ANSALDO, Andrea
Pittore, nato a Voltri il 24 agosto 1589, fu battezzato nella chiesa parrocchiale di S. Erasmo e morì il 20 agosto del 1638. Appartiene l'A. al gruppo dei valenti artisti che illustrarono i primi decennî del Seicento genovese e che senza concessioni alle nuove tendenze naturalistiche mantennero intatte le doti della scuola genovese. Nell'arte decorativa fu innovatore per l'applicazione geniale e libera degli ardimenti prospettici. Ma quantunque fedele all'eclettismo genovese, riflesso di quello bolognese, non restò immune dal fascino che le opere di P. P. Rubens esercitarono sui Genovesi di quel tempo. Nella piccola città natale, che ebbe una tradizione artistica, l'A. visse presso il padre, commerciante, che per speculazioni sfortunate morì povero. Giovane, dovette, per la morte del padre, mettersi al lavoro e assecondando la naturale inclinazione si dedicò all'arte della pittura. Passò da Voltri a Genova ed entrò nella bottega di Orazio Cambiaso, pittore che imitava "assai ragionevolmente" (scrive il Soprani) lo stile di Luca Cambiaso, suo padre, nei suoi quadri deboli di forma, ma caratteristici per il forte contrasto delle luci e delle ombre. Orazio Cambiaso diede all'A. la solida quadratura della scuola paterna, che ritroveremo nei suoi affreschi (palazzo Embriaci a Genova, palazzo Spinola a Sampierdarena) e nelle stesse figurazioni allegoriche per il salone del Palazzo dei Dogi. Dopo avere studiato anche le opere del Veronese ritornò a Voltri, dove dipinse quadri per le chiese e dove s'incontrò con Bernardo Strozzi, frate nel convento della vicina Campi, del qual pittore egli fu amico ed ammiratore e che in una controversia per certe pitture d'Albissola chiamò più tardi (1622) come perito. Il Van Dyck, il Rubens, lo stesso Strozzi e i Lombardi prestarono all'A., già maestro della linea e della forma, la malìa del colore, e in special modo la conoscenza dei valori del nero che egli usò con bravura, insegnandone poi, col segreto della tavolozza calda per i gialli oro ed i bruni, l'uso ai suoi migliori allievi. Le sue opere sono numerosissime, talvolta affrettate, data la sicura conoscenza del mestiere. Più degne di studio, il S. Ambrogio che dà la Comunione all'imperatore Teodosio (Voltri), i Re Magi (Oratorio delle Cinque Piaghe, Genova), lo sportello dell'organo del Duomo di Genova, opere queste posteriori al 1625, mentre la Pietà dell'Accademia Ligustica, più riposata e calma, ha molte reminiscenze da Van Dyck. Dal Longhi gli è ora attribuita, con molti altri dipinti, tra cui la Fuga in Egitto della Galleria nazionale di Roma, una Strage degli Innocenti nella galleria Doria, ancora sotto il nome di L. Giordano ma contrassegnata perfino dal monogramma dell'A.: un dipinto di "rigida e quasi astratta armatura spaziale, ma ventilata da un chiaroscuro veneto che a sua volta trascorre sur una gamma squisitamente artificiale e tendente al monocromato; in essenza affine a quella di certi barocceschi senesi, come il Vanni". Allora in Genova, coi due grandi fiamminghi, convenivano i Gentileschi e i Procaccini e, tra il vecchio Paggi, B. Castello e lo Scorza, s'elevava la potente personalità di Bernardo Strozzi. L'A. istruì nell'arte, oltre Gius. Badaracco e Bartolomeo Basso, anche due grandi artisti del primo cinquantennio del Seicento, Orazio De Ferrari e Giovacchino Assereto. La cupola dell'Annunziata (restaurata da G. De Ferrari nel 1703) eseguita in bella e vivace gara con il Benso, è l'esempio della padronanza di G.A. nella prospettiva.
Bibl.: R. Soprani, Vita de' pittori ecc. genovesi, Genova 1674; W. Suida, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907; J. De Foville, Génes, Parigi 1907; R. Longhi, in Pagine d'arte, 1917, fasc. di febbr.; U. Ojetti, L. Dami, N. Tarchiani, La pittura italiana del '600 e del '700, Milano 1924; M. Labò, L'Ansaldo in lite e lo Strozzi perito, in Boll. Municipale, Genova 1925, p. 427; O. Grosso, Genova, Bergamo 1926.