FOSCOLO, Andrea
Nacque a Venezia, nel 1470, da Marco di Andrea, del ramo ai Frari, e da una figlia di Zaccaria Vallaresso di Vettore.
Il padre era ricco e aveva percorso una notevole carriera politica; questo agevolò gli esordi del F., il quale infatti, non appena ebbe raggiunta l'età prevista dalla legge, venne eletto savio agli Ordini per il semestre ottobre 1493-marzo 1494 e, in seguito, a maggio-settembre.
Sempre nel 1494 il F. sposò Elisabetta Foscari di Giovanni del procuratore Marco, che gli portò in dote la cospicua somma di 4.000 ducati e l'appoggio di un'influente parentela. Costei infatti era sorella di quel Marco Foscari destinato a divenire il principale fautore della tendenza oligarchica che sottese tanta parte dell'età grittiana; con il cognato, inoltre, il F. avrebbe fondato una società mercantile.
Sappiamo dal Sanuto che il 31 dic. 1501 il F. era provveditore all'Armar quando fu eletto ambasciatore straordinario a Ferrara, insieme con Gabriele Moro, in occasione delle nozze di Alfonso, figlio primogenito del duca, con Lucrezia Borgia.
In seguito, nel marzo 1504, il F. mancò l'elezione a due legazioni di ben altra importanza, in Germania e in Spagna; gli fu conferito invece un incarico di limitato respiro (aprile 1504), cioè quello di portare, insieme col collega Giovanni Diedo, il bastone e lo stendardo, simboli del comando, al capitano dell'esercito, Niccolò Orsini conte di Pitigliano, a Ravenna; dopo di che il 6 luglio 1505 entrava camerlengo di Comun e l'11 ag. 1509 provveditore sopra le Camere.
La bufera di Agnadello era giusto alle spalle, e fu senza dubbio gran ventura per il F. l'aver mancato l'ennesima elezione qualche mese prima: una nomina che avrebbe potuto comportare gravi conseguenze, trattandosi del provveditorato generale in Romagna (10 maggio 1509). Sino al 1512 non risulta aver più ricoperto incarichi, e solo il 24 giugno di quell'anno venne chiamato a far parte della zonta del Consiglio dei dieci, quindi (1° ottobre) fu ballottato, ma non eletto, ambasciatore a Firenze, e poi in Francia (27 maggio 1513). Due mesi dopo (15 luglio 1513) il F. sottoscriveva con 300 ducati un prestito statale per la guerra.
Il 7 apr. 1514 entrava procuratore sopra gli Atti dei sovragastaldi, quindi savio di Terraferma per il secondo semestre; poi più nulla, per tre anni, se non elezioni mancate talora per una manciata di voti.
Questa latitanza dalla politica attiva ebbe termine il 18 dic. 1519, giorno dell'elezione del F. alla podestaria di Crema.
La città era un avamposto là dove Francesco I si apprestava a dare inizio alla sua lunga contesa con Carlo V; per questo l'azione del F. fu subito protesa al rafforzamento delle difese, la qual cosa finalmente gli valse l'apprezzamento del Senato. Scrive infatti il Sanuto, sotto la data del 22 luglio 1520, che il Collegio "lauda molto el dicto rector, degno di governar ogni grandissima città". Oltre che dell'organizzazione militare (a Crema si concentravano le truppe venete sotto il comando di Giulio Manfroni), il F. si dimostrò infatti informatissimo degli avvenimenti spagnoli, francesi, genovesi, nelle lettere che inviava a Venezia e al provveditore generale Andrea Gritti. In novembre gli Imperiali entravano a Milano, mentre il Gritti ripiegava su Lodi, insieme con Odet de Foix, visconte di Lautrec. Le manovre proseguirono tutto l'inverno, pur senza dar luogo a confronti decisivi. La macchina bellica si rimise in moto con l'approssimarsi della primavera: il 3 marzo 1522 il F. scriveva al Senato di avere presso di sé Giovanni dalle Bande Nere, fiducioso nella vittoria.
Come è noto, gli avvenimenti presero tutt'altra piega, e venne la giornata della Bicocca: il F. descrive la sconfitta patita dalle truppe franco-venete in due lettere al figlio Nicolò, riportate dal Sanuto, del 29 aprile e 4 maggio: "Parse a li nostri exerciti de andar a trovar essi inimici" con animo fiducioso, ma finì invece che S. Marco "perse tristemente Lodi".
