PERRUCCI, Andrea
PERRUCCI, Andrea. – Nacque a Palermo il 1° giugno 1651 da Francesco, ufficiale della squadra marittima, e da Anna Fardella, nobildonna trapanese.
Ancora in tenera età si trasferì a Napoli, dove ricevette lezioni di grammatica e filosofia presso il collegio dei gesuiti, che furono determinanti per la sua formazione (anche se il suo nome non compare tra i membri della Societas Jesu, secondo quanto riporta Josephus Fejér s.j., Jozsef Fejer, Defuncti secundi saeculi Societatis Jesu 1641-1740, IV, N-R, Romae 1989); si dedicò quindi allo studio delle leggi canoniche e civili, laureandosi nel collegio napoletano ed esercitando quale doctor utriusque iuris. Fallimentare fu il tentativo di rientrare in patria, sperando di risolvere in suo favore spinose questioni ereditarie; fece quindi ritorno a Napoli, che rimase fulcro della sua esistenza fino alla fine, pur mantenendo rapporti intensi con l’area siciliana, riscuotendone plauso e ammirazione (cfr. La Sicilia inventrice o vero le invenzioni lodevoli nate in Sicilia di Vincenzo d’Auria del 1704, a lui dedicata).
Di salute cagionevole, e spesso oggetto di avversioni sulle quali finora non è stato possibile far luce, Perrucci riuscì tuttavia a far carriera nella capitale del viceregno spagnolo, giungendo a conseguire la nomina ad avvocato straordinario della città intorno alla fine del XVII secolo. Divenne membro di varie accademie, quella de’ Rozzi di Napoli, dei Raccesi di Palermo e dei Pellegrini di Roma, e strinse rapporti con le più insigni figure dell’aristocrazia partenopea, come don Marcello Mastrilli duca di Marigliano e donna Aurora Sanseverino dei principi di Bisignano.
Superando le resistenze paterne, delle quali vi è testimonianza in alcuni versi del manoscritto contenente vari suoi componimenti dal titolo Embrioni aganippei (Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIII.E.56), coltivò sin dalla gioventù la poesia. Al dramma d’esordio, La stagione mutata, su imitazione di Lope de Vega, ultimato a soli tredici anni, fa riferimento Domenico Antonio Parrino nella sua prefazione alla raccolta di liriche Idee delle muse (Napoli 1695). L’aspetto più significativo del personaggio è dato proprio dal vivo contrasto fra un’immagine ufficiale, affidata all’impegno forense e ai successi conseguiti in qualità di giurista, e una fisionomia artistica di tutto rilievo che fu vissuta però sempre in maniera complementare, quando non antitetica, al profilo più rassicurante e affidabile dell’uomo di legge.
Egli volle ascriversi in ogni circostanza al rango di accademico dilettante, dedito occasionalmente ai piaceri delle nugae, ma la continuità e l’intensità della sua produzione letteraria per circa un trentennio contesero spazi operativi all’altra attività, garantendogli forse maggiore notorietà, fino a configurarsi come vera e propria professione: a partire dagli anni di governo del marchese del Carpio e del conte di Santo Stefano ricoprì la carica di poeta ufficiale del teatro di San Bartolomeo, tempio del melodramma nella capitale, per il quale compose o rivide sistematicamente libretti (si pensi almeno a Chi tal nasce tal vive overo L’Alessandro Bala, Napoli 1678, o a Le fatiche d’Ercole per Deianira: melodrama d’Aurelio Aureli riformato per il Teatro di S. Bartolomeo di Napoli…, Napoli 1679).
Non s’intende l’opera perrucciana se non sullo sfondo di una tensione che lo portò a misurarsi con tutti i generi in voga nella Napoli di tardo Seicento, profondamente segnata, da un lato, dal magistero tassiano e dalla fioritura della lirica, dall’altro, dall’affermazione di una letteratura in lingua nazionale notevole per qualità e dimensione e dalla precoce vocazione spettacolare.
