ANGELI (d'Angeli, d'Angelo, de Angelis, dell'Agni, dell'Agno; e anche di Lagno, de Llaño, di Liagno, de Llaño), Filippo, detto Filippo Napolitano
Nato tra il 1587 e il 1591, a Napoli o più probabilmente a Roma (negli Stati d'Anime di S. Andrea delle Fratte, vol. 37, f. 24, a. 1623, è annotato come "Romano"), da madre romana (Claudia Pallotti) e da padre spagnolo (de Llaño), pittore egli pure e inoltre soprintendente alle decorazioni pittoriche sotto il pontificato di Sisto V (1585-90). La sua formazione artistica ha luogo, tuttavia, a Napoli dove, sul 1600, si trasferisce col padre, per rimanervi fino al 1614 circa. Le prime opere - il Dies Irae (già a Napoli, coll. priv.) e la Crocifissione (già a Roma, coll. Sili) - attestano l'influenza del chiaroscuro tintorettesco e indubbiamente ammanierato di Belisario Corenzio, corifeo napoletano di quegli anni, e suggeriscono ascendenze anche più palesemente controriformate, e sempre napoletane, di M. Pino, di F. Curia e di F. Santafede. Ma basterà la presenza del Caravaggio con le Sette opere di misericordia (1607) per far intendere all'A. le più vere realtà di luce ed ombra, di cui appaiono sostanziati ormai, sul 1610 circa, il Paradiso e il suo compagno Le anime del Purgatorio (già a Napoli, coll. priv.). Non vanno taciuti i suoi contatti, d'altronde documentati, con la cerchia dei paesisti stranieri operanti in Napoli, quali il lorenese François Didier Nomé o lo svizzero J.E.T. von Hagelstein, sicuro seguace dell'Elsheimer, e facenti capo al fiammingo Luis Cruys (documentato a Napoli già nel 1594), che - secondo un'ipotesi plausibile e però di scarso orientamento per la storia dell'arte - sarebbe stato maestro dell'Angeli. Nella Vita mondana della Maddalena (Roma, Gall. Naz.), esemplata sulla stampa di Luca di Leida (né sarà qui l'unica preferenza nordica dell'A.), vengono esperite nuove densità cromatiche, e l'A., una volta rientrato a Roma (dopo la morte del padre), è maturo per aderire alla lezione dei testi pittorici lasciati dal grande paesista Adam Elsheimer (m. 1610) e di mettersi per la nuova via aperta alla pittura di figure 'terzine', facendosene interprete altissimo con la splendida Gloria in Paradiso (Roma, coll. priv.). Già in quest'opera, e ancor meglio nella successiva Adorazione dei Magi (Lucca, coll. priv.), sempre degli anni romani (1614-18), s'avvertono, se pure con l'iniziale tendenza alle fughe salienti degli scenari di un J. Momper o di un P. Brill, i grandi pregi dell'A. nell'ambito di un paesaggismo, che, progredito sull'eredità elsheimeriana (e vedi la presenza in Roma di P. Lastman), è in grado ormai di affrontare quella pittura 'dal naturale' praticata soprattutto, com'è verosimile, a partire (e ne fanno testimonianza numerosi disegni agli Uffizi) dal suo soggiorno in Toscana (1618-21). A Firenze, dove si reca avanti il 28 dic. 1618, eseguì numerose opere di cui abbiamo notizia, ma che sono purtroppo perdute o non rintracciabili, eccezion fatta per le due figure simboliche di giovani, oggi scarsamente leggibili, nella decorazione ad affresco (su disegno di Giulio Parigi) della facciata del palazzo dell'Antella, cui parteciparono soprattutto Giovanni da San Giovanni e M. Rosselli, assieme ad altri pittori toscani. Di rilevante interesse per i suoi rapporti con Jacques Callot è la testimonianza circa il disegno ad acquarello da lui eseguito per l'incisione (1620) della Fiera dell'Impruneta del francese. Dopo la morte del suo mecenate, il granduca Cosimo II (28 febbr. 1621), ritorna a Roma ed è ivi documentato per gli anni 1622 e 1623, abitando nell'isolato dell'Oratorio di S. Andrea delle Fratte. Intensifica le sue gite in campagna, specie a Tivoli, ricavandone i frutti più maturi, ma finora non riscontrabili, del suo naturalismo paesistico, che esercitò altresì ad affresco, in una decorazione a palazzo Rospigliosi (pure perduta). Un secondo soggiorno napoletano - cui apparterrebbero opere come il Martirio di S. Gennaro (Besançon, Museo) e la Caduta di Simon Mago (Napoli, coll. Matarazzo) già implicanti i successivi svolgimenti di G. Schoenfeld - andrebbe situato tra il 1624 e il 1627, toccando a quest'anno la commissione all'A. dei cartoni con le vedute dei castelli di Aranjuez e di Fontainebleau da tradursi in arazzi per la serie della fabbrica Barberiniana. Quanto poi alle sue pitture di "navigli" (Mancini), va ricordato l'unico e bellissimo esemplare a noi noto: Tempesta di mare (di recente acquistato dalla Gall. Nazionale di Roma). L'ultima notizia documentata è del 4 febbr. 1629, quando ricopriva all'Accademia di San Luca l'ufficio di 'primo rettore', essendone 'principe' il Cavalier d'Arpino.
