ANCHILOSTOMIASI (dal nome del genere Ankylostoma, dal gr. ἀγκύλος "curvo, adunco" e στόμα "bocca"; lat. scient. Ankylostoma Dubini; ital. anchilostoma, uncinaria; fr. ankylostome; sp. anquilostoma; ted. Grubenwurm; ingl. hookworm)
L'anchilostomiasi, il cui agente patogeno fu scoperto dal Dubini nel 1838, era nota per le sue gravi manifestazioni cliniche sin da epoche remote nei paesi tropicali e subtropicali. In Egitto era indicata col nome di clorosi egiziana o tropicale. È nota pure coi nomi di uncinariosi, cachessia africana, anemia delle gallerie (Tunnel Krankheit dei Tedeschi), o dei minatori.
Nell'intestino di individui morti con sintomi di grave anemia, il Dubini trovò dei piccoli germi appartenenti al genere Ankylostoma. Il numero di questi parassiti era, in alcuni casi così rilevante da non lasciar dubbio sulla loro importanza patogena.
Il Griesinger trovò nel 1854 l'anchilostoma in casi di anemia grave in Egitto e lo ritenne causa della cosiddetta cachessia africana. Più tardi, nel 1866, il Wucherer trovò l'anchilostoma a Bahia e ritenne che la oppilação brasiliana fosse dovuta allo stesso parassita che produceva la clorosi egiziana.
Gli studî su l'anchilostoma presero poi un notevole sviluppo dacché il Bozzolo nel 1879 attribuì all'anchilostoma la causa dell'anemia dei mattonai e il Perroncito attribuì allo stesso parassita la causa dell'anemia degli operai addetti al traforo del Gottardo.
Questa scoperta del Perroncito, gli studî del Bozzolo e del Pagliani sulla anchilostomiasi dei fornaciai e dei contadini e le osservazioni del Giordano sull'anemia degli zolfatai, destarono nel mondo scientifico il più grande interesse. Infatti nei centri minerarî della Francia, del Belgio, della Germania e dell'Ungheria si era ancora, in quel tempo, nella più completa ignoranza delle cause della grave malattia che faceva strage tra le masse operaie e che da oltre un secolo era nota col nome di anemia o cachessia dei minatori.
La causa di questa malattia, che il Bozzolo chiamò Anchilostomiasi, è dovuta a due specie di Nematodi parassiti delle quali la prima appartiene al genere Ankylostoma Dubini, 1843 (alcuni autori scrivono anche Ankylostomum, Ancylostoma, Anchylostoma, ecc.), secondo genere del gruppo degli Ankylostominae (famiglia Strongylidae) caratterizzato dalla presenza di capsula boccale chitinosa: essa è l'Ankylostoma duodenale (sin.: Strongylus quadridentatus von Siebold. 1851; Dochmius anchylostomum Molin, 1860; Sclerostoma duodenale Cobbold, 1864; Strongylus duodenalis Schneider, 1866; Dochmius duodenalis Leuckart, 1876; Uncinaria duodenalis Raillet, 1885); la seconda appartiene al genere Necator (Stiles, 1903) ed è il Necator americanus Stiles.
Il Necator si distingue anche ad occhio nudo dall'Ankylostoma duodenale (figg. 1 e 2) per la sua porzione cefalica più incurvata sul lato dorsale e pel colorito bruno della borsa caudale del maschio. Microscopicamente si notano delle differenze nella capsula boccale e nell'estremità caudale. Le uova del Necator, ellissoidi come quelle dell'Ankylostoma, hanno il diametro longitudinale maggiore di quello delle uova di Ankylostoma. Lo sviluppo delle uova e quello delle larve si svolge nello stesso modo tanto nel Necator quanto nell'Ankylostoma. L'Ankylostoma duodenale (4 e 5, fig.1) è di un colorito bianco-roseo e si presenta alquanto assottigliato verso l'estremo anteriore.
