ANARCHIA (dal gr. ἀ[ν] privativo, ἀρχή "signoria, governo"; fr. anarchie; sp. anarquia; ted. Anarchie; ingl. anarchy)
È termine diventato di largo uso nel linguaggio filosofico e politico della seconda metà del secolo decimonono. Stando al significato etimologico della parola (dalla quale sono pure derivati i termini di: anarchico, anarchismo, anarchista), con essa si vuole esprimere, nei rapporti tanto dell'individuo quanto della società, la mancanza assoluta di governo da parte di un potere estraneo e superiore all'uno e all'altra, epperò la libertà assoluta dell'individuo nel dispiegamento della sua attività ed energia, e della società nella costituzione de' rapporti e dei suoi istituti. Un concetto di tale natura può sorgere, e sorse in fatti, sulla base di presupposti filosofici diversi: il presupposto sensista-egoistico, il presupposto razionalista-libertario, il presupposto istintivista o volontarista. Infatti si può ragionare così: se il movente fondamentale della vita umana è la ricerca del piacere sulla base delle sensazioni, le quali sono la vera fonte della conoscenza, e se, di conseguenza, soltanto l'individuo può essere giudice competente del proprio maggiore, o anche migliore, piacere, e, sia pure con l'aiuto dell'esperienza ereditata dagli avi e dell'esperienza altrui, giudice anche dei mezzi più acconci per il conseguimento del proprio piacere e della propria felicità, ne viene che qualunque intervento il quale, col pretesto di assicurare la felicità medesima, alteri il criterio o limiti o costringa l'attività dell'individuo, è ingiustificato, e che invece è giustificata la massima libertà di ogni individuo nella conquista dei proprî beni. Quanto poi alla coesistenza degli individui e dei loro fini e delle loro singole attività nella vita sociale, essa poggia sulla natura medesima degl'interessi individuali che, venendo in rapporto fra di loro, si accordano naturalmente sulla base di un calcolo delle maggiori utilità.
Oppure si può ragionare in quest'altro modo: se l'essenza spirituale dell'uomo sta nell'esercizio della ragione, cioè del potere di formulare principî universali e di ridurre sotto di essi tutti i principî particolari e individuali, e se la volontà, o il potere pratico dell'uomo, trova appunto in quell'esercizio della ragione il suo criterio direttivo supremo e il suo motivo veramente umano; se, in altre parole, la facoltà di dare leggi a sé stesso, e di darsele, quindi, liberamente, è la vera caratteristica dell'umanità, si deduce che ogni uomo ha diritto di essere lasciato all'assoluto e puro governo di sé stesso, e che ogni intervento straniero rivolto a imporgli leggi o a disconoscere o diminuire in lui l'autonomia è ingiustificato, e che insomma l'assoluta libertà degl'individui è la condizione fondamentale della realizzazione dell'umanità.
E infine si può anche ragionare così: se la radice dell'attività umana, o teoretica o pratica, è negl'istinti profondi che portano l'uomo o verso l'amore o verso la scienza o verso la potenza, ed essi, poi, per il loro stesso impeto nativo, riescono a conquistarsi i mezzi e ad aprirsi la via per il proprio soddisfacimento, e se ogni individuo, come fascio di energie attive, è incomparabile con ogni altro, perché le tendenze e gl'impulsi suoi hanno nella sua precisa costituzione la propria radice, e sono tanto più produttori di vita, quanto più rivelano tale individualità, ogni inquadramento di individui entro schemi fissi e sotto poteri e leggi di organizzazione è, per un lato, offensivo del diritto primordiale dell'individuo stesso, per un altro, compressivo e soffocatore dell'unica vera e inestinguibile fonte di vita, che è appunto l'individuo.
