ANCO MARCIO (Ancus Marcius)
Quarto re di Roma (secondo la cronologia vulgata, dal 640 al 616 a. C.). Come Numa, del quale è detto nipote, sarebbe stato amante della pace e restauratore della religione (Ancus sacrificus: Ovidio, Fasti, VI, 803); ma costretto a guerreggiare per la difesa dello stato, si dimostrò valoroso come Romolo; perciò Livio, I, 32, 4: et Numae et Romuli memor. Gli si attribuisce la conquista di molte città latine intorno a Roma (Politorio, Tellene, Ficana, Medullia, ecc.), delle quali avrebbe trasportato a Roma gli abitanti, collocandoli sull'Aventino o sul Celio, e dando così origine alla plebe romana, della quale era considerato protettore (cfr. Virg., Aen., VI, 817: nunc quoque iam nimium gaudens popularibus auris). La tradizione più recente sa anche di sue guerre con i Sabini, i Volsci e i Veienti. Ma al suo nome è specialmente legata l'estensione del territorio romano sino alle foci del Tevere e la fondazione della colonia marittima di Ostia. Erano ritenute opera sua le fortificazioni del Gianicolo e il ponte di legno Sublicius sul Tevere, il carcere pubblico ai piedi del Campidoglio e le fossae Quiritium a protezione del territorio romano. Morì di morte naturale.
È molto difficile vedere come si sia formata la tradizione su questo re. La conquista delle piccole città latine intorno a Roma risale indubbiamente all'epoca regia, e per alcune si attribuisce già a Romolo o a Tullo Ostilio; così è certo che il territorio romano verso la foce del Tevere giungeva originariamente solo a sei miglia da Roma, e che la conquista di Ficana e della foce del fiume fu una delle più antiche e importanti imprese di Roma. Ma non sappiamo quale valore abbia l'attribuzione (concorde specialmente per Ostia) di queste gesta ad Anco. Varrone riteneva il suo prenome sabino, altri lo collegava con ancilla, anculare = ministrare, e significherebbe quindi minister, e sarebbe affine al nome Servius del sesto re. Qualche moderno pensò che il nome fosse originariamente Martius, e vi fu chi volle vedere in lui una personificazione del culto di Marte; il nome sarebbe divenuto poi Marcius per influenza della potente famiglia plebea dei Marcii, che arrivò alle alte cariche dello stato già nel IV secolo a. C. e che diede nel 300 i primi membri plebei ai collegi dei pontefici e degli auguri, che tanto influirono sulla prima redazione della tradizione romana. Anzi un ramo dei Marcii, giunto però tardi al consolato (118), portava il cognome di Reges, e la gens in genere vantava la sua discendenza da Anco e da Numa. Poiché il re doveva essere patrizio, alcuni ritengono inammissibile un re col nome di una famiglia che in età storica era plebea. Altri lo ritengono un duplicato di Numa (Numa come sacerdote), e ciò sarebbe dimostrato dal fatto che un Numa Marcius è detto confidente e pontefice di re Numa. Ma si tratta di ipotesi estremamente incerte e spesso prive di ogni base, e ha forse più solido fondamento qualche elemento almeno della tradizione antica, cioè la conquista di Ficana e l'estensione del territorio romano sino alla foce del Tevere.
Fonti: Livio, I, 32-33; Dionigi, III, 36-45; Cicerone, De rep., II, 18.
Bibl.: A. Schwegler, Römische GEschichte, 2ª ed., Tubinga 1867, I, p. 598 seg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 369; E. Pais, Storia critica di Roma, I, Roma 1913, p. 468; H. Last, in Cambridge Ancient History, VII, Cambridge 1928, p. 377.