È del 1674 il debutto della fortunata Difendere l’offensore o vero la Stellidaura vendicante, eseguita in casa del principe Cursi Cicinelli, musicata da Francesco Provenzale (nelle vesti di protagonista e promotrice della serata Giulia de Caro: controversa e chiacchierata figura di attrice-cantante, impresaria e amante di personaggi facoltosi). Del 1678 la prova eroicomica dialettale de L’Agnano zeffonnato; del 1690 la rielaborazione del Convitato di pietra, firmato con lo pseudonimo di Enrico Predaurca che, ispirata a Giacinto Andrea Cicognini, rimase in auge fino a tutto il XVIII secolo e fu punto di riferimento per successivi adattamenti. Diede inoltre alle stampe la raccolta di poesie Idee delle Muse (Napoli 1695), dedicata a Carlo Ferdinando Gonzaga duca di Mantova e organizzata per sezioni, ciascuna collegata a una delle nove divinità della mitologia classica. Del 1697 è Complire con la sua obbligazione, rifacimento italiano di Cumplir con su obligación di Juan Pérez de Montalbán, esplicito richiamo a un repertorio spagnolo lungamente frequentato e ammirato.
Di sicuro Perrucci fu campione della tanto diffusa drammaturgia della santità, componendo numerose tragedie sacre e oratori che, sulla scia degli esempi iberici delle comedias de santos e autos sacramentales, ma con spiccata attenzione all’humus devozionale del Meridione, scandivano momenti della liturgia cattolica o forme di propaganda del culto.
Si trattava di una formula particolarmente cara a Perrucci anche per ragioni teoretiche: andando oltre i dettami dell’aristotelismo e dell’uso didattico della scena promosso dalla sensibilità gesuitica, la tragedia di argomento sacro emendava, infatti, il pericolo della profanità nel momento stesso in cui attingeva all’immaginario vetero e neotestamentario per innescare processi di purificazione ed edificazione morale, sostituendo alla falsità del mito l’energia della verità sempiterna. A questo ambito appartengono Il figlio del serafino S. Pietro d’Alcantara (tratto da Lope de Vega, Venezia 1684), Il zelo animato overo il gran profeta Elia (Napoli 1691), Il divoto della Vergine Maria Immacolata (Napoli 1696) e, soprattutto, Il vero lume tra l’ombre (Napoli 1698, pubblicato con lo pseudonimo di Casimiro Ruggiero Ocone), destinato a un successo plurisecolare nella forma, sempre rimaneggiata e arricchita, della popolarissima Cantata dei pastori.
La ricognizione dell’opus perrucciano è questione assai complessa: i biografi Giacinto Gimma e Antonino Mongitore, nonché la Drammaturgia di Leone Allacci enumerano diversi titoli non reperibili; alcuni sono noti solo attraverso ristampe postume, mentre lo stesso autore menziona nel trattato del 1699 serie di prologhi, componimenti d’occasione e traduzioni di commedie di Lope di cui non v’è traccia. A tale ricchezza di testi, indizio di una consuetudine con la pratica della scena pubblica e privata e di assidui contatti con le compagnie dilettanti e professionistiche attive non solo a Napoli ma su tutto il territorio italiano, fanno riscontro una riconosciuta maestria concettosa, un talento plurilinguistico e pluristilistico nel solco del più alto gusto barocco.
La fama di Perrucci resta comunque legata al trattato Dell’arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso (Napoli 1699), pubblicato per i tipi di Michele Luigi Mutio. Tradizionalmente interpretata come orgoglioso tributo all’invenzione tutta italiana dell’improvvisazione e ricchissimo campionario delle forme comiche tipiche della commedia dell’arte, l’opera rispondeva in realtà ad ambizioni più profonde: aggiornare il modello della poetica cinquecentesca – con uno sguardo privilegiato ad Antonio Minturno – provando a offrire un quadro normativo alle strategie della messinscena; sovvertire il pregiudizio antiteatrale ai fini di una definitiva accettazione dell’attore sul piano sociale; accostare ai testi classici sul dramma e sulle sue articolazioni fonti erudite (il De Theatro del gesuita Jules-César Boulenger) e nuove, irriverenti letture (El arte nuevo de hacer comedias en este tiempo di Lope de Vega).
In questa fitta trama di riferimenti, non esente in molti punti dalle tecniche della polimatia di riuso, si inscrisse una fortissima pulsione autobiografica, con inserti e passaggi decisivi desunti dalla propria esperienza di affermato cultore di cose teatrali e compilatore esperto di generici, teso a interrogarsi (e, beninteso, a giustificarsi) per la passione per ogni forma di spettacolo, così viva, duratura e irrinunciabile. Per questa via egli non solo rivendicò il prestigio e la competenza di una scrittura al servizio della rappresentazione, di fronte a interpreti ormai poco versati nella retorica e meno abili nel rendere funzionale il loro bagaglio di letture alla comunicazione scenica (una battaglia che avrebbe visto protagonista eccellente nel cuore del Settecento Carlo Goldoni), ma finì con il dichiarare l’impossibilità di una trasmissione poetica nel campo della rappresentazione che non fosse largamente contaminata con il cimento personale e il senso dell’adeguamento agli orizzonti di attesa del pubblico di ogni latitudine.
