TESSARI, Amedeo
(Duccio). – Nacque a Genova l’11 ottobre 1926, figlio di Amedeo, industriale veneziano trasferitosi a Genova, e di Cesarina Bussotti, attrice di filodrammatica con il nome d’arte di Cesarina Guazzelli.
Nel capoluogo ligure nel 1951 esordì come operatore per il cinegiornale Mondo Libero e in seguito, fino al 1955, si dedicò alla realizzazione di documentari come Pilota del porto, Fiori a Sanremo e Lassù nelle montagne. Nel 1953 sposò la genovese Laura Viola (nata nel 1933), costumista teatrale, da cui ebbe i figli Cristiano (1954) e Monica (1955). Trasferitosi a Roma, ebbe i suoi primi contatti con il cinema commerciale collaborando con Ennio De Concini e Wolfgang Staudte alla sceneggiatura del film Pezzo, capopezzo e capitano (1958), produzione italo-tedesca diretta dallo stesso Staudte. L’anno dopo conobbe Sergio Leone collaborando con lui alla sceneggiatura di Gli ultimi giorni di Pompei di Mario Bonnard. In quegli anni, a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, Tessari fu uno dei più richiesti sceneggiatori del genere storico-mitologico, altrimenti definito peplum, firmando, spesso con altri, i copioni di film di grande successo popolare come: Cartagine in fiamme (1959) di Carmine Gallone, Il Colosso di Rodi (1961) di Leone, Ercole al centro della terra (1961) di Mario Bava. Sul set di uno di questi film, Messalina Venere imperatrice (1960) di Vittorio Cottafavi, Tessari conobbe la giovanissima attrice Lorella De Luca (nata a Firenze il 17 settembre 1940 e morta a Civitavecchia il 9 gennaio 2014) che successivamente sposò in seconde nozze, il 28 gennaio 1972, e da cui ebbe le figlie Federica e Fiorenza (quest’ultima, nata il 21 ottobre 1968, ha intrapreso in seguito la carriera di attrice, venendo diretta anche dal padre): De Luca non è stata solo la compagna di vita del cineasta ligure, ma anche una stretta collaboratrice, prima come interprete e poi come aiutoregista.
Nel contesto del peplum Tessari debuttò nella regia con un film che letteralmente smitizzava l’universo del cosiddetto sandalone ricorrendo a forti dosi d’ironia: Arrivano i titani (1962). Il film fu anche occasione per la prima collaborazione con l’attore romano Giuliano Gemma, qui protagonista nel ruolo del simpatico Krios con tanto di capelli ossigenati, destinato a diventare una sorta di attore feticcio per il regista ligure. Più convenzionale, ancorché corretta dal punto di vista formale, appare la seconda regia di Tessari, Il fornaretto di Venezia (1963), dal romanzo di Francesco Dall’Ongaro, già più volte portato sullo schermo, fin dai tempi del cinema muto. Nel 1964 collaborò con Sergio Leone, senza essere accreditato nei titoli, alla sceneggiatura di Per un pugno di dollari, il film che inaugurò la felice stagione del cosiddetto western all’italiana, un fortunato filone produttivo in cui elementi della mitologia classica si fondevano con scenari nordamericani ricreati in Italia e Spagna. Nel 1965 diresse due film, che vennero accolti in modo molto diverso: uno è Una voglia da morire, cupa storia di dissoluzione morale in un contesto alto-borghese, l’altro è Una pistola per Ringo, primo di una serie di western che Tessari realizzò distaccandosi in modo netto dalla lezione ‘leoniana’. Il Ringo di Tessari, cui offre la sua franca maschera Gemma, è un pistolero scanzonato, che filtra tutto quello che gli accade intorno con uno sguardo ironico, senza dare mai l’impressione di prendersi troppo sul serio, da vero e proprio antieroe. Il personaggio, ancora interpretato da Gemma, venne ripreso nel successivo Il ritorno di Ringo, sempre realizzato nel 1965: contrariamente a quanto lascia pensare il titolo, le caratteristiche del protagonista cambiano completamente rispetto alla prima pellicola, in direzione di una maggiore cupezza e decisi afflati melodrammatici. Il film è un adattamento in chiave western dell’Odissea: narra infatti la storia di un soldato reduce dalla guerra di secessione che ritorna nel suo villaggio di origine per scoprire che la sua città e la sua famiglia sono vessati da una banda di messicani.
