DANDOLO, Andrea
Nacque a Venezia il 7 ott. 1532 da Marc'Antonio e Angela Contarini di Andrea di Pandolfo.
Il padre disponeva di mediocre fortuna, consistente soprattutto nella casa a S. Luca - dove abitava - ereditata da un altro Dandolo, Marino di Pietro, e nel lascito dello zio Vinciguerra, morto senza figli nel 1517: in tutto, secondo la condizione di decima del 1542, una ventina di immobili, 1.040 ducati collocati nel debito pubblico, 129 "campi" nel dogato, ai margini della laguna. Troppo poco per mantenere otto figli (di cui quattro maschi, che occorreva "tenire alle Scuolle"), la moglie, una diecina di servi: inevitabilmente, concludeva Marc'Antonio nella sua denuncia dei redditi, "el me convien industriarmi cum far qualche poco di mercadantie", ed infatti, negli anni '30 e '40, la sua attività nel commercio col Levante è ben documentata. Senonché una serie di rovesci si abbatté sulla famiglia: nel '28 una nave dei Dandolo affondò nell'Egeo, nel '31 il fratello Francesco venne catturato dai Turchi ed il riscatto costò 6.000 ducati, nel '42, infine, era la volta di una nave condotta dal figlio primogenito ad essere assalita dai pirati.
Nel '51 Marc'Antonio moriva lasciando dunque ai figli debiti per oltre 16.000 ducati ed una proprietà immobiliare gravata di ipoteche: nella "condizione" del '54 costoro risultano infatti abitare a S. Sofia, dal momento che la casa di S. Luca è affittata, sono del tutto privi di capitali nei depositi pubblici, e non "si atrovano nè danarj nè arzenti nè zogie, per haver convenuto il tutto vender per mantenirne". Erano rimasti in tre: Pietro intraprese la carriera ecclesiastica, Marino quella militare e divenne governatore di galera, il D., il più giovane, continuò invece a praticare la mercatura.
Aveva iniziato per tempo, del resto, e le "scuole" erano state soprattutto rivolte a questo fine: egli stesso afferma che a Costantinopoli il bailo Bernardo Navagero (1550-1552, quando dunque il D. non poteva avere più di vent'anni) ebbe modo di valersi della sua ottima conoscenza della lingua slava per far tradurre certi documenti d'importanza. Rientrato a Venezia, il 4 dic. 1553 estrasse la Balla d'oro, ma l'anticipato ingresso in Maggior Consiglio non gli procurò alcun incarico politico; approfittò invece dell'invio a Costantinopoli del nuovo bailo Gerolamo Ferro, che era suo cognato, per accompagnarlo nella capitale turca (6 maggio 1560), con la speranza che da tanto appoggio gli affari avrebbero tratto giovamento.
Dieci anni prima il Ferro aveva sposato la sorella del D., Dandola, ma la dote di 5.500 ducati non era stata ancora pagata: fosse quindi la speranza che l'eventuale successo economico del D. avrebbe costituito la miglior garanzia per ottenerla, fosse l'opportunità di poter disporre di persona già pratica del mondo turco e della lingua slava, fatto è che il Ferro accondiscese a portare con sé il giovane cognato.
Dotato di notevole cultura e fine conoscitore del greco, il Ferro versava però in precarie condizioni di salute, per cui infermò già nel corso del faticoso viaggio, come testimonia il D. nella sua relazione: "in Scopia per gli eccessivi caldi questo povero ed infelice bailo si ammalò di una così grave infermità, che più volte ebbe a lasciarvi la vita; la quale è stata in buona parte forse cagione della sua morte poi, che seguì ai 20 novembre 1561, avendomi Sua Magnificenza prima creato suo vicebailo, sì come per il passato più volte fatto avea ritrovandosi indisposto".