I maschi sono più sottili, un po' più ricurvi, hanno una lunghezza di mm. 8-10 e sono larghi da 0,4 a 0,5 millimetri, mentre le femmine, più diritte e più grosse, hanno una lunghezza dai 12 ai 13 mm. La capsula boccale è provvista di due serie di denti aguzzi, chitinosi, robusti, unciniformi con la punta rivolta all'interno. Sul fondo della capsula si trovano due laminette taglienti, dette lamine faringee. Il maschio ha la borsa caudale a tre lobi che è sostenuta da undici ispessimenti muscolari. Nel centro della borsa copulatrice si apre la cloaca, da cui escono i due spiculi lunghi e sottili.
La parte posteriore della femmina termina in una coda ottusa conica (9, fig. 2); la vulva si apre verso il terzo posteriore del corpo.
In prossimità del bordo della capsula boccale, come in tutti gli Strongilidi, si apre lo sbocco di due ghiandole cefaliche, la cui secrezione impedisce la coagulazione del sangue. Altre due ghiandole unicellulari, le ghiandole cervicali, occupano circa la metà del corpo del parassita e sboccano, per mezzo di un canaletto escretore, in un poro unico situato verso l'estremita anteriore.
Secondo le esperienze di G. Alessandrini, le ghiandole cervicali e, in parte, anche quelle cefaliche secernono una sostanza tossica che avrebbe azione distruttiva dei globuli rossi del sangue e quindi produrrebbe l'anemia.
L'anchilostoma non si trova frequentemente nel duodeno, ma più spesso nell'intestino digiuno e nella porzione cecale, dove le femmine sono più numerose dei maschi (17 a 6).
Quivi esse depongono le loro uova il giorno che segue quello in cui termina l'accoppiamento. Queste uova sono ellittiche (11, a, fig. 2), ovoidi con guscio molto trasparente e resistente sebbene sottile; hanno una lunghezza di 52 a 65 μ per una larghezza di 32 a 43 μ. Al momento in cui sono emesse presentano da 2 a 4 blastomeri già formati (11, a-b, fig. 2).
Lo sviluppo, bene studiato da Grassi, Parona, Perroncito, Leichtenstern ed altri, si compie nel terreno o negli stessi escrementi, alla condizione però che l'ambiente sia umido, ben aerato e che la temperatura oscilli tra + 18° e + 28° C. Le uova muoiono a +5° C e la loro evoluzione si compie lentamente a + 15° C. Nelle condizioni più favorevoli, l'embrione si muove con movimenti vivaci e prende il nome di larva, che misura una lunghezza di 200 a 210 μ per 14 μ di larghezza. La larva è molto assottigliata all'estremità posteriore. L'estremità anteriore, invece, è ottusa e termina con una bocca munita di tre papille.
La larva detta anche larva rabditoide (10, a, fig. 2) cresce rapidamente. Al terzo giorno subisce una prima muta e raggiunge i 300 μ e verso il quinto e l'ottavo giorno misura 560 μ di lunghezza e 24 μ di larghezza. A questo stadio il tubo digerente diventa rettilineo, il faringe si fa cilindrico, il bulbo faringeo sparisce e si nota un abbozzo di organi genitali (larva strongiloide; (10, b-c, fig. 2). Questa fase di sviluppo rappresenta lo stadio larvale perfetto. Anche la larva non può raggiungere questo stadio se non in presenza d'aria e se nell'ambiente non esiste un certo grado di calore e d'umidità.
L'azione prolungata del sole uccide le larve. Così nei luoghi molto asciutti non vi è pericolo di infestarsi con l'anchilostoma. Infatti tra i Beduini che abitano il deserto, l'anchilostomiasi è sconosciuta, mentre tra i Fellah che abitano nella regione del Delta o lungo le rive del Nilo, la malattia è comunissima. Secondo Previtera le larve giovani, non ancora incapsulate, sono uccise in breve tempo (non oltre le 24 ore) dall'acqua salata al 3-4%, dal. latte di calce e dall'anidride solforosa. Le larve pienamente mature sono già molto più resistenti. Anche le uova, con le soluzioni sopra accennate, non sono distrutte, ma non schiudono. Le larve strongiloidi giunte al maggior grado di sviluppo, siano esse incapsulate o no, possono infestare l'uomo.
