GIULIANI, Alfredo
Nacque a Mombaroccio (Pesaro), il 23 novembre 1924, unico figlio del pesarese Guido e della sedicenne picena Maria Foresi. Il padre era di professione violinista e da Pesaro si trasferì a Roma quando Alfredo aveva sei anni per entrare a far parte, come primo violino, dell’orchestra del Teatro dell’Opera. A causa dei frequenti viaggi del padre al seguito dell’orchestra e della successiva separazione dei genitori, Giuliani trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza con la madre e con la nonna paterna nella casa di quest’ultima nel quartiere di San Giovanni.
Compì i suoi studi nella capitale dove, negli anni dell’adolescenza, acquisì quella qualità di lettore onnivoro che caratterizzò il suo percorso intellettuale grazie al regalo, ricevuto intorno ai quattordici anni, della monumentale collana I grandi scrittori stranieri della Utet. A Roma, intanto, frequentava il liceo Virgilio, dove conobbe il grecista Bruno Gentili, allora giovane professore di latino e greco, con cui strinse una profonda amicizia. Fu proprio Gentili a trasmettergli la passione per la metrica e a indirizzarlo verso gli studi filosofici. Del suo professore di italiano, invece, Giuliani ricordava la passione per Gabriele d’Annunzio, che egli bensì disprezzava e al quale opponeva con decisione un precoce entusiasmo per l’opera e il pensiero di Giacomo Leopardi. Fu però lo stesso Giuliani, in tempi più recenti, a rievocare il «trauma incancellabile» rappresentato dalla lettura, intorno ai quindici anni, di Una stagione all’inferno e delle Illuminazioni di Arthur Rimbaud tradotte da Oreste Ferrari per Sonzogno nel 1919 (La poesia è una cosa in più, in Furia serena, 2004, p. 99). A partire da allora, infatti, la poesia divenne per lui la forma letteraria privilegiata, anche se le prime prove autonome di scrittura poetica risalgono solo ai vent’anni.
Un’insofferenza complessiva per la disciplina scolastica e per il sistema educativo degli ultimi anni del fascismo lo spinse ad abbandonare la scuola all’inizio del secondo anno di liceo e a conseguire la maturità classica da privatista nel 1942. Ottenuto il diploma, lavorò per un anno presso Federconsorzi e, chiamato alle armi dopo l’8 settembre, si rese irreperibile nascondendosi nel quartiere Parioli presso la zia, monarchica badogliana e antifascista che, durante l’occupazione tedesca, proteggeva in casa carabinieri ed ebrei. Gli anni dell’università furono caratterizzati da una immediata reazione alle censure culturali del regime e dalla diffusione nelle librerie di testi sul marxismo e sul liberalismo prima introvabili, che aprirono gli interessi del giovane Giuliani anche alla politica. I suoi studi si conclusero quindi nel 1949 con una tesi di laurea in filosofia, seguita da Balbino Giuliano, dedicata a La volontà di valore in Michelstaedter. Fu in questo periodo che, alla passione per la letteratura, si affiancò quella per la filosofia contemporanea: Giuliani, in particolare, si confrontò con Søren Kierkegaard, Friedrich Nietzsche, Karl Jaspers ed Edmund Husserl, ma soprattutto con Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e Cesare Musatti. Di quest’ultimo, in particolare, lesse, nel 1950, il Trattato di psicoanalisi (1949) e, l’anno successivo, quello di Otto Fenichel (Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi, Roma 1951, trad. it. di The psychoanalytic theory of neurosis, New York 1945). Proprio da un tentativo di autoanalisi e dalla suggestione offerta dal manuale di Karen Horney (Auto analisi: come e fino a che punto ci si può analizzare da se stessi, Roma 1950, trad. it. di Self-analysis, London 1942), Giuliani cominciò a far emergere dal profondo il materiale che avrebbe costituito il tema di Corpus. Frammenti di un’autobiografia, un breve poemetto che venne pubblicato per la prima volta solo in anni successivi, nella raccolta Versi e non versi (1986).
Risale a questa fase della sua formazione anche l’incontro con la poesia di Dylan Thomas – che Giuliani stesso definì «un altro bellissimo choc» (La poesia è una cosa in più, cit., p. 99) – e la prima poesia 'oggettiva', Resurrezione dopo la pioggia, in cui cominciò a elaborare un’ipotesi di riduzione dell’io lirico che teorizzò più tardi con i Novissimi. Subito dopo la laurea, inoltre, cominciò a tradurre romanzi polizieschi e fu assunto presso l’ufficio stampa dell’Ente nazionale prevenzione infortuni (ENPI), dove lavorò fino al 1970.
Nel 1951 sposò Laura Fasciani e dal loro matrimonio nacquero i figli Nicoletta e Luca. Scriveva, nel frattempo, su La Parrucca, la rivista di Alessandro Mossotti diffusa tra Pavia e Milano tra il 1953 e il 1965, nella quale si formarono molti dei giovani che sarebbero diventati presto i protagonisti del mondo culturale degli anni Sessanta. Fra questi Alberto Arbasino, Leo Paolazzi (Antonio Porta) e Nanni Balestrini che coinvolse quasi subito Luciano Anceschi, suo professore di filosofia al liceo. In questa rivista, Giuliani nel 1955 pubblicò, fra l’altro, un articolo Sui saggi letterari di Ezra Pound, la poesia Compleanno, nonché Immagini e maniere. Saggio su L. Anceschi e la linea lombarda.
Determinante fu proprio l’incontro con Luciano Anceschi, del quale Giuliani aveva scoperto l’antologia Lirici nuovi nel 1943 e sotto i cui auspici fu pubblicata, nell’estate del 1955, la sua prima raccolta di poesie. Il cuore zoppo uscì, infatti, per i tipi dell’editore Magenta di Varese, quinto volume della collana Oggetto e simbolo, presso la quale il filosofo milanese proponeva quanto di nuovo offriva la poesia degli anni Cinquanta e nella quale erano già apparse le antologie Linea lombarda (1952) e Quarta generazione (1954), seguite poco dopo, nel 1956, da Laborintus di Edoardo Sanguineti. In questo quadro culturale, Il cuore zoppo si presentò in realtà come un’opera di passaggio, attraverso la quale Giuliani si confrontava, da una parte, con la tradizione poetica italiana e, dall’altra, con le letture assimilate negli anni giovanili, in specie dal mondo anglosassone, di cui davano prova le sette versioni da Dylan Thomas che chiudevano il volume. Pier Paolo Pasolini, solