RENIER, Alvise
RENIER, Alvise. – Primogenito del cavaliere Federico di Alvise, del ramo a S. Pantalon, e di Maria Garzoni di Filippo, nacque a Venezia alla fine del 1492.
Aveva poco più di vent’anni quando il padre si risposò con una figlia del procuratore Antonio Erizzo, vedova di Girolamo Morosini; le aderenze così acquisite gli dischiusero nuove prospettive politiche, delle quali però fu il figlio a fare le spese, dovendo rinunciare a intraprendere la carriera politica di livello senatorio per ripiegare su magistrature meno prestigiose.
Pertanto il 4 novembre 1515 Renier fu eletto avvocato per le Corti, dove fu confermato sino al 1517; dopo di che non dovette giovargli l’incidente in cui incorse il 13 dicembre 1518, quando venne espulso dal Maggior consiglio con l’accusa di aver imbrogliato durante un’elezione. Riprese la carriera solo cinque anni dopo, quando il 30 settembre 1523 risultò eletto ufficiale all’Estraordinario, ossia alla riscossione dei diritti doganali sulle navi mercantili; seguirono anni di mancate nomine sino al 31 marzo 1527, allorché entrò a far parte della Quarantia criminale, quindi fu eletto savio agli Ordini per il semestre ottobre 1527 - marzo 1528 e il 24 agosto 1529 nella Quarantia civil vecchia, donde il 15 maggio 1530 passò ufficiale al Cattaver. Seguirono altre magistrature di rango minore: provveditore sopra i Conti il 17 agosto 1533, savio sopra le acque del Chiampo il 2 gennaio 1537. Una svolta importante nella sua carriera si verificò il 21 ottobre 1537, quando risultò eletto rettore alla Canea, nell’isola di Creta; ottenuta una dilazione alla partenza dopo aver acquistato per 500 ducati la nomina a senatore, pronunciò in Pregadi un violento discorso contro i turchi che avevano mosso guerra alla Repubblica, caldeggiando l’alleanza con Carlo V e il papa Paolo III.
Al termine della permanenza a Creta (autunno 1540), il 1° luglio 1541 venne eletto dei quindici Tansadori della città, ma la sua carriera doveva continuare a svolgersi principalmente nello Stato da Mar; il 21 ottobre 1543 fu infatti eletto provveditore a Cattaro; la guerra contro Solimano era terminata, si trattava di ripristinare buone relazioni e rimediare ai danni inflitti alla popolazione.
Lasciò Venezia il 5 febbraio 1544, portando con sé molto denaro per donativi alle autorità ottomane e pagamenti dovuti alle truppe; per timore dei pirati uscocchi il provveditore in Golfo gli mise a disposizione una galera per giungere a Cattaro. Qui il 13 gennaio 1545 consegnò al sangiacco di Bosnia 40.000 ducati, seguiti il 3 luglio da altri 24.000 al cadì di Castelnuovo, che aveva contribuito a risolvere annose vertenze confinarie tra le popolazioni soggette ai rispettivi domini.
Tornato a Venezia, il 31 ottobre 1545 fu eletto in una commissione chiamata a dirimere una vertenza concernente la comunità di Udine e qualche settimana dopo fu dei 41 elettori del doge Francesco Donà.
Ma vertenze confinarie con i turchi erano tuttora aperte a nord di Cattaro, per cui, approfittando del ritorno a Costantinopoli di un inviato di Solimano, Cafer, il 26 agosto 1546 Renier fu incaricato di accompagnarlo fino a Sebenico e lì indagare congiuntamente sui presunti sconfinamenti dei morlacchi. La missione ebbe luogo tra la fine di settembre e l’inizio di novembre e l’operato di Renier, che nelle commissioni viene definito «agens noster in partibus Dalmatiae» (Archivio di Stato di Venezia, Senato deliberazioni, Secreti, reg. 65, c. 52r), riscosse nuovamente il gradimento del Senato. A conferma di ciò, mentre ricopriva il saviato di Terraferma nel primo semestre del 1547, il 6 febbraio fu eletto bailo a Costantinopoli.
Lasciò Venezia il 16 luglio 1547 e giunse via terra a Costantinopoli il 17 settembre, dopo un viaggio reso estenuante dal clima torrido; preso alloggio nella nuova sede dell’ambasciata, a Pera, riuscì a superare l’iniziale avversione del visir Rustem; in seguito la partenza di Solimano per la guerra in Persia (marzo 1548) facilitò ulteriormente l’azione di Renier.
