TRON, Andrea
– Nacque a Venezia il 4 ottobre 1712, primogenito di Nicolò di Andrea (v. la voce in questo Dizionario) e di Chiara Grimani Calergi di Francesco.
È probabile che il padre l’abbia portato con sé nel corso dell’ambasciata londinese, ove si recò con la moglie dal 1714 al 1717, e in Inghilterra Andrea sarebbe poi ritornato vent’anni dopo, durante una sorta di grand tour ch’egli si concesse prima di intraprendere l’attività politica. Il 24 giugno 1736 l’ambasciatore a Parigi, Alessandro Zen, così scriveva al Senato: «È gionto a questa parte il n.h. sier Andrea Tron [...] per il nobile, e lodevole desiderio d’erudirsi e di coltivare que’ talenti de quali va providamente adorno» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci Francia, filza 227, n. 259). Lì coltivò scrupolosamente quei talenti, perché a Parigi si fermò tre mesi, dopo di che si recò a Londra, dove giunse il 10 ottobre per ripartirne quattro mesi più tardi. Probabilmente Tron aveva ottenuto dal padre – convinto estimatore del sistema economico inglese – il consenso a intraprendere il dispendioso viaggio, nella speranza che il figlio gli recasse notizie della tanto ammirata tecnologia d’Oltremanica.
Ma se nel corso della sua vita l’attivismo di Tron non sarebbe stato inferiore a quello paterno, diverso fu l’oggetto delle sue applicazioni: non l’attività imprenditoriale, ma quella politica. Iniziata la carriera con il saviato agli Ordini (27 novembre 1738), fu poi eletto savio di Terraferma per quattro anni di seguito: il 27 agosto 1739, il 12 maggio 1740, il 29 marzo 1741 e il 31 marzo 1742. In quest’arco di tempo ebbe modo di imporsi all’attenzione del Collegio per lucidità di giudizio, capacità oratoria, concretezza nel cogliere i punti nodali delle discussioni; fu appunto in seguito al prestigio conseguito che il 3 agosto 1741 Tron poté ottenere l’esenzione dall’ambasceria in Francia, cui era stato eletto qualche settimana prima. Non riuscì tuttavia a rifiutare, il 16 gennaio 1743, quella in Olanda, anche perché dieci giorni prima ne era stato dispensato suo padre.
Partito un mese dopo, giunse all’Aja con il titolo di ‘nobile’ e il compito di informarsi sui negoziati segreti che accompagnavano la guerra di successione austriaca. Non aveva accettato volentieri di soggiornare in un Paese legato alla morale calvinista, così lontano dalla vivace società veneziana, ma con il passare del tempo la sua valutazione mutò radicalmente e la conoscenza dei governanti gli fece apprezzare le loro conversazioni avvedute e concrete, quali mai avrebbe potuto avere nella sua città. Quanto all’attività diplomatica, i dispacci agli inquisitori di Stato, pur non ignorando il pericolo che la Repubblica potesse divenire oggetto di eventuali compensazioni tra i belligeranti, suggerirono di ostentare fiducia nei trattati internazionali.
Lasciò l’Olanda nel febbraio del 1745, qualche settimana dopo essere stato eletto (14 gennaio) all’ambasceria francese. Stavolta accettò e tornato a Venezia, ne ripartì il 28 ottobre. La Parigi dei philosophes gli apparve vivace e brillante, ma non ne fu conquistato; a rattristarlo non erano solo i costi che un adeguato tenore di vita comportava: «Il mantenimento moderato senza superfluo – scriveva ad Andrea Querini il 22 marzo 1746 – esige ducati 2.000 al mese» (Tabacco, 1980, p. 50). Soprattutto decisivo fu il confronto con la precedente esperienza olandese, dove aveva trovato «la miglior gente del mondo». Sul versante politico, sin dal marzo del 1746 ebbe modo di confermare le sue convinzioni neutraliste, invitando il Senato a rifiutare le proposte del marchese René-Louis de Voyer de Paulmy d’Argenson che, in compenso dell’intervento della Repubblica nel conflitto, offriva l’annessione di Mantova al Dominio veneto. Continuò su questa linea per tutta la legazione, minimizzando i timori di possibili spartizioni e di trattati segreti volti a minare l’integrità territoriale della Serenissima. Gli eventi gli avrebbero dato ragione.
