SARTI, Andrea
– Non si conoscono il luogo e la data di nascita, da collocarsi presumibilmente verso la metà del Cinquecento. Le fonti letterarie antiche tacciono il nome di Sarti, noto esclusivamente attraverso i documenti di archivio e poche opere superstiti. Fu forse figlio o parente del marmoraro carrarese Domenico Sarti di Andrea, attestato per i lavori di decorazione della cappella del Corpo di Cristo (1524) e del pulpito in S. Andrea a Carrara (1541), come pure per l’esecuzione dell’ancona marmorea della Confraternita del Ss. Sacramento in S. Pietro a Massa (1530; Campori, 1873, pp. 87 s.). Ebbe un fratello di nome Bartolomeo, anch’egli marmoraro, il quale tra il 1596 e il 1598 collaborò «in solidum» con Cristoforo Monterosso alla decorazione marmorea della cappella Orefice in S. Maria di Monteoliveto a Napoli (D’Addosio, 1916, p. 534).
La prima menzione di «maestro Andrea del Sarto scultore» si registra nel 1576 in una polizza di pagamento di «trentacinque scudi di Sicilia [...] per fare due pile di marmo bianco». All’epoca il marmoraro operava a Carrara come procuratore dello scultore Francesco Calamech, residente a Messina (Di Marzo, I, 1880, p. 796).
Verso la metà del nono decennio, Sarti si trasferì a Napoli, dove, nel 1588, prese in locazione una casa «in platea di S. Maria di Costantinopoli» (Pasculli Ferrara - Nappi, 1983, p. 101). Un pagamento di 40 ducati senza causale da parte di Sarti stesso a favore del marmoraro romano Francesco Zaccarella data al 1586 l’inizio di un prolifico sodalizio artistico che si sarebbe protratto per oltre un lustro (Archivio di Stato di Napoli, Banchieri antichi [ASN, BA], 172, anno 1586, c. 211). Assieme a Zaccarella, divenuto suo procuratore nel 1591 (Strazzullo, 1967, p. 36, nota 24), e al marmoraro carrarese Ceccardo Bernucci, Sarti eseguì il monumento funebre di Bona Sforza, regina di Polonia e duchessa di Bari, nella basilica di S. Nicola a Bari, l’opera più impegnativa del catalogo dell’artista. Commissionata nel 1589 dalla regina Anna Jagellona, figlia della sovrana dedicataria, la sepoltura fu consegnata nel 1593 e sistemata nell’abside della basilica.
Il monumento consta di una struttura parietale tripartita con nicchie da cui sporgono i santi patroni di Bari e di Polonia, S. Nicola e S. Stanislao; al centro, la regina Bona è raffigurata nei panni di un’antica matrona velato capite, inginocchiata a mani giunte su un cuscino poggiato su di un’imponente urna in marmo nero. Ai piedi delle statue dei due santi patroni sono adagiate due figure muliebri nude raffiguranti il Ducato di Bari e il Regno di Polonia. Al monumento era sovrapposto anche il rilievo marmoreo della Resurrezione di Cristo, staccato nel 1939 durante i restauri della chiesa e recentemente riposto nel transetto sinistro della chiesa dopo lunghe peregrinazioni. Un imponente ciclo decorativo di stucchi e di riquadri dipinti dal pittore lucchese Orazio Vannucci, distrutto nel 1939, era dedicato alle figure di spicco della dinastia reale, tra cui Bona stessa e il consorte Sigismondo I di Polonia, Sigismondo II Augusto e Caterina d’Austria, la committente Anna Jagellona e Stefano Batori; vi erano inoltre i santi protettori del casato polacco, S. Stanislao vescovo, S. Luigi Gonzaga e S. Casimiro (Ceci, 1933, p. 47). I numerosi pagamenti a Sarti, noti attraverso i giornali copiapolizze del Banco di Napoli (D’Addosio, 1918, p. 136; Pasculli Ferrara - Nappi, 1983, p. 302), attestano un saldo complessivo di 1540 ducati (Ceci, 1933, p. 47). L’ideazione generale del monumento è stata attribuita al canonico polacco Tommaso Treter, pittore e incisore residente