Tra il 1964 e il 1966 Tessari girò anche due pellicole del filone spionistico, originato dal successo dei film dedicati alle gesta dell’agente James Bond: il primo, La sfinge sorride prima di morire - Stop Londra (1964) è abbastanza in linea con il resto degli pseudo 007 italiani, il secondo, Kiss Kiss Bang Bang (1966), invece, ne costituisce una vera e propria parodia, o meglio riflessione metatestuale, in quanto la già scarsa credibilità del modello viene portata alle estreme conseguenze, introducendo anche il personaggio di un piccione parlante.
Fin dai suoi primi passi come regista Tessari dimostrò una netta inclinazione alla sperimentazione dei generi, alla loro contaminazione, risultando uno dei registi più eclettici del nostro cinema, ma al contempo anche uno dei più personali: nel suo cinema è sempre possibile riconoscere dei marchi distintivi, anche sul piano stilistico e tecnico, in cui egli privilegia movimenti di macchina come le carrellate in avanti e all’indietro che inducono alla costruzione di uno spazio geometrico, calibrato su raffinate simmetrie, che si sviluppa nella profondità di campo.
Assecondando una sostanziale curiosità e una voglia totalizzante di cimentarsi con approcci inediti per il cinema italiano a lui contemporaneo, nel 1967 diresse Per amore... per magia..., con Gianni Morandi nel ruolo di Aladino e Mina in quello della maga Aichesaide: contrariamente a quanto lascia presupporre la presenza del cantante bolognese, non si tratta di un ‘musicarello’, ovvero di un film dove il cantante di turno sciorina il suo repertorio più legato all’attualità del mercato discografico, ma di un vero e proprio musical, un genere come noto pochissimo frequentato dal nostro cinema (un altro raro esempio è costituito da Carosello napoletano, di Ettore Giannini, del 1954). Cambiando ancora generi, nel 1968 Tessari mise mano a I bastardi, duro noir ‘edipico’, con Gemma, Klaus Kinski e Rita Hayworth, osteggiato dalla censura e realizzato con due diversi finali, e a Meglio vedova, commedia sofisticata ed elegante, con Virna Lisi e Gabriele Ferzetti, che prende bonariamente di mira certi stereotipi sociali del Meridione d’Italia. Sempre con Gemma, nel 1969, lavorò in Vivi o preferibilmente morti, un western comico in cui recita anche il pugile Nino Benvenuti e che, con il senno di poi, si può anche considerare una sorta di anticipazione di Lo chiamavano Trinità (1970). Nel 1970 diresse un film rimasto praticamente invisibile e martoriato dalla censura, Quella piccola differenza, in cui Pino Caruso interpreta un uomo a cui i medici dicono che nel suo corpo è in atto una trasformazione che lo porterà a diventare una donna. L’anno dopo tornò al western con Viva la muerte... tua!, interpretato da Franco Nero ed Eli Wallach, film inizialmente destinato al regista Sergio Corbucci che Tessari condì con lo humour ironico che lo contraddistinse. Tra il 1970 e il 1971 irrobustì le fila dei registi italiani che si dedicavano al ‘giallo’, ovvero al filone del thriller inaugurato da Dario Argento, con due film, La morte risale a ieri sera, tratto da I milanesi ammazzano il sabato di Giorgio Scerbanenco, e La farfalla con le ali insanguinate, in cui dimostrò di gestire in modo egregio i meccanismi della suspense, cui fece seguito nel 1974 L’uomo senza memoria, brillante variazione di gusto kafkiano sul genere. In mezzo ancora un film singolare e unico nel panorama storico del cinema italiano, una pellicola sulle frecce tricolori, Forza G (1972), cui seguirono un film di guerra di buon impianto produttivo e robusto cast (comprendente tra gli altri, Rod Steiger, Rod Taylor, Rosanna Schiaffino, Claude Brasseur), Gli eroi (1973), e una pellicola esemplata sul filone della cosiddetta blackploitation, ovvero il cinema d’azione prevalentemente rivolto al pubblico dei neri americani, Uomini duri (1974), con Lino Ventura e il cantante Isaac Hayes.