L'infezione nell'uomo avviene o per via orale o per via cutanea. Per via orale, le larve arrivate nello stomaco perdono il loro involucro e passano nell'intestino. Quivi cominciano a crescere e subiscono notevoli modificazioni. Dal 5° al 7° giorno avviene una muta, dalla quale esce una larva con capsula boccale provvista di denti, dapprima provvisoria, poi definitiva. Al quindicesimo giorno la larva subisce un'ultima muta, da cui si origina un parassita agamo che misura 25 millimetri di lunghezza, con un diametro maggiore di 120-140 mm. L'accrescimento è piuttosto rapido: si sviluppano gli organi genitali e dopo 4 settimane circa si trovano ddatti e pronti all'accoppiamento. Le larve di anchilostoma possono infestare l'uomo attraversandone la pelle. Fu il Loos che lo dimostrò, applicando le larve sulla pelle d'un arto che doveva essere amputato, e le esperienze del Loos furono confermate da Sandwitt, Anstregesilo, De Menezes, Schaudinn, Alessandrini e molti altri.
Alessandrini ritiene che, di preferenza, le larve debbano, per arrivare all'intestino, seguire una via più breve e più sicura di quella supposta dal Loos, il quale pensa che le larve penetrate attraverso la cute siano dai vasi sanguigni o dai linfatici portate nel cuore destro e da qui nei capillari polmonari. Non potendo oltrepassarli per il loro diametro troppo stretto, ne perforerebbero la sottile parete alveolare e verrebbero così a trovarsi nell'albero respiratorio. Risaliti i bronchi, la trachea e il laringe, scenderebbero poi dal faringe nell'esofago, stomaco, intestino. Il passaggio della larva attraverso la pelle produce una dermatosi, caratterizzata da papule vescicolose, che prende nome diverso nei diversi paesi e fu descritta dal Bozzolo, dal Perroncito e da altri nei fornaciai, nei minatori, e nei solfatai.
L'azione patogena è dovuta, in parte, all'azione traumatica che i denti e le lamine faringee del parassita esercitano sulla mucosa, ma più specialmente all'azione tossica, già sospettata dal De Giovanni che aveva visto la malattia accompagnarsi sempre con gravi alterazioni delle emazie. Alessandrini dimostrò che l'azione tossica eminentemente emolitica, è dovuta alla secrezione delle ghiandole cervicali del parassita.
Sintomi. - I sintomi della malattia, che può durare da 5 a 8 anni (Leichtenstern), sono in rapporto col numero dei parassiti. Spesso i primi sintomi possono sfuggire. Vi sono anzi individui infestati da anchilostomi che per molto tempo presentano l'aspetto di buona salute. Fra le manifestazioni più comuni possono aversi dolori all'epigastrio che si esacerbano alla pressione, dolori intestinali, stomatite, salivazione, vomiti, flatulenza, diminuzione dell'appetito, nausea, desiderio di cibi acidi; irregolarità nella funzione intestinale: talora stipsi, tal altra diarrea. Per quel che riguarda l'apparato circolatorio, si manifesta una leggiera tachicardia e irregolarità di polso; qualche volta, aumento dell'area cardiaca e rumori di soffio sui varî focolai e sulle carotidi. Se l'infestazione è avvenuta nell'infanzia si può avere un arresto o un ritardo di sviluppo. In generale gli ammalati hanno una cute pallida terrea con leggieri edemi alle palpebre, talvolta anche alle estremità, oppure generalizzati. Gli ammalati sono apatici, si stancano facilmente. La pupilla è dilatata quasi costantemente, o si dilata rapidamente (Stiler). Se si costringe l'ammalato a fissare l'osservatore, questa dilatazione delle pupille e l'espressione rigida dell'occhio fa assumere all'ammalato un aspetto stupido e un'espressione cadaverica (Stiler e Craig). Altri sintomi frequenti sono la eefalea, il ronzio auricolare, l'annebbiamento di vista, le vertigini, la debolezza muscolare, le nevralgie, specie alle ginocchia e alle spalle. Il riflesso patellare è spesso diminuito o mancante (Sandwitt). Insorgono spesso dolori muscolari specie dopo qualche strapazzo. La temperatura è di solito normale. Si ha qualche volta febbre quando vi siano complicanze intestinali. Urine di solito normali; raramente albuminuria. All'esame microscopico si trovano le uova del parassita talvolta associate a quelle di altri elminti. Il sangue è più fluido del normale: qualche volta difficilmente coagulabile. L'emoglobina