a Roma a servizio del pontefice Sisto V e consigliere artistico di Anna Jagellona, la quale nel 1590 lo incaricò di scegliere l’iscrizione da apporre sulla tomba della madre (Wazbinski, 1979, p. 68); la raffigurazione della regina è stata invece messa in relazione al Sisto V di Giovanni Antonio Paracca da Valsoldo in S. Maria Maggiore (ibid., p. 64). Anche le due personificazioni muliebri del Regno di Polonia e del Ducato di Bari sembrano ispirate a precedenti romani e più precisamente alla coppia di Virtù che un tempo coronava la trabeazione del sepolcro di papa Paolo IV Carafa in S. Maria sopra Minerva, eseguite da Tommaso della Porta il Vecchio verso il 1566 (Loffredo, 2013, pp. 154 s.). Sarti, tuttavia, considerò anche le novità della statuaria funebre contemporanea a Napoli. La grande tomba parietale dei D’Afflitto, conti di Trivento, in S. Maria la Nova, opera della bottega dello scultore napoletano Geronimo d’Auria degli anni 1580-86 (Grandolfo, 2012, pp. 167 s.), condivide con il sepolcro barese non solo l’impostazione tripartita con nicchie recanti le figure a grandezza naturale, ma anche la rappresentazione del defunto genuflesso a mani giunte al centro e, soprattutto, la rappresentazione di personificazioni ignude semidistese recanti le armi del casato (Bruhns, 1940, pp. 292 s.). Allo stile di Sarti sono ascrivibili la figura della regina, dai lineamenti assai prossimi al più tardo Ludovico Montalto, e la coppia di personificazioni dei regni; spetta invece quasi certamente a Zaccarella il S. Nicola, stretto parente dell’autografo Paolo Staibano in S. Pietro a Majella (1591; D’Addosio 1918, p. 164), e forse il più raffinato S. Stanislao. Il modesto rilievo della Resurrezione, che oggi versa in condizioni precarie, appartiene a una mano più tozza e sommaria, da identificarsi forse con quella di Bernucci, sfuggente figura di scalpellino e ingegnere, operante a Napoli tra il 1589 e il 1636.
Alcuni pagamenti tra il 1593 e il 1600 assegnano a Sarti la tomba del reggente Ludovico Montalto in S. Maria del Popolo agli Incurabili a Napoli (ibid., p. 135). L’opera, per la quale Sarti ricevette un compenso totale di 635 ducati, s’inscrive all’interno di un più ampio sistema decorativo della cappella gentilizia dei duchi di Fragnito che includeva anche la volta, dipinta da Luigi Rodriguez, l’antico altare cinquecentesco, eseguito da Sarti stesso verso il 1597 e rinnovato nel 1770 (Caneschi, 2008, p. 151), e una Madonna col Bambino, affidata a Geronimo D’Auria nel 1592 e tuttora conservata nel sacello (D’Addosio, 1920, p. 138). Il monumento s’ispira, con risultati alquanto convenzionali, alla tipologia tombale d’invenzione auriesca dedicata a nobili togati in posizione semidistesa sul sarcofago (Carlo Loffredo in S. Maria Donnaregina, 1589-93; Antonio Orefice in S. Maria di Monteoliveto, 1596-98; Camillo de’ Medici ai Ss. Severino e Sossio, 1596-1600). Una polizza di pagamento «per la condottura di doi angeli, una arma, una cassa et una statua di marmi bianchi et neri dala poteca del quondam Andrea Sarti scoltore» attesta il montaggio della sepoltura l’indomani della morte del carrarese, avvenuta nella primavera del 1600 (D’Addosio, 1918, p. 137). La mancata menzione tra le componenti del sepolcro del raffinato rilievo della Resurrezione di Cristo, e una certa distanza stilistica che lo separa dalla più acerba Resurrezione Sforza di Bari, ha indotto alcune attribuzioni del rilievo ora a favore di Michelangelo Naccherino, in una fase di particolare sensibilità verso l’opera di Pietro Bernini (Abbate, 1985, pp. 143 s.), ora a Bernini stesso (Panarello, 2010, pp. 10 s.).