A Costantinopoli, dunque, il D. affiancò e spesso ebbe modo di sostituire il cognato nell'esercizio della carica; quindi, tre mesi dopo la sua morte, ricevette da Venezia la conferma del vicebailaggio, che sostenne fino al 12 luglio 1562, allorché giunse nel Bosforo il nuovo rappresentante della Repubblica, Daniele Barbarigo, la cui partenza da Venezia venne accelerata dal tenore dei dispacci che il D. faceva pervenire alla Signoria, e che recavano notizie di profonde divergenze con il segretario Marc'Antonio Donini.
È questo uno dei rarissimi casi di mancata collaborazione tra i componenti di una stessa legazione veneziana: il Donini accusò a più riprese il D. di malversazione e costui replicò che intento del segretario era stato quello di "potersi a suo buon piacer prevalere delli denari di Vostra Serenità in molti suoi urgenti bisogni che gli soprastavano, nati per avventure per la poca cura che egli teneva nelle sue poco oneste spese, di gran lunga maggiori delle sue forze".
Difficile stabilire chi dei due avesse ragione: il Donini era certo un temperamento caparbio e orgoglioso, ma alcune carte private, concernenti la contabilità del D. col Ferro, indicano che in data 22 febbr. 1562 quest'ultimo era rimasto in credito verso il cognato per la bella cifra di ducati 4.584, di cui 1.317 in conto di "zambeletti" e "zarzachani" fatti venire da Ankara; è dunque probabile che il D. abbia cercato di approfittare della larga disponibilità di denaro che gli derivava dall'esercizio del bailaggio per risanare la propria situazione economica.
Il Donini ed il D. vennero fatti rimpatriare separatamente; quest'ultimo lasciò Costantinopoli il 17 luglio '62 e giunse a Venezia alla fine di agosto: presentarono entrambi al Senato una relazione, in cui ognuno cercava di gettare ombra sulla condotta dell'altro. Nessuno dei due venne posto esplicitamente sotto accusa, ma la vicenda significò per entrambi la fine della carriera: il Donini, infatti, che aveva brillantemente percorso le prime tre tappe della Cancelleria, non andò oltre l'incarico, conseguito già il 30 giugno 1558, di segretario del Senato; quanto al D., non fu mai più eletto ad alcuna magistratura. Ogni altra testimonianza sulla sua vita riguarda infatti la sfera privata e si tratta di documenti che parlano di contestazioni con gli eredi del Ferro, di cause con parenti che rivendicano vecchi crediti, di elenchi di piccoli debiti verso i fratelli.
Il 26 giugno 1568 sposò Maria Bembo di Lorenzo, da cui ebbe due figlie, Maria ed Angela; morì a Venezia, nella casa a S. Sofia, il 29 dic. 1569, "da petechie et febre".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd. I, St. veneta, 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' Patritii..., III,p. 183; per l'estrazione della balla d'oro, Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 824 (= 8903): Consegi, c. 203r; i matrimoni del Ferro e del D., in Arch. di Stato di Venezia, G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, sub voce Dandolo Dandola e Bembo Maria; per l'elezione a vicebailo ed il ritorno in patria, Ibid., Senato. Mar, reg. 35, c. 136rv; reg. 36, cc. 2v-3r; per i dispacci, Ibid., Senato. Dispacci Costantinopoli, f. 3C, nn. 47, 53, 55-58, 61-65; la relazione, in Le relaz. degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, s. 3, III, Firenze 1855, pp. XVII, XXIII, 161-172 (quella del Donini segue a pp. 173-208). Sulle condizioni e l'attività econ. del D., vedi inoltre, Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Mss. P. D. C 1436/14: Dandolo. Condiz. di vari soggetti di detta casa.... passim; Ibid., Mss. P. D. C 2117/17, 18, 358 (contabilità col Ferro e con altri, 1562-69); Ibid., Mss. P. D. C 938/214, 217, 225, 229-235 (processi ed elenchi di debiti). La sua morte, in Arch. di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 804, ad diem.