diminuisce in proporzione della gravità della malattia. Si è visto talvolta il tasso scendere al 27-13%. Le emazie sono molto diminuite. In un caso mortale il Craig rinvenne solo 810.000 emazie per millimetro cubo. Si nota quasi sempre poichilocitosi. Si riscontrano microciti: qualche volta, in piccola quantità, normoblasti e megaloblasti. Vi è intensa eosinofilia (13-15% e in alcuni mesi anche di più), specialmente all'inizio della malattia. I casi a decorso mortale molto rapido sono rari. All'autopsia, oltre alle ricordate alterazioni ematiche, si nota un'accentuata metamorfosi grassosa di quasi tutti gli organi. La mucosa intestinale del tenue, ma più specialmente quella del digiuno, presenta strie di infiltrazioni sanguigne al cui centro in genere si trova il parassita.
Diagnosi. - L'esame del sangue, la presenza di eosinofilia possono farci sospettare la natura della malattia; ma la diagnosi si fonda specialmente sulla presenza nelle feci delle uova del parassita che per le loro caratteristiche si distinguono da quelle di altri parassiti.
La distinzione tra le uova dell'Ankylostoma e quelle del Necator si basa specialmente sulla misura di uno dei loro diametri. Difatti le uova del Necator possono raggiungere una lunghezza di 76 μ mentre quelle dell'Ankylostoma non superano i 52-65 μ.
Distribuzione geografica. - Darling ritiene che l'Anhylostoma duodenale si trovi in tutti i paesi dell'Europa e dell'Asia situati tra i paralleli 35° e 20° nord, e ad una latitudine anche più a N. del 35° parallelo, nelle miniere calde.
Questa specie sarebbe stata importata nel continente americano dai coolies venuti dall'India e da Giava. Anche il Necator amenicanus sarebbe notevolmente diffuso in Europa e in Asia, in Africa, in India, in Polinesia a S. del 200 grado di lat. N., e vicino al tropico del Cancro, spesso associato all'anchilostoma duodenale. In America questa specie è stata importata da schiavi cafri venuti dall'Africa e da coolies provenienti dalle Indie inglesi.
A dimostrare che la distribuzione geografica dell'anchilostoma ha limiti assai estesi, basterebbe ricordare l'osservazione di Stockmann che ha rinvenuto l'anchilostoma in Scozia al 57° grado di latitudine: ciò che prova come il parassita abbia poteri di adattamento notevoli e possa diventare pericoloso anche in paesi dove le condizioni di clima npn ne farebbero sospettare l'esistenza.
Secondo i calcoli della commissione Rockefeller, che dal 1910 ha intensificato la lotta contro l'anchilostoma in molte parti del mondo, quasi 500 milioni di individui vivrebbero in paesi dove è frequente il parassita. Non dappertutto però l'anchilostomiasi è diffusa con la stessa intensità; ma vi sono regioni e località dove la percentuale dei colpiti raggiunge cifre impressionanti. A Porto Rico, per esempio, si trovarono infestati 90 su 100 dei lavoratori di quelle piantagioni di caffè, e la stessa percentuale si trovò fra le popolazioni della Columbia. Nella Guiana francese si ebbe il 35% di infestati tra la popolazione civile, il 50% tra i soldati di guarnigione e fino all'88% tra i prigionieri. Nel Natal si ebbe il 50% di infestati tra i coolies addetti alle piantagioni del tè e della canna da zucchero, e fra la popolazione di Ceylan il 90%. In quasi tutta l'India si può calcolare una percentuale dal 60 all'80%, e press'a poco nelle stesse proporzioni si trovano infestate molte regioni cinesi. In Egitto, in seguito all'inchiesta ordinata da quel governo nel 1914, su 29.281 individui esaminati se ne trovarono infestati dal 60 all'80%, e 11.280 furono ricoverati in ospedali. In Italia, la regione dove si è riscontrata più frequentemente l'anchilostomiasi tra i lavoratori della terra è l'Umbria. L'anchilostomiasi è poi assai diffusa in tutti i centri zolfiferi tra i minatori, mentre è rara tra i contadini e nelle famiglie stesse degli zolfatai. Una commissione governativa costituita nel 1898 calcolò nelle zolfare una percentuale del 50% di colpiti. Un'inchiesta fatta molti anni dopo, sotto la direzione di Trambusti, da Amato e Gabrielli nelle zolfare di Sicilia, diede invece una percentuale di oltre 74% di colpiti. In questi ultimi tempi la percentuale deve essere molto diminuita per le misure igieniche adottate dagl'industriali.