Il forte accento naccheriniano che connota la Resurrezione Montalto sembra tuttavia giustificato più dalle numerose occasioni di contatto che Sarti ebbe con Naccherino verso gli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento, che non da un possibile intervento del secondo nella cappella dei duchi di Fragnito. Nel 1585, Naccherino pagò a Sarti quattro ducati e mezzo per lavori non meglio precisati (ASN, BA, 169, anno 1585, c. 1171) e nel 1597 altri trentacinque ducati «per due pezzi di marmo che l’ha venduti»; i due marmi sarebbero serviti all’esecuzione «de un paro di angeli che esso [Naccherino] fa» per la cappella Fornari al Gesù Nuovo di Napoli (Nappi, 2003, p. 119, doc. 64). Un cospicuo pagamento di 428 ducati e mezzo del marchese di Grottola a favore di Sarti e del marmoraro Fabrizio Di Guido attesta inoltre la partecipazione di Sarti al cantiere per l’erezione del monumento funebre di Alfonso Sanchez de Luna alla Ss. Annunziata di Napoli (ASN, BA, 102, anno 1590, n. 737), le cui parti figurative principali spettano a Naccherino. La precisazione dei documenti, che riferiscono allo scultore fiorentino «la figura del’homo armato che va nella sua sepultura» e la soprastante Madonna col Bambino a rilievo marmoreo (Ceci, 1906, p. 166), induce, per esclusione, ad assegnare a Sarti e a Di Guido l’imponente intelaiatura trabeata del monumento e i putti reggiscudo in apice.
La seconda metà degli anni Novanta vide Sarti particolarmente attivo a fianco del marmoraro Mario Marasi. I documenti relativi all’allestimento della cappella Montalto menzionano Marasi, Sarti e D’Auria «ad conto del prezzo di una quota di marmi, consistenti in pezzi quattordici tra grandi et piccioli [...] hoggi consignati al detto magnifico Andrea [Sarti]». Tra il 1596 e il 1598, Sarti e Marasi collaborarono con Zaccarella, Bernucci e Giovan Leonardo Curcio al completamento e alla decorazione del campanile trecentesco di S. Chiara (Strazzullo, 1967, pp. 27 s.); mentre nel 1599 eseguirono per la famiglia D’Alfonso «una cappella di marmi gentili con mischi [...] nel piliero a man sinistra» del cappellone di S. Giacomo della Marca in S. Maria la Nova (D’Addosio, 1915, p. 595). Insieme a Costantino Marasi, fratello minore di Mario, Sarti lavorò a una finestra marmorea nella chiesa del Gesù Nuovo nel 1598. Nel 1601, infine, Mario Marasi risulta procuratore degli «eredi del quondam Andrea Sarti», scomparso da circa un anno (Strazzullo, 1967, p. 36 nota 24).
Lungo tutto il suo percorso artistico Sarti alternò l’attività di scultore di figura a quella di marmoraro stricto sensu. Di questa produzione ricordata dai documenti non sopravvive tuttavia quasi più nulla. Nel 1588, Sarti girò un pagamento di cinque ducati allo scalpellino Lotto Guidi «per uno pezzo di marmo vendutoli per servitio della cappella dell’illustrissimo signor Duca di Bovino» (ASN, BA, 96, anno 1588, n. 855), cioè l’antica cappella dei Guevara eretta nel succorpo di S. Domenico Maggiore a Napoli, poi rinnovata a metà Seicento. Nel 1590, i governatori di S. Giacomo pagarono a Sarti cinquanta ducati per «una pretra marmora lavorata che ha dato et che se è fatto uno epitaffio per ponerlo in cima alla porta del’ecclesia del monastero de Nostra Signora della Concettione» (ASN, BA, 102, anno 1590, n. 721); la chiesa della SS. Concezione, eretta nel 1583 e annessa al monastero di S. Giacomo degli Spagnoli, fu abbattuta nel 1819 (Grossi, 2005-2006, p. 405). Al 1594 risale un pagamento di sedici ducati per «l’opra che fa per il signor Fabritio Montalto, de l’arme et pietra con la inscrittione che s’ha da ponere al monisterio di donne monache del Jesus de questa città» (D’Addosio, 1918, p. 136); al 1596 un altro di cinquantacinque ducati «per lo prezo di una pietra di marmo bianco del Polviatro [sic] grossa de circa quattro carrate» venduta a Geronimo d’Auria «per la cappella de monsignor Orefice» in S. Maria di Monteoliveto (Archivio storico del Banco di Napoli, Banco di S. Eligio, 5, anno 1596, c. 117r, n. 443); al 1598, invece, venti ducati per un «fonte del battesimo che lui ha da fare nella chiesa di S. Maria della Carità di Napoli» (ASN, BA, anno 1598, n. 385). Sempre nel 1598, infine, il nobile Francesco Massa da Ventimiglia pagò a Sarti ventidue ducati per «una fonte di marmo larga palmi sei incirca, che l’ha venduta sopra il Molo di Napoli, franca di ogni pagamento» (Nappi, 2006, p. 83 doc. 123): la fontana, perduta, doveva essere una delle quattro destinate al «grottone» del giardino residenziale di Massa, per le quali Geronimo d’Auria eseguì le statue, anch’esse perdute, di Apollo, Mercurio, Marte (D’Addosio, 1913, p. 588) e «due Venere colcate et doi delfini per la fontana» con «doi sateri in cima» (Mormone, 1956, p. 114).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli [ASN], Banchieri antichi, 169, Libro maggiore, 1585, c. 1171; 172, Mari e Grimaldo, Libro maggiore, 1586, c. 211; 96, Grimaldo, Giornale di cassa, cc. n.nn., 19 agosto 1588, n. 855; 102, Citarella e Rinaldo, Giornale di cassa, cc. n.nn., 28 febbraio 1590, n. 721; marzo 1590, n. 737; Archivio storico del Banco di Napoli, Banco di S. Eligio, 5, Giornale di cassa, c. 117r, 24 febbraio 1596, n. 443; ASN, Banchieri antichi, 130, Mari, Giornale di cassa, cc. n.nn., 19 febbraio 1598, n. 385.
