BUSCHETTI, Andrea
Di nobile famiglia chierese (ignota è la data di nascita), quartogenito di Giovanni Francesco che nel 1629 era stato governatore di Trino, abbracciata l'attività ecclesiastica entrò presto nell'entourage delcardinal Maurizio, fratello di Vittorio Amedeo I; e, alla morte del sovrano nell'ottobre 1637, fu tra i fautori del "partito spagnuolo" in Piemonte e quindi, allo scoppio del conflitto dinastico con Madama Reale, uno degli esponenti più autorevoli del cabinet principista, agendo prima ad Asti, quindi da intermediario in varie missioni presso il marchese di Leganés nel corso delle trattative diplomatiche con gli Spagnoli.
Ma è a Nizza che il B. preparò, in uno dei momenti salienti del conflitto - nell'estate del 1639 - quando già gli Ispano-principisti s'erano impadroniti di Asti e stringevano dappresso la capitale, la mossa che a loro giudizio avrebbe dovuto imprimere la svolta decisiva alla guerra: la dedizione, cioè, di Nizza e, con essa, delle provincie marittime del Ducato.
In effetti, sin dal 23 maggio i partigiani locali dei principi-cognati, capitanati dal vescovo Giacomino Marenco, erano andati premendo sul cardinal Maurizio perché inviasse a Nizza un emissario che "si valesse della sua autorità per indurre i presidii del contado a conservarsi fedeli al duca, senza assistenza di armi straniere", ossia per salvaguardare la città da un'occupazione francese. E il B. scelto per la bisogna - dopo aver raccolto a Genova dal conte di Siruela informazioni di prima mano sui piani francesi nel Nizzardo e aver sostato per scopi analoghi anche a Monaco - era riuscito, grazie ai buoni uffici del vescovo Marenco, ad arrivare in incognito a Nizza e ad avere successivi abboccamenti con lo stesso governatore della città, marchese di Bernex, e i suoi consiglieri. Alle preoccupazioni di costoro che intenzione dei principi fosse piuttosto di introdurre gli Spagnoli nella piazzaforte, il B. aveva replicato sottilmente che egli non era stato "spedito per decidere se i francesi e li spagnoli fossero nemici, ma soltanto d'instare presso le autorità a non voler ricevere né gli uni né gli altri", rinnovando in ogni caso l'assicurazione che "della rettitudine del sentimento de' principi, non si poteva aver dubbio, perché essendo principi di sangue e legittimi successori, abbastanza lor premeva di fidarsi della corona che più stimavano leale...".
Questo gioco serrato, fra ambiguità e sottintesi continuò anche quando il governatore, non fidandosi del B. e in attesa di istruzioni da Torino, preferì metterlo sotto chiave in palazzo, non prima comunque che costui riuscisse a consegnare ai governatori di Villafranca e di Sant'Ospizio, nonché ai sindaci di Nizza, le lettere del cardinal Maurizio, che aveva portato con sé. Alla fine, il B. fu rimesso in libertà e poté raggiungere, il 6 giugno, Monaco donde si rimise in contatto con il cardinale e con il Siruela affinché costoro sollecitassero la venuta di una squadra di galere da Napoli "avvertendoli che i francesi non perdevano tempo di aggiustar le proprie in buon ordine per poter occupare il porto di Villafranca e indi introdursi nel contado di Nizza": complice, a suo giudizio, la scarsa propensione del governatore nei riguardi dei principi, quando invece quelli del contado e la maggioranza della popolazione sarebbero stati pronti a far causa comune. "Tutto il punto sta - egli concludeva in una lettera al Messerati - nella prontezza, se vifosse soldatesca piemontese sarebbe la meglio, e meglio ricevuta in queste parti, altrimenti riceveranno quelle che si manderà".
Troppo tardi era giunto l'ordine di Madama Reale, avvisata infine delle "segrete intelligenze" coltivate dal B. nel Nizzardo, di mettere le mani su di lui. E vane risulteranno anche le successive pressioni sul principe di Monaco per l'estradizione dell'abate, le cui manovre erano riuscite nel frattempo a far confluire l'allarme e le inquietudini della città e del contado in un'unica direzione, quella appunto di uno sbarco francese sulle coste, e a rafforzare pertanto l'ascendente e le inclinazioni filoprincipiste del vescovo di Nizza Marenco. Onde era bastato l'avvistamento di una flotta francese al largo di Villafranca per confermare i sospetti della popolazione e lasciare al B. più ampio spazio per riprendere i suoi maneggi intesi a impegnare i magistrati e la comunità locale ad aprire le porte al cardinal Maurizio.
Si trattava ora di convincere i principi a portarsi nel Nizzardo con un robusto stuolo di truppe piemontesi, dal momento che le ultime riserve dei Nizzardi derivavano dal timore che Maurizio e Tommaso, non disponendo di proprie milizie, dovessero per forza appoggiarsi agli Spagnoli e quindi lasciar loro il passo nelle piazzeforti. La caduta di Cuneo (il 16 giugno) consentì infine di serrare le fila e di cogliere i frutti dell'accorta opera di preparazione del B. a Nizza. Né del resto, dopo il successo dei principi a Torino, Maria Cristina era più in grado di riportare all'obbedienza l'ufficialità nizzarda, ormai vacillante e sul punto di passare dall'altra parte. Di fatto, fu ancora una volta il B. ad apprestare per il meglio ogni cosa per l'ingresso ufficiale a Nizza del cardinal Maurizio, con una scorta di non più di un centinaio di uomini che erano stati reclutati in fretta nel contado, il 10 agosto del 1639.