Riguardo alla cura dell'anchilostomiasi molti sono stati i rimedî proposti e sperimentati (timotal, teniolo, embellato d'ammonio, beta-naftolo), ma i più efficaci restano sempre l'estratto etereo di felce maschio e il timolo. Anzi, molti anni fa, vi fu una proposta di legge tendente a stabilire in Italia un monopolio di stato per la vendita del timolo, in considerazione che l'anchilostomiasi non è solo una malattia professionale, ma anche una malattia sociale.
Di recente Schüffner e Verwort hanno proposto l'olio di chenopodio (olio essenziale ricavato dal Chenopodium anthelminticum). È probabile che questo sia un rimedio più efficace contro il Necator che contro l'Ankylostoma. Nelle zolfare di Sicilia dove è diffuso l'anchilostoma, il rimedio non ha dato risultati soddisfacenti.
Le numerose campagne organizzate dalla commissione Rockefeller hanno dimostrato che nella lotta contro l'anchilostoma la cura medicamentosa ha poca importanza se non sono prese nello stesso tempo quelle misure profilattiche che sole possono dare dei risultati soddisfacenti.
Di una razionale ed efficace profilassi si sono avuti, tra gli altri, begli esempî tanto nella meravigliosa lotta contro l'anchilostoma intrapresa dal governo americano nell'isola di Costa Rica e negli Stati Uniti, quanto nella campagna intrapresa dal Knappskhaftverein contro la diffusione del parassita nelle miniere della Vestfalia e per la quale furono spesi oltre 3 milioni di marchi in soli quattordici mesi.
Le misure igieniche da prendersi per un'efficace lotta contro l'anchilostomiasi consistono nell'isolamento degli ammalati, nell'evitare l'inquinamento del suolo e nell'istituzione quindi di latrine razionali nelle miniere e nei luoghi di lavoro dove si agglomerano gli operai; nell'impedire la contaminazione dei cibi e dell'acqua potabile; nella bonifica delle miniere infestate, per mezzo di soluzioni di acido fenico al 5% o di cloruro di calce al 20% o di solfato ferroso al 20%. Nelle località dove il costo del sale da cucina è minimo, si potrà adoperare il cloruro di sodio in soluzione al 20%, o sparso allo stato cristallino se il terreno della miniera è abbastanza umido. Ma soprattutto si dovrà ricorrere, per mezzo d'opuscoli e di conferenze pratiche e di dimostrazioni cinematografiche, all'educazione dei lavoratori, diffondendo le conoscenze sui pericoli dell'anchilostomiasi e sui mezzi adatti per prevenirla. Questa propaganda educativa è stata fatta mirabilmente dalle commissioni americane che hanno potuto constatarne gli effetti veramente utili.
Bibl.: Una bibliografia molto estesa è la Bibiography of Hookworm disease, pubblicata dall'International health Board of the Rockefeller Foundation, New York 1922; v. anche il capitolo di G. Alessandrini sui Nematodi patogeni, nel trattato di A. Lustig, Malattie infettive dell'uomo e degli animali, Milano 1923.