Morì verosimilmente intorno al 1630, fors'anche già nello stesso 1629.
Fu spesso confuso erroneamente con lo spagnolo Felipe Liaño (Llaño) detto 'el pequeño Tiziano'. Il Longhi, che ne ha steso il lavoro fondamentale di recupero storico, accoglie come certa l'identificazione, già affacciata dalla voce del Thieme-Becker (XXIII, p. 181), con l'incisore Teodoro Filippo di Liagno, di cui sono note le serie con soldati e mori in foggia spagnolesca (alla I ediz. napoletana, databile 1614, segue la II in Roma, databile dopo il 1614, e poi la III, postuma, sempre in Roma del 1635: Caprici et habiti militari, 12 fogli) e quella con scheletri (Anatomie di animali), composta di 21 tavole (19 + 2).
Quest'ultima serie fu studiata e disegnata a Roma prima del 1618sugli originali del Museo personale di Giovanni Faber di Bamberga, naturalista e accademico dei Lincei, e intagliata in Firenze tra quell'anno e il principio del 1621. Ciò è possibile stabilire con certezza, mettendo in rapporto una lettera scritta il 18 gennaio 1620 dal Faber a Galileo Galilei in Firenze - per ottenere, mercé il suo personale intervento, che maestro Filippo portasse finalmente a termine l'intaglio delle "anatomie di animali" del suo Museo - con il passo del Mancini da cui risulta che alla morte di Cosimo II (28 febbr. 1621) il libretto degli "Scheletri", dedicato "al molto Ill.re et Ecc. S.e Giovanni Fabro Lynceo", era stato dato in luce ed "osservato", cioè apprezzato.
A queste serie si aggiungano, nel catalogo delle incisioni dell'A., un S. Giovanni nel deserto, una Ninfa sorpresa dal satiro e una Ninfa con satiro in amore (Petrucci).
Conviene segnalare inoltre, per identità di cognome, la presenza in piazza di Spagna, documentata dai libri parrocchiali di S. Andrea delle Fratte per gli anni 1681-84, 1688, 1690 e 1697, di un 'Carlo Francesco Angeli Pittore', non altrimenti conosciuto. A tale riguardo va ricordata la citazione, sinora oscura, fatta dallo Zani nella sua Enciclopedia del 1794,di un Francesco de Angelis, che sarebbe morto intorno al 1660-62 e potrebbe ben essere il padre del predetto Carlo Francesco. Avanzare ipotesi di parentela (magari di figlio e nipote) tra questi due artisti e l'A. sarebbe certo arrischiato allo stato attuale delle ricerche, ma l'identità di cognome e di professione induce a tenere aperta la questione.
Bibl.: G. Gabrieli, Un raro libretto d'incisioni del Seicento di Filippo Liagno, in Maso Finiguerra, IV (1939), pp. 17 s.; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura [1614-1630], I Roma 1956, pp. 97, 255; II, ibid. 1957, pp. 47, 156 n. 1134-1137; F. Strazzullo, Precisazioni sul pittore Sellitto, in Il Fuidoro, Napoli 1956, pp. 6, 9, 11 s.; A. Petrucci, Gli scheletri, il Fabbro e Galileo, in Il Messaggero, 11 luglio 1956; E. Brunetti, Situazione di Viviano Codazzi, in Paragone, VII(1956), n. 79, pp. 50, 55; R. Longhi, Una traccia per Filippo Napoletano, ibid., VIII (1957), n. 95, pp. 33-62 (con bibl. prec., regesto e con dati archivistici reperiti da E. Brunetti); M. V. Brugnoli, Il soggiorno a Roma di Bernardo Castello e le sue pitture nel Palazzo di Bassano di Sutri, in Bollett. d'arte, XLII (1957), p. 265, n. 16; N. di Carpegna, Filippo d'Angelo: tempesta di mare, in Bollett. d'arte, XLIV (1959), pp. 369 s. (con illustrazioni; l'attribuzione all'A. è di E. Brunetti).