Ma è evidente che nel primo concetto s'annida un duplice errore fondamentale, di concepire la sensazione come unica origine della conoscenza, e la ricerca del piacere come unico motivo della condotta; che nel secondo vi è pure l'errore fondamentale di fare della ragione astratta il principio motore della condotta morale con esclusione di ogni sentimento disinteressato, e dell'individuo isolato la vera e unica realtà; che nel terzo s'annida il duplice errore, di ridurre l'umanità all'irrazionalità e cecità dell'istinto e tuttavia di considerare questo come divino nella sua essenza.
Le tre vie filosofiche diverse, che qui abbiamo esposte e riassunte in maniera, per necessità, un po' schematica, furono, in realtà, percorse da varî pensatori tra la fine del secolo decimottavo e la fine del decimonono, dando origine, così, alle diverse dottrine anarchiche. Quantunque i germi di esse si possano, per avventura, rintracciare in talune proposizioni di J. J. Rousseau (Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes, 1752; Contract social e Émile, 1762) e in alcuni filosofi tedeschi della sinistra hegeliana, quale il Feuerbach e, meglio, nei socialisti francesi quali Saint-Simon e Fourier, e nella dottrina individualista dello Spencer; pure è certo che dottrine o teorie dell'anarchismo, inteso principalmente ne' suoi rapporti con la politica e con l'economia, che furono quelli dai quali più venne di rinomanza e di efficacia spirituale e pratica all'anarchia, non si trovano che a cominciare dalla metà circa del sec. XIX, mescolate, spesso, con elementi di dottrine socialistiche, dalle quali però esse si sforzano di liberarsi. A prescindere da quel William Godwin, che nell'opera An enquiry concerning political justice and its influence on general virtue and happiness (Londra 1793) concludeva che non si può, senza offendere la libertà individuale di coscienza, attribuire allo stato né una funzione legislativa né una esecutiva, e che pertanto si deve lavorare alla dissoluzione del governo politico, più ampî sviluppi della dottrina, su basi o sensistiche o razionali o volontaristiche, si trovano in pensatori francesi, tedeschi e russi. In P. J. Proudhon (1809-1865) si suole indicare uno dei primi teorici dell'anarchia, principalmente per le sue opere: Qu'est-ce que la propriété (1840), e La justice dans la Révolution et dans l'Èglise (1858); e infatti si trovano in esse critiche acute delle istituzioni economiche giuridiche e religiose, e proposizioni come queste: "anarchia, assenza di padrone, di sovrano, tale è la forma di governo a cui noi ci avviciniamo ogni giorno" o come quest'altra: "l'uomo solo ha il diritto di giudicarsi; la giustizia è un atto della coscienza, essenzialmente volontario: ora la coscienza non può essere giudicata, condannata o assolta che da sé stessa"; "l'anarchia temuta come flagello, sia infine accettata come un beneficio"; ed egli pronosticava, come effetto della rivoluzione, una società, non più retta da sovrani, da leggi, da magistrati, da governi, bensì da liberi patti tra le categorie dei produttori, dalla identità riconosciuta degli interessi.