Donde l’ancipite giudizio che traspare dalla relazione conclusiva, nella quale la considerazione per singoli personaggi è presente accanto alle tradizionali stigmatizzazioni della crudeltà ottomana, come si evince dal ritratto che egli fa del gran visir, «persona di pochissime parole et risoluta, nelli giudicii suoi procedendo rettamente, severissimo nel punir i tristi, secundo veramente si conviene alla bestial natura di questa barbara gente» (Relazioni, 1996, p. 62).
Lasciò Costantinopoli nell’autunno del 1550, ma non tornò a Venezia: sin dal 20 aprile era stato eletto duca di Candia e preferì recarsi direttamente nell’isola, dove era già stato dieci anni prima in qualità di rettore a Canea.
Al termine del mandato fu eletto savio di Terraferma per il semestre aprile-settembre 1553, poi entrò subito a far parte del Consiglio dei dieci, quindi (29 settembre 1554) fu rieletto savio di Terraferma, ma optò per la zonta del Consiglio dei dieci; infine riuscì savio del Consiglio nel semestre aprile-settembre 1555.
Non aveva ultimato l’incarico quando (28 agosto) fu eletto ambasciatore a Costantinopoli. Ancora una volta c’era bisogno della sua conoscenza delle procedure ottomane per affiancare il bailo Antonio Erizzo a dirimere alcuni problemi, come la liberazione del console in Siria, imprigionato dal beylerbey di Aleppo e, soprattutto, per ottenere il permesso di importare grani a causa della carestia che colpiva le province venete. Fu una breve missione: giunto nel Bosforo il 29 gennaio 1556, ne ripartì il 29 maggio; l’esito positivo del negoziato gli valse l’elezione a savio del Consiglio per la seconda metà dell’anno, carica nella quale fu confermato dall’ottobre 1557 al marzo 1558 e ancora per lo stesso periodo dal 1558 al 1559 e poi dal 1559 al 1560, entrando a far parte del Consiglio dei dieci o della sua zonta nei restanti mesi dell’anno; fu anche provveditore all’Arsenale da aprile a settembre 1558 e per lo stesso semestre fra il 1559 e il 1560. All’inizio di settembre 1559 partecipò all’elezione del doge Girolamo Priuli, ottenendo lui stesso vari suffragi e il 23 ottobre 1559 fu nominato procuratore di S. Marco de Citra.
Infine, il 4 gennaio 1560 fu eletto nel novero degli ambasciatori per l’elezione di Pio IV, ma la morte lo colse prima di partire, il 15 aprile. Fu sepolto alla Madonna dell’Orto, con iscrizione.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta, 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii…, VI, p. 414; Avogaria di Comun. Balla d’oro, reg. 165, c. 339r; Segretario alle voci. Elezioni in Maggior consiglio, regg. 1, cc. 19, 23, 166; 2, cc. 171, 183, 192; 3, cc. 2, 69; ibid., Elezioni in Pregadi, regg. 1, cc. 26, 38, 51, 54, 69, 71, 83; 2, cc. 1, 2, 7, 13, 34, 43, 57; 3, c. 71; Senato Mar, reg. 27, cc. 76, 114vr, 127v, 130v (Cattaro); reg. 29, cc. 9v, 21v (missione in Dalmazia); Senato, Archivio proprio, Costantinopoli, f. 5, n. 1 (6 agosto 1550); Senato, Dispacci Costantinopoli, f. 1 A, nn. 91-107, 109 (1556); Senato deliberazioni, Secreti, regg. 65, cc. 52r- 53v, 55v, 71v; 69, cc. 138v, 139v, 149v, 152r; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cicogna, 3783: G. Priuli, Pretiosi frutti, cc. 119r-122r; Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 819 (= 8898): Consegi, cc. 87, 228; A. Morosini, Historia Veneta…, in Degl’istorici delle cose veneziane…, V, Venezia 1719, p. 491; VI, Venezia 1719, pp. 14, 67, 153; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 224-226; M. Sanuto, I Diarii, a cura di F. Stefani et al., Venezia 1887-1899, XXII, XXIII, XXVI, XXXIX, XLII-XLIV, XLVI, LII, LIV, ad indices; I “Documenti turchi” dell’Archivio di Stato di Venezia, a cura di M.P. Pedani Fabris, Venezia 1994, pp. 139, 143, 162, 164, 168-170; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, XIV, Costantinopoli. Relazioni inedite (1512-1789), a cura di M.P. Pedani Fabris, Padova 1996, pp. 47-86.