Per Madama Reale si trattava della perdita di una parte importante dello Stato; per la Francia di una grave minaccia su uno scacchiere sino allora estraneo all'estensione del conflitto con gli Spagnoli, il Sud mediterraneo. Ciò che non era certo negli intendimenti originari dei principi e dei loro agenti, i quali si sarebbero preoccupati piuttosto, dopo la fragile tregua del 14 agosto imposta loro dagli Spagnoli e il mutamento delle fortune sul campo alla ripresa in ottobre delle operazioni militari, di avvalersi dell'occupazione di Nizza per acquistare qualche atout nelle trattative con gli Spagnoli, per venire a capo cioè, con qualche carta in più nel loro difficile gioco d'equilibrio con gli alleati, dell'atteggiamento volubile e dilatorio del Leganés e dell'irrisolutezza dell'Olivares ad accordare altri rinforzi.
Onde il B., che nel gennaio 1640 ebbe in ricompensa dal principe Tommaso la concessione di 1.000 lire sul tasso della città di Asti, fu incaricato di tenere i contatti con gli Spagnoli e ai primi di marzo fu inviato presso il Leganés, con una provvista di 3.500 lire d'argento, per continuare a premere a Milano per un intervento più risoluto, nella misura in cui ormai anche a Torino, a Cuneo e a Nizza mancavano uomini e danari per mantenere le piazze e il circondario e si stava approssimando la minaccia di un'offensiva francese in grande stile. E ancora fitta di sollecitazioni è la corrispondenza di Tommaso con il B. tra il giugno e il luglio 1640, durante l'estrema difesa di Torino stretta infine d'assedio dai Francesi. Ma con il peggioramento della situazione il B. fu richiamato in Piemonte e dislocato poi, dopo la caduta di Ceva e Mondovì, tra il Nizzardo e il Cuneese, dove nell'agosto 1641 fu incaricato dal cardinal Maurizio di sondare il terreno, tramite il vescovo di Mondovì Ripa, per una convenzione con Madama Reale valesse, interrompendo l'assedio, a scongiurare l'occupazione della città da parte dei Francesi. Approcci che il B. portò avanti sino al 10 settembre, nella prospettiva di stabilire "capitolazioni ragionevoli" che consentissero di rimettere la piazza "sotto la reggenza di M. R. nel tempo et con le conditioni che si stabilirà piuttosto, che per un incidente impensato cada in potere di chi l'assedia". Lungo l'itinerario della conversione di Tommaso e Maurizio alla "pace d'interesse", il B. fu del resto chiamato a collaborare ancora, di prima persona, due settimane più tardi, quando - dopo aver sopito qualche difficoltà insorta tra i due fratelli - aprì infine trattative più ravvicinate con i portavoce della reggente, il nunzio Gaspare Cecchinelli, il conte M. Aurelio Rorengo e il protonotario G. Cesare Bergera. Quale premessa alla soluzione della crisi, egli indicò la necessità di stipulare una sospensione d'anni, ma soltanto - scrive il Quazza - "come il primo passo verso un accordo diretto fra i cognati, essendo ormai chiaro che Francia e Spagna stavano proseguendo i propri interessi a tutto danno del Piemonte e del duca". La sorte delle due importantissime fortezze di Montmélian e di Nizza avrebbe dovuto comunque esser sottratta, questa la tesi del B., alle manovre dei rispettivi alleati e decisa piuttosto nel corso di trattative personali fra i principi e Madama.
I colloqui definitivi con l'entourage madamista, prima della firma della pace definitiva il 26 luglio 1642 a Torino, furono condotti da altri intermediari di parte principista. Il B. rimase comunque al seguito di Tommaso anche negli anni successivi, prima di passare nel 1650 al servizio di Eugenio di Savoia-Soissons che da Parigi lo incaricò nell'ottobre 1658 di assumere anche la direzione dei suoi affari in Piemonte. Madama Reale e Carlo Emanuele II lo recuperarono del resto per qualche missione diplomatica a Roma e per altri incarichi di breve momento. L'ultima lettera del B., ormai infermo, è del luglio 1662. Non si conosce la data di morte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione prima, Savoia. Principi di Carignano,Francesco Tommaso, b. V, mazzo 52;b. VI, mazzo 53; Tutele,Reggenze e Luogotenenze, mazzo 1 da ordin.; Lettere particolari, B, mazzo 132;Sezioni Riunite, Controllo Finanze, reg. 1639 in 1640, ff. 48-110, 182;Torino, Bibl. Reale, Varia, 280 (27, 76-80);Mss. Misc., 157 (16);G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1868-1869, I, pp. 624 ss., 846 ss.; II, pp. 448, 507-519, e App., pp. 186-188;G. Quazza, Guerra civile in Piemonte 1637-1642, in Boll.stor-bibl. subalpino, LXVIII(1960), 1-2, pp. 10, 16, 37, 53, 56.