Ma va più a fondo nella critica dei principî filosofici e delle istituzioni onde è organizzata la società civile, ed è più chiaro e coerente nelle sue costruzioni teoretiche, un altro pensatore, Max Stirner (pseudonimo di J. K. Schmidt: 1806-1856), che per la sua opera (v. bibl.) può considerarsi il vero filosofo dell'anarchismo. Sulle basi di una critica accanita di tutte le idealità sociali, morali e religiose, che si riassumono nel pensiero cristiano e nelle sue derivazioni filosofiche, lo Stirner erige il suo pensiero, che è la rivendicazione dell'individuo nella nudità e assolutezza del suo egoismo, il quale è, a sua volta, inteso come pregnante di tutti i beni che la storia ha conquistati, e che l'individuo, unica realtà, unifica nella forza imperiosa e direttiva del proprio isiintivo volere: al di fuori o al di sopra di esso non vi è nulla di reale o di autorevole; e il suo diritto si estende tanto quanto il suo potere: "la mia potenza è la mia proprietà". Quindi nessun ideale, nessuna legge, nessun vincolo si propone o s'impone all'Unico, e la società non può essere che l'accostamento degli egoismi, ciascuno dei quali l'accetta in quanto trovi in essa l'accrescimento di sé stesso, della propria potenza e gioia. La negazione anarchica delle istituzioni e leggi morali, giuridiche, politiche, economiche, religiose, è qui portata all'estremo, e dedotta logicamente dalle premesse fondamentali dell'individualismo assoluto, costruito sulla base del realismo istintivista. Con una diversa interpretazione della natura individuale, ma ad ogni modo sempre facendo assegnamento sopra istinti primordiali e sui relativi bisogni di soddisfacimento, hanno svolto teorie anarchiche alcuni pensatori e agitatori russi come Michele Bakunin (1814-1876), Pietro Kropotkin (1842), Leone Tolstoj (1814-1910). Il Bakunin, formatosi in giovinezza negli studî del Fichte e del Hegel, passato poi alla filosofia positiva di A. Comte, ha esposto nei suoi numerosi scritti, più che una dottrina dell'anarchismo, una serie di riflessioni tra filosofiche, sociologiche e politiche, nelle quali residui razionalistici ed elementi materialistici si trovano accostati più che rifusi. Il concetto fondamentale rimane sempre la negazione del "principio fatale e maledetto" dell'autorità tanto umana come divina, tanto dello Stato e della Chiesa quanto di Dio e della Provvidenza, e la riaffermazione della solidarietà naturale che lega tutti gli uomini nel soddisfacimento dei loro bisogni. "Distruggete tutte le istituzioni della disuguaglianza: fondate l'uguaglianza economica e sociale di tutti, e sopra questa base si eleverà la libertà, la moralità, l'umanità solidale di tutti". Il Bakunin rimane, in fondo, un credente in quei medesimi principî di dignità umana, di fratellanza, di giustizia, che deride e disprezza quando li vede pronunciati dall'alto di una cattedra, di un trono o di un altare; ma li ammette come risultati possibili soltanto in una costituzione anarchica, nella quale la libertà degl'individui, come sorgente e condizione assoluta di ogni bene, e la libera federazione degl'individui, delle associazioni, dei comuni, dei distretti, delle provincie e delle nazioni siano realizzate. Il Kropotkin, altro emigrato dell'alta aristocrazia russa, che andò con la parola e con gli scritti numerosi predicando l'anarchia nelle varie nazioni d'Europa, si era formato, anziché negli studî filosofici, in quelli scientifici, principalmente di geografia e di scienze naturali; e portò nella sua concezione quell'impronta originaria, perché, secondo lui, la natura stessa insegna che tutto risulta dalla libera attività degli elementi individuali anche minimi, i quali da sé stessi, secondo le loro forze attrattive e i loro bisogni, si organizzano. Il Tolstoi, invece, non partiva né da premesse filosofiche né da proposizioni scientifiche, ma dall'intuizione religiosa o, anzi, mistica dell'amore, come principio fondamentale ed essenziale dell'uomo, che solo può originare "la vera vita". A vivere moralmente basta l'amore, e all'anima che vive d'amore nessuna limitazione, nessuna legge può esser posta, né di Chiesa né di Stato, né di esercito né di tribunale né di sacerdozio. È un anarchismo più morale che politico ed economico, più ascetico-mistico che filosofico; ma non fu senza efficacia nella diffusione e nella pratica delle idee anarchiche.