Crema però non cadde e il 28 luglio il F. riceveva in Senato l'elogio per quanto da lui operato nella difficile congiuntura; ancora il 6 novembre entrava a far parte della zonta dei Quindici savi sopra la riforma dell'Estimo della città e il 14 dicembre veniva eletto nel Consiglio dei dieci. Il 19 maggio 1523 fu tra gli elettori del doge Andrea Gritti e qualche settimana più tardi (29 giugno) risultava a sua volta eletto luogotenente a Udine.
Prese possesso della carica il 19 ott. 1523 e la mantenne per diciannove mesi, potenzialmente difficili (era in corso la definizione dei confini tra la Repubblica e gli Arciducali), ma in realtà rivelatisi tranquilli.
Pure in questo secondo mandato il F. dimostrò abilità, ossia destrezza diplomatica (sia nella riscossione dei tributi sia nelle delicate trattative per le questioni confinarie, dove trovò valido aiuto nel giureconsulto Giacomo Florio); capacità di imporre il rispetto della legge (seppe reprimere non poche prevaricazioni dei feudatari e violenze dei banditi) e soprattutto grande attenzione contro possibili minacce esterne, venissero dai Turchi (che nell'ottobre 1524 devastarono l'Istria) o dagli imperiali.
Gran parte della sua relazione conclusiva, letta in Senato il 1° giugno 1525, è infatti dedicata al fondamentale problema della "fortificacion de la tera", posta in mezzo a una vasta pianura e troppo debolmente difesa da corsi d'acqua. Le mura edificate quasi mezzo secolo prima dal cavaliere Giovanni Emo necessitavano di ripristino e consolidamento, cui provvedette il F. assieme alla costruzione di mulini, indispensabili in caso di assedio per una città tradizionalmente carente di risorse idriche.
Rimpatriato il 23 maggio 1525, non lasciò più Venezia: nella seconda metà del 1526 fu votato podestà a Padova, provveditore in campo contro i lanzichenecchi del Frundsberg e consigliere ducale, ma sempre senza esito. Solamente il 2 giugno 1528 riuscì eletto nel Consiglio dei dieci, ma non si presentò a giurare e, nonostante le assicurazioni fornite nella circostanza dal figlio, fu dichiarato decaduto.
L'ultima notizia che abbiamo su di lui risale al 3 genn. 1529 e riguarda l'ennesimo prestito concesso allo Stato. Scomparve di lì a poco, dal momento che Sanuto lo pone tra i patrizi morti a Venezia nel 1528 more veneto, vale a dire entro il febbraio 1529.
Doveva essere sofferente da tempo: nel testamento, redatto il 1° maggio 1528, dichiara infatti che la morte non può tardar molto; volle essere sepolto nella chiesa dei Frari, accanto al figlio Francesco, che gli era premorto; l'altro figlio, Nicolò, sarebbe scomparso a sua volta di lì a poco, nel 1531, senza eredi maschi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, pp. 571, 573; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 165, c. 196r; Ibid., Segr. alle Voci.Misti, regg. 7, cc. 9v, 39r, 49v; 9, cc. 19r, 22r, 25v, 28v, 29v; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. "A", cc. 18r, 66r; Ibid., Senato. Mar, reg. 14, cc. 23r, 37r; ibid., Delib. Secreta, reg. 35, cc. 20r e passim; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 169, nn. 200-204 (riguardano la luogotenenza nella Patria del Friuli); Ibid., Notai di Venezia. Testamenti, b. 1183/35; la notifica di decima del 1514 fu presentata in solidum dal fratello Zaccaria: Ibid., Dieci savi alle decime, b. 59/54. Sull'attività commerciale del F., Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P.D. C 1315/3; Arch. di Stato di Bassano, Fondo Erizzo, b. 38, fasc. 120/62; M. Sanuto, I diarii, IV-VI, VIII-IX, XIV-XVII, XIX-XXXVIII, XL-XLIII, XLV-XLIX, Venezia 1880-97, ad Indices; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, I, La Patria del Friuli (Luogotenenza di Udine), a cura dell'Istituto di storia economica dell'Univ. di Trieste, Milano 1973, pp. 1-5; P. Bembo, Rerum Venetarum historiae, in Degl'istorici delle cose veneziane…, II, Venezia 1718, p. 210; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 276; E. Crouzet-Pavan, "Sopra le acque salse". Espaces, pouvoir et société à Venise à la fin du Moyen-Âge, II, Roma 1992, p. 862.