluto trattenerla a Parigi allettandola con compensi astronomici, preferì lasciare la Francia e recarsi in Inghilterra, ove ormai era giunta l'eco dei suoi successi. Arrivata a Londra nel 1806, vi rimase fino al 1813, accolta con deliranti consensi dal pubblico inglese, che tra l'altro non ignorava i suoi sentimenti ostili per Napoleone; presentatasi sulle scene londinesi ne La Morte di Semiramide di Marcantonio Portogallo, venne presto scritturata dai maggiori teatri della città, quali il Drury Lane, il King's Theatre e il Covent Garden, arrivando a chiedere somme inaudite. Nel solo anno 1807 ebbe un reddito complessivo di 16.700 sterline. Enormi compensi le venivano concessi senza esitazione dagli impresari anche per esibizioni di canzoni popolari e inni nazionali che richiamavano un pubblico enorme, mai stanco di ascoltarla in God save the King e Rule Britannia: soloperché cantasse questi inni, che esaltando il pubblico lo facevano prorompere in manifestazioni patriottiche - favorite dal governo inglese nei momenti di maggiore difficoltà per il paese - le venivano offerte anche 200 ghinee. Non meno intensa fu la sua attività teatrale e altrettanto impegnativa la scelta del repertorio che comprese anche lavori mozartiani; tra l'altro fu Susanna nella prima rappresentazione inglese de Le Nozze di Figaro. La C. fu poi a più riprese in Scozia e in Irlanda, ove partecipò a vari festival, che le permisero di accumulare enormi ricchezze, rapidamente assorbite dallo sfarzoso tenore di vita e dall'avidità del marito.
Ritornata a Parigi nel 1814 sotto la prima Restaurazione, non tardò a riconquistare i favori del pubblico francese e soprattutto di Luigi XVIII, che volle dimostrarle la sua benevolenza, affidandole la gestione del Théátre-Italien con una sovvenzione annua di 160.000 franchi; tuttavia la gestione fallì per la pessima amministrazione del marito, che, fidando soprattutto nella popolarità della moglie, scritturò artisti mediocri, ridusse l'organico dell'orchestra e del coro e realizzò spettacoli scadenti, che comunque anticiparono di poco l'inevitabile abbandono dell'attività parigina della C., costretta a lasciare la Francia per il ritorno di Napoleone. Durante i Cento giorni e i primi mesi della seconda Restaurazione la cantante viaggiò in fortunate tournées che la portarono in Germania, Danimarca e Svezia; tornata a Parigi, dopo essersi esibita in numerosi concerti anche in Belgio e in Olanda, soprattutto a Bruxelles e Amsterdam, nel 1816 riassunse la direzione del teatro che pur con qualche interruzione e nell'inarrestabile scadimento portò avanti fino al 1817.
Riprese poi le sue peregrinazioni attraverso l'Europa; fu a Venezia e in altre città italiane, continuando a riscuotere grandi consensi, sebbene la sua voce cominciasse ad avvertire i segni di una certa stanchezza, sempre peraltro compensati da un gusto e uno stile inimitabili, che, uniti alla lunga esperienza, le permettevano di superare con disinvoltura l'inevitabile deterioramento di un organo vocale sottoposto a un continuo sforzo da funambolici virtuosismi. Fu poi a più riprese in Germania, quindi nel 1819 in Polonia e soprattutto a Varsavia, dove conobbe Chopin allora decenne, del quale intuì il genio musicale. Grande fu tra l'altro l'impressione che la C. esercitò sul giovane musicista, per il quale "Catalani" sarà per molti anni sinonimo di cantante, contribuendo a far nascere in lui l'amore per la musica italiana, i cui influssi - secondo un giudizio abbastanza diffuso da certa parte della critica chopiniana - avranno un peso non trascurabile nella formazione del linguaggio melodico del compositore polacco. Recatasi poi in Russia, la C. ricevette trionfali accoglienze dallo zar Alessandro e dalla sua corte; tornò poi in Inghilterra, nel 1826 fu a Roma, Napoli e Genova, quindi tra il 1827 e il '28 a Berlino, Hannover e a Dublino. Tornata in Francia, dove aveva stabilito la sua residenza, decise di abbandonare le scene; apparve per l'ultima volta in pubblico al teatro alla Scala di Milano il 17 nov. 1832 per la prima rappresentazione di Elena e Malvina di F. V. Schira, con cui concluse la sua carriera teatrale.
Ritiratasi in una sua villa nei dintorni di Firenze denominata "la Pietra",si dedicò all'insegnamento che impartiva gratuitamente, formando valorosi allievi fra i quali Fanny Corri Paltoni. Per sfuggire al colera si rifugiò a Parigi, ma, rimasta ugualmente vittima dell'epidemia, vi morì il 12 giugno 1849. Sebbene gran parte del suo patrimonio (si calcolava ammontasse a due milioni di franchi) fosse stato devoluto per opere di beneficenza, lasciò una vistosa eredità ai tre figli, che le fecero erigere nel camposanto di Pisa un monumento dallo scultore fiorentino A. Consoli.