G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ec. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa, Modena 1873, pp. 87 s.; G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, I, Palermo 1880, p. 796; G. Filangieri, Documenti per la storia le arti e le industrie delle provincie napoletane, VI, Napoli 1891, p. 147; G. Ceci, Per la biografia degli artisti del XVI secolo e XVII secolo. Nuovi documenti, II, Scultori, in Napoli nobilissima, XV (1906), pp. 162-167; G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani del sec. XVI e XVII, in Archivio storico per le province napoletane, XXXVIII (1913), pp. 578-610; ibid., XL (1915), pp. 592-604; ibid., XLI (1916), pp. 531-540; ibid., XLIII (1918), pp. 133-164; Id., Documenti inediti di artisti napoletani del sec. XVI e XVII. Estratto dall’Archivio storico napoletano, Napoli 1920, p. 138; G. Ceci, Nella chiesa di S. Nicola. Il monumento di Bona Sforza, in Japigia, IV (1933), 11, pp. 43-53; L. Bruhns, Das Motiv der Ewigen Anbetung in der römischen Grabplastik des 16., 17. und 18. Jahrhunderts, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, IV (1940), pp. 253-432; R. Mormone, Disegni per fontane di G. Antonio Nigrone, Napoli 1956, pp. 114 s.; F. Strazzullo, Scultori e marmorari carraresi a Napoli: i Marasi, in Napoli nobilissima, s. 3, VI (1967), pp. 25-37; Z. Waźbiński, Mauzoleum Bony Sforzy w Barii, przyczynek do dziejów polityki dynastycznej Królowej Anny, ostatniej Jagiellonki, in Folia historiae artium, XV (1979), pp. 59-87; E. Nappi, Documenti dell’Archivio storico del Banco di Napoli, in M. Pasculli Ferrara, Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo..., Fasano 1983, pp. 97-107, 302; F. Abbate, La decorazione scultorea della cappella Montalto nella chiesa napoletana di S. Maria del Popolo agli Incurabili, in Antichità viva, XXIV (1985), pp. 138-144; E. Nappi, I Gesuiti a Napoli: nuovi documenti, in Ricerche sul ’600 napoletano, 2003, pp. 111-133, (in partic. p. 119 doc. 64); C. Grossi, Le chiese e l’ospedale nell’insula di S. Giacomo degli Spagnoli, in Quaderni dell’Archivio storico del Banco di Napoli, 2005-2006 (2007), pp. 399-416; E. Nappi, Fontane, giardini e masserie nei secoli XVI-XVIII: notizie, in Ricerche sul ’600 napoletano, Napoli 2006, pp. 75-88 (in partic. p. 83 doc. 123); R. Caneschi, La cappella Montalto nel complesso ospedaliero di S. Maria del Popolo degli Incurabili di Napoli, in Percorsi di conoscenza e tutela. Studi in onore di Michele d’Elia, a cura di F. Abbate, Pozzuoli 2008, pp. 147-158; M. Panarello, Artisti della tarda maniera nel viceregno di Napoli: mastri scultori, marmorari e architetti, Soveria Mannelli 2010, pp. 10-12; A. Grandolfo, Geronimo d’Auria (doc. 1566-1623). Problemi di scultura del secondo Cinquecento partenopeo, tesi di dottorato, Università degli studi di Napoli Federico II, 2012, pp. 167-172; F. Loffredo, Il Pan Barberini, Giacomo da Cassignola e la scultura in marmi colorati nella cerchia di Pirro Ligorio, in Nuovi studi, XVIII (2013), 19, pp. 145-174.