Le quali, infatti, penetrando nel campo dell'azione diedero origine, specialmente nei cervelli più facili ad esaltarsi e nei cuori meno generosi, a moti rivoluzionarî in varî stati d'Europa e d'America, rivolti a rovesciare i governi costituiti, e a fatti di sangue rivolti a sopprimere i capi degli stati. Preceduti e accompagnati da un'attiva propaganda fatta negli ultimi tre decennî del sec. XIX per mezzo di libri e opuscoli, di giornali e di riviste (ricordiamo: L'avant-garde di Bakunin, Chaux-de-Fonds 1878; Le révolté, Ginevra 1879; La révolte, Parigi 1886, di Kropotkin; Freedom, Parigi 1886, pure del Kropotkin; Liberty, fondato a Boston nel 1881 da B. T. Tucker; Die Freiheit, fondato a Londra nel 1880 dal tedesco G. G. Most); suscitati e quasi giustificati dai Congressi anarchici (ricordiamo: Albany 1878; Alleghany City 1879; Saint-Imier 1872; Berna 1876; Friburgo 1878; Londra 1881; Ginevra 1882; Capolago 1891, con intervento degl'italiani Malatesta, Saverio Merlino e Amilcare Cipriani; Chicago 1893; Londra 1896), i moti rivoluzionarî e i fatti di sangue si succedettero in quasi tutti gli stati d'Europa e d'America. Ricordiamo: 1892, gli attentati del Ravachol in Francia e Spagna; poi, 3 dicembre 1893, l'attentato del Vaillant contro la Camera francese dei deputati; nel febbraio (12) e nell'aprile (4) del 1894, gli attentati del Henry contro gli alberghi e ristoranti francesi; la uccisione del presidente Carnot (Lione, 23 giugno 1894), compiuta dall'italiano Caserio; gli attentati spagnoli nel 1896 e l'uccisione del presidente Canovas del Castillo (8 agosto 1897); l'assassinio dell'imperatrice Elisabetta (10 settembre 1898) da parte del Luccheni; l'attentato del 1900 contro il principe di Galles; l'assassinio di re Umberto (29 luglio 1900) per opera del Bresci; l'assassinio del presidente Mc Kinley (Buffalo 1901) per mano del Czolgosz.
Contro tali nefandezze ed eccidî si promulgarono nei diversi stati leggi di difesa e di repressione, fra le quali ricorderemo la legge belga del 25 marzo 1891 per reprimere la provocazione a commettere crimini o delitti, la legge francese del 24 luglio 1894 contro le mene anarchiche, le leggi italiane 19 luglio 1894 e 17 luglio 1898, e la legge degli Stati Uniti 10 luglio 1902.
Bibl.: Sull'anarchia vedi; M. Nettlau, Bibliographie de l'anarchie, Bruxelles 1897; E. Zoccoli, L'anarchia, Torino 1907; C. Lombroso, Gli anarchici, Torino 1894; G. Vidari, L'individualismo nelle dottrine morali del sec. XIX, Milano 1909; E. Sernicoli, Gli anarchici, Milano 1892; G. Weill, Histoire du mouvement social en France, Parigi 1924; Adler, A., in Handwörterbuch der Staatswissensch., 2ª ed., Iena 1900; V. E. Orlando, A., in Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1892; G. Mosca, Elementi di scienza politica, Roma 1896; V. Basch, L'individualisme anarchiste, Parigi 1904.
Opere d'anarchici: P. J. Proudhon, Øuvres, 1868-76, voll. 33; M. Bakounine, Øuvres, Parigi 1895-1913, voll. 6; P. Kropotkine, L'anarchie, sa philosophie son idéal, 3ª ed., Parigi 1904; id., La conquête du pain, 8ª ed., Parigi 1904; J. H. Mackay, Les anarchistes, Parigi 1904; É. Reclus, L'évolution, la révolution et l'idéal anarchique, 2ª ed., Parigi 1904; M. Stirner, Der Einzige und sein Eigentum, Lipsia 1845 (traduz. ital., Torino 1902); L. Tolstoï, Paroles d'un homme libre, Parigi 1901; id., La vera vita, Milano 1902; J. Grave, L'anarchie, l'individu et la société. La société mourante et l'anarchie, Parigi 1893; Ch. Malato, De la Commune à l'anarchie, Parigi 1894 e Philosophie de l'anarchie, Parigi 1897; A. Lorulot, Les théories anarchistes, Parigi 1913.