In quel periodo diresse per due volte l’attore francese Alain Delon, prima in Tony Arzenta (1973), noir fiammeggiante che ha poco da invidiare ai modelli melvilliani, e poi in Zorro (1975), film per famiglie realizzato con grande senso dello spettacolo, ricco di scene in cui l’abilità degli stuntmen viene esaltata dai movimenti della macchina da presa e da un montaggio serrato che imprime un eccellente ritmo visivo. Sempre attento ai gusti popolari, autore di un cinema che non rinuncia alla sintonia con il pubblico anche generalista, nel 1976 licenziò La madama, un film con un giovane Christian De Sica, agli esordi come protagonista assoluto, che rovescia, in termini parodistici e quasi comici, l’allora imperante filone del poliziesco all’italiana, e Safari Express, di genere esotico-avventuroso, con Gemma, Jack Palance, Ursula Andress e lo scimpanzé Biba, tutti e tre già protagonisti del precedente Africa Express (1975) di Michele Lupo.
A partire dalla fine degli anni Settanta la prolificità di Tessari conobbe più di una battuta d’arresto: la concorrenza della televisione e il conseguente calo degli spettatori misero in crisi quel cinema popolare di cui il regista ligure era uno dei più importanti autori.
Non sorprenda la definizione di autore in luogo di quella abusata di artigiano, in quanto non va dimenticato che Tessari da buon sceneggiatore mise sempre mano ai copioni dei suoi film, che firmava anche con dei camei alla Hitchcock, effigiato sullo schermo con l’immancabile garofano rosso. Seguiva inoltre personalmente tutte le fasi di realizzazione dell’opera, dall’idea iniziale al doppiaggio, ricorrendo a un nutrito numero di collaboratori abituali, come il direttore della fotografia Giulio Albonico, l’operatore alla macchina Nino Celeste, il musicista Gianni Ferrio, il montatore Mario Morra e il maestro d’armi Nazzareno Zamperla. D’altra parte anche le sue scelte filmografiche, così peculiari, la sua volontà di non aderire ai codici consolidati dei generi ne fanno un cineasta dalla cifra personalissima. In questa direzione possiamo considerare un film come L’alba dei falsi dei (1978), ricostruzione ‘viscontiana’, in quanto provvista di un accurato impianto filologico e figurativo, dell’ascesa del nazismo, intessuta di temi psicanalitici, molto lontana da quell’ironia che molti vorrebbero unico elemento identificativo del regista.
Gli anni Ottanta per Tessari furono anni di sostanziale ripiegamento: sono solo tre i titoli che realizzò per il grande schermo, privilegiando originali e sceneggiati per il piccolo. Del 1981 è Un centesimo di secondo, film a carattere sportivo con il campione di sci alpino Gustav Thöni; del 1985 Tex e il signore degli abissi – con Gemma nei panni dell’eroe creato per i fumetti da Sergio Bonelli – sorta di episodio pilota di una serie western della RAI che non ebbe comunque il seguito auspicato anche perché il western autoctono era ormai definitivamente tramontato da oltre un lustro; del 1989 C’era un castello con quaranta cani, prodotto per famiglie a tematica ecologista con il piccolo Totò Cascio, già protagonista di Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Tra gli anni Ottanta e Novanta, lavorò a molte produzioni televisive, assicurando come al solito la qualità di regie impeccabili: particolare successo (una media di 8 milioni di spettatori a puntata) arrise alla miniserie televisiva Il principe del deserto (1991), con Rutger Hauer, Kabir Bedi e Carol Alt, ma va ricordata anche la miniserie Guerra di spie (1989), dai racconti di Corrado Augias, che si avvalse di un’efficace ricostruzione storica.
Morì a Roma il 6 settembre 1994, a sessantotto anni, a causa di un tumore che lo affliggeva da tempo.
Fonti e Bibl.: L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti. 1960-1969, a cura di F. Faldini - G. Fofi, Milano 1981; L. De Luca, C’era una volta il western italiano, Roma 1987; F. Melelli, Kiss kiss... Bang bang. Il cinema di D. T., Milano 2013.