Tornato a Venezia con il titolo di cavaliere alla fine del 1748, all’inizio dell’autunno del 1749 era nuovamente in viaggio, stavolta verso Vienna, alla cui corte era stato eletto ambasciatore il 28 luglio 1748; la nuova missione si prospettava difficile perché, trattandosi di Stati contigui, non mancavano motivi di discordia: c’era la questione dei confini, specie in Dalmazia, ma soprattutto si andava profilando quella del patriarcato di Aquileia, tradizionalmente retto da un patrizio veneziano, ma la cui giurisdizione si estendeva anche su terre imperiali. La controversia ebbe fine nel 1751, in seguito all’intesa realizzatasi fra Benedetto XIV e Maria Teresa; pertanto fu abolito il titolo patriarcale e vennero istituiti due arcivescovati autonomi a Udine e a Gorizia, la cui autorità spirituale venne fatta coincidere con i rispettivi confini politici. Dove invece Tron poté agire con minor prudenza fu nell’ambito economico, nel quale espresse al Senato i suoi timori circa il potenziamento asburgico del porto di Trieste, suggerendo misure a protezione dello scalo veneziano: su questo punto il suo pensiero coincideva con quello del padre Nicolò.
Lasciò Vienna alla fine di marzo del 1753; fu la sua ultima ambasceria, perché da allora Tron operò prevalentemente nelle sale di palazzo ducale, acquisendovi sempre maggior prestigio, tanto da essere denominato ‘el paròn’. Savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre del 1753 e del 1754, fu tra i sostenitori più decisi del decreto del 7 settembre 1754, che proibiva l’invio di denaro da parte dei sudditi verso la corte di Roma; era in sostanza una ritorsione contro la soppressione del patriarcato di Aquileia, e ovviamente il provvedimento non mancò di suscitare proteste da parte della S. Sede. Il decreto sarebbe stato ritirato solo quattro anni dopo, allorché salì al trono pontificio il veneziano Carlo Rezzonico, con il nome di Clemente XIII; nella circostanza, il 10 luglio 1758 Tron fu eletto a far parte dell’ambasceria straordinaria inviata a Roma, che però non ebbe luogo.
Era savio di Terraferma per il secondo semestre del 1755 allorché iniziò una relazione con Caterina Dolfin, il cui recente matrimonio con Marcantonio Tiepolo era già in crisi. Il legame di questa giovane, bella, colta e intellettualmente vivace, con Tron sarebbe durato per tutta la vita, benché l’annullamento del vincolo matrimoniale le sarebbe stato concesso solo il 10 aprile 1772, cioè dopo la morte del padre di Tron. Nonostante fosse piuttosto tiepido verso la religione, Nicolò non approvò quel rapporto, né mai acconsentì a che il figlio diventasse procuratore: non lo era stato lui, non lo sarebbe divenuto Andrea, che infatti ottenne il titolo dopo la scomparsa del padre.
E tuttavia fu ininterrottamente savio del Consiglio nel secondo semestre dal 1756 al 1763 e poi ancora dal 1765 al 1784, sommando a questa numerose altre cariche, peraltro quasi mai portate a termine, dovendo esse cessare con l’ingresso nel Collegio. Queste le date di elezione: savio alla Mercanzia (10 gennaio 1756 e 7 gennaio 1762), provveditore alle Fortezze (26 febbraio 1757), deputato alla provvision del Danaro (4 gennaio 1758 e 5 gennaio 1759), sopraprovveditore alla Sanità (10 gennaio 1760), provveditore all’Armar (10 gennaio 1761), provveditore sopra Ogli (27 febbraio 1763). Il 30 agosto 1759 era stato eletto ambasciatore straordinario a Carlo III di Borbone, allora asceso al trono di Spagna, ma il sovrano lo esonerò da un viaggio tanto faticoso e dispendioso; fu poi commissario al fiume Tartaro, dove alcuni incidenti ai confini con il Mantovano avevano coinvolto sudditi veneti e austriaci: eletto il 21 gennaio 1764, si trattenne a Ostiglia per tutto l’anno a trattare con i delegati asburgici. Fu poi riformatore dello Studio di Padova dal settembre del 1765 al 1767 e ancora dal dicembre del 1769 al 1771, dal marzo del 1775 al 1777, dal marzo del 1779 al 1781 e dall’aprile del 1783 al 1785; questa attenzione al settore degli studi universitari fu direttamente connessa con la creazione della deputazione ad pias causas, istituita il 12 aprile 1766.