Considerata un vero fenomeno della natura per l'eccezionale flessibilità ed estensione della voce - che andava dal la bemolle grave al fa sopracuto - la C. appartenne alla schiera delle grandi virtuose che nel secolo scorso, insieme a H. Sontag, F. Tacchinardi Persiani, Jenny Lind, avrebbero sbalordito le platee di tutta l'Europa. Dotata di grande memoria che le consentiva, una volta imparata un'aria, di imprimerla indelebilmente nella sua mente sì da avere sempre l'assoluta padronanza dei suoi mezzi vocali, non ebbe mai - secondo lo Scudo - una vera formazione musicale, tanto da doversi sempre servire di un accompagnatore che potesse assecondare il suo estro. Il volume potente della voce era tale che emergeva con facilità su qualsiasi strumento; sapeva superare senza difficoltà la più ardua scrittura virtuosistica e, sebbene spesso i suoi virtuosismi e le sue colorature, soprattutto nel repertorio operistico, contrastassero stilisticamente con le arie interpretate, ebbe un successo straordinario. Più portata all'attività concertistica che a quella teatrale, anche per una mai superata timidezza, ebbe un repertorio limitato ad alcune arie arricchite da mirabolanti variazioni che spesso amava inserire anche nelle opere teatrali, sopprimendo arbitrariamente quelle originali. Orientata verso uno stile di gusto prettamente barocco, il suo repertorio era costituito per lo più da arie di Zingarelli, Rossini, F. Morlacchi ("Caro suono lusinghiero"), Paisiello ("Nel cor più non mi sento" da La bella Molinara),Portogallo ("Son regina"), che liberamente modificava con elaboratissime fioriture, oltre alle immancabili variazioni di P. Rode e ad una Polacca del suo accompagnatore V. Pucitta. Anche come attrice mancava di una vera partecipazione scenica, tuttavia tale era il suo fascino che ovunque destò grande entusiasmo; anche Goethe dopo una sua apparizione a Karlsbad il 14 ag. 1818 volle ricordarla con versi epigrammatici: "Im Zimmer, wie im hohen Saal - hört man sich nimmer satt - denn man begreift zum ersten Mal, - warum man Ohren hat" (in A. Della Corte, in Enc. d. Spett.).
Descritta dallo Scudo come tipico esempio di virtuosa da camera,la cui unica preoccupazione era quella di stupire l'auditorio, le fu forse estraneo il genio di Mozart, come la rivoluzione operata nel campo belcantistico e drammatico da Rossini, tuttavia secondo la testimonianza di Michael Kelly, che le fu compagno a Dublino in opere sia serie sia comiche, non fu del tutto inespressiva ed aveva una sua personale concezione interpretativa non priva di fascino; per la splendida voce di soprano, strumento perfetto cui la natura aveva fatto dono tanto di flessibilità incomparabile quanto di una omogeneità pressoché perfetta in tutti i registri, può essere definita cantante di bravura piuttosto che di espressione; la sua vocalità le imponeva in un certo senso di affrontare un particolare tipo di canto che le consentisse di sfoggiare i suoi preziosismi; eccelleva pertanto nell'esecuzione di scale cromatiche, riuscendo ad eseguire un trillo su ogni nota; inoltre la respirazione perfettamente controllata le permetteva di dare ad ogni frase melodica l'ampiezza necessaria per mettere in rilievo il suono vibrante e pastoso; non le faceva difetto infine la capacità di dosare effetti contrastanti e alternava slanci di grande sonorità a passaggi di "mezza voce" suadente e soavemente modulata.
Delle sue doti d'interprete quanto della eccezionalità delle sue possibilità tecniche resta peraltro la testimonianza autorevole di Louis Spohr, che, dopo averla ascoltata nel 1817 al teatro dei Fiorentini di Napoli in Ombra adorata di G. Crescentini, in arie di Paisiello e nella polacca La placida campagna di V. Pucitta, descrisse le sue impressioni in una lettera del 22 aprile, pubblicata poi nelle sue memorie. Il compositore tedesco ammirò infatti la sua agilità e intonazione perfetta soprattutto nell'esecuzione del trillo tonale e semitonale, tuttavia non nascose di aver rilevato qualche difetto - più tardi ribadito anche da J. Rellstab (cfr. Della Corte, in Enc. d. Spett.), peraltro soggiogato dalla singolarità dell'artista ascoltata nel 1827 - come una certa debolezza nei suoni di passaggio alla voce di testa, tuttavia compensata da un sapiente uso della mezza voce e da certi effetti nell'esecuzione di scale discendenti che avevano del prodigioso. Le veniva rimproverata una innegabile freddezza d'espressione, che neppure la perfezione tecnica riusciva a farle superare. Il segreto del suo successo, nonostante il repertorio limitato e certe riserve della critica, ci viene svelato da Paganini, che, dopo averla ascoltata in un concerto alla Scala del 1833, scrisse: "...la sua voce forte ed agile forma il più bell'istrumento; ma le manca la misura e la filosofia musicale... Fa delle mezze voci per in su per in giù, e tutto quello che fa con gran forza lo può fare con gran dolcezza, e pianissimo; ed ecco dove scaturisce tutto il magico effetto". Tale giudizio fu poi contraddetto da Giacomo Gotifredo Ferrari (cfr. Della Corte, in Enc. d. Spett.),che, avendo collaborato con la C. proprio alla stesura di quelle arie che mandavano il pubblico in visibilio, lasciò forse un ritratto più verosimile della cantante la quale, se pur iperbolicamente paragonata alla Pasta, alla Sontag e alla Malibran, peraltro più giovani e appartenenti a una diversa concezione belcantistica, veniva descritta nella molteplicità delle sue qualità artistiche; guidata dall'istinto più che da una vera formazione musicale, il suo stile si avvicinava alla stravaganza di Marchesi più che al controllo e alla sobrietà di un Crescentini, ma rivelava una natura musicalissima forse di stampo tardo barocco, destinata comunque a lasciare un'impronta nella storia dell'interpretazione musicale.
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