Pochi mesi dopo il debutto sulle tavole del San Bartolomeo de La fede autenticata col sangue nel martirio del Glorioso San Gennaro Vescovo di Benevento, laborioso riadattamento di un testo del dottor Luigi Joele andato in scena nel 1645, Perrucci – colpito da febbre acuta – morì a Napoli il 6 maggio 1704.
Opere. Per edizioni moderne si vedano Dell’arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso, a cura di A.G. Bragaglia, Firenze 1961; Le opere napoletane (L’Agnano zeffonnato - La malatia d’Apollo), Roma 1986; A Treatise on acting, from memory and by improvisation (1699) - Dell’Arte rappresentativa, premeditata ed all’improviso, Bilingual edition…, traduzione e cura di F. Cotticelli - A. Goodrich Heck - T.F. Heck, Lanham (MD),-London 2008 (anche http://digitale.bnnonline.it /perrucci/indice.htm); Das Eigene und das Fremde. Überlegungen zu ‘Stellidaura Vendicante’, in Online-Tagungsbericht zum Symposium ‘Das Eigene und das Fremde - Beziehungen zwischen verschiedenen Musikkulturen’, a cura di K. Drexel - R. Lepuschitz, Innsbruck 2013 (http://www.uibk.ac.at/ musikwissenschaft/forschung/publikationen/daseigene/cotticelli.pdf; contiene in appendice Stellidaura vendicante).
Fonti e Bibl.: D.A. Parrino, A chi legge, in A. Perrucci, Idee delle Muse. Poesie, Napoli 1695, pp. XIII-XXI; G. Gimma, Elogj accademici della Società degli Spensierati di Rossano…, II, Napoli 1703, pp. 47-61; A. Mongitore, Biblioteca Sicula…, I, Palermo 1707, pp. 32-34.
P. Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano…, Napoli 1874, pp. 323-327; G.M. Mira, Bibliografia siciliana…, II, Palermo 1875-1881 (rist. anast., Bologna 1973), pp. 206-208; M. Apollonio, Storia della commedia dell’arte, Roma-Milano 1930, pp. 260-267; R. Tessari, La commedia dell’arte nel Seicento. ‘Industria’ e ‘arte giocosa’ della civiltà barocca, Firenze 1969, pp. 89-108; M. Petrini, Questioni di letteratura dialettale napoletana del Seicento, in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, I, Padova 1970, pp. 501-514; A. Quondam, Dal Barocco all’Arcadia, in Storia di Napoli, VI, 2, Napoli 1970, pp. 809-1094; F.C. Greco, Per un censimento della produzione drammaturgica in area meridionale fra Cinquecento e Seicento, in La commedia dell’arte ed il teatro erudito, Napoli 1982, pp. 57-71; F.C. Greco, Ideologia e pratica della scena nel primo Settecento napoletano, in Studi pergolesiani - Pergolesi Studies, I (1986), pp. 33-72; Id., La nascita dei modelli e la definizione dei codici teatrali: dalla trasgressione all’ordine, in Teatro comico tra Medioevo e Rinascimento: la farsa, a cura di M. Chiabò - F. Doglio, Roma 1987, pp. 71-100; P. Maione, Giulia De Caro ‘famosissima armonica’ e il bordello sostenuto dal signor don Antonio Muscettola, Napoli 1997; L. Pierozzi, ‘El hijo del Serafín’ di J. Pérez de Montalbán tradotta da A. P., in Spagna e dintorni, a cura di M.G. Profeti, Firenze 2000, pp. 151-202; L. Tufano, I testi per musica di A. P.: prime ricognizioni, in Aprosiana. Rivista annuale di studi barocchi, n.s., 2001, n. 9, pp. 329-346; F. Cotticelli, Moralità e teatro nelle riflessioni di A. P., in Dibattito sul teatro. Voci opinioni interpretazioni, a cura di C. Dente, Pisa 2006, pp. 73-98; F. Cotticelli, P. e la tradizione degli spettacoli gennariani: ‘La fede autenticata col sangue’ (1704), in Campania sacra, XXXVIII (2007), 1-2, pp. 269-288; Id., Il trattato Dell’Arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso. L’«impresa bellissima, e pericolosa» di A. P., in Commedia dell’arte. Annuario Internazionale, IV (2011), pp. 47-91.