La nuova magistratura si proponeva, sulla scia dei fermenti illuministici che percorrevano l’Europa, di rinvigorire il vecchio organismo della Repubblica attraverso il riordinamento del clero secolare e regolare, e la riforma del sistema educativo statale, risolvendo nel contempo il problema finanziario della Serenissima. A farne le spese furono centoventisette monasteri, che vennero soppressi e i cui beni furono venduti all’asta; anima della complessa operazione fu Tron, nella veste di savio del Consiglio e poi direttamente come deputato dal 15 gennaio a fine dicembre del 1780.
Forse, a compensare il suo anticlericalismo, venne eletto esecutore contro la Bestemmia (16 febbraio 1769) e ambasciatore straordinario a Roma per l’elevazione al soglio di Clemente XIV (24 maggio 1769); fu ancora provveditore alle Biave (30 gennaio 1770), deputato alla provvision del Danaro (5 gennaio 1771, 5 gennaio 1774, 4 gennaio 1777, 10 gennaio 1778 e 2 gennaio 1779), provveditore all’Artiglieria (2 gennaio 1773), inquisitore sopra Ori e monete (23 maggio 1773), deputato, poi inquisitore, alla regolazione delle Arti (9 febbraio 1775, 20 febbraio 1779, 5 gennaio 1781, 5 gennaio 1782, 4 gennaio 1783, 3 gennaio 1784), correttore della Promissione ducale (8 gennaio 1779), membro del collegio alle Pompe (12 maggio 1781).
Il 28 febbraio 1773 fu eletto procuratore di S. Marco de citra. In seguito si dedicò alla riforma delle corporazioni che monopolizzavano il settore produttivo veneziano; se i loro regolamenti avevano per secoli garantito l’alta qualità delle merci, i costi della lavorazione ora non reggevano più la concorrenza con la produzione estera, particolarmente inglese e olandese. Tuttavia le resistenze si rivelarono insuperabili a causa dei forti interessi in gioco, per cui non si andò oltre la soppressione di alcune arti minori, né a rinvigorire l’economia della Dominante giovò la pesante ricondotta voluta da Tron e imposta il 27 settembre 1777 agli ebrei, considerati corpo estraneo e pericolosi concorrenti nel settore commerciale. In riconoscimento di questo prolungato impegno, il 2 settembre 1784 un decreto senatorio tradusse in atto, il giorno stesso, il discorso con cui spronava il patriziato a investire capitali nella mercatura, dichiarando che la partecipazione al settore produttivo non macchiava l’onorabilità nobiliare. Fu questo il testamento politico di Tron, forse un tardivo omaggio alla figura del padre Nicolò.
Negli ultimi anni una cataratta gli offuscò la vista.
Morì a Monigo, nel Trevigiano, il 25 giugno 1785 e fu sepolto nella chiesa di S. Stae, a Venezia. Si spegneva così uno degli ultimi protagonisti di una classe politica che per secoli aveva retto con abilità e competenza la Serenissima.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 142; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 31, c. 9, reg. 32, c. 268; Elezioni Pregadi, reg. 22, cc. 19, 20, 35, reg. 23, cc. 4, 6, 7, 12, 16, 23, 52, 61, 77, 78, 137, reg. 24, cc. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 14, 23, 40, 42, 51, 61, 63, 67, 74, 78, 125, 133, 137, 156, 157, reg. 25, cc. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 46, 47, 82, 88, 107, 108, 116, 120, 140, 147, 152, 156, 166, 179; Senato, Dispacci Inghilterra, filza 102, n. 12r; Senato, Dispacci Haja, filze 13-14; Inquisitori di Stato, b. 445, passim; Senato, Dispacci Francia, filze 237-239; Inquisitori di Stato, b. 439, passim; Senato, Dispacci Germania, filze 255-260; Senato, Roma expulsis papalistis, filze 31, 32, 35, 36, passim; Inquisitori di Stato, b. 493, passim; Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 972, sub 27 giugno 1785; Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Mss. P.D. C904 (tutta la busta contiene lettere dei/ai Tron dal 1740 al 1792); Biblioteca Querini Stampalia, cod. VII (duecentosessantanove lettere di Tron al cugino Andrea Querini, 1734-1752).
G. Damerini, Settecento veneziano. La vita, i tempi, gli amori, i nemici di Caterina Dolfin Tron, Milano 1939, pp. 26-213; F. Seneca, La fine del patriarcato aquileiese (1748-1751), Venezia 1954, pp. 33, 46, 56, 61, 85; G. Tabacco, A. T. e la crisi dell’aristocrazia senatoria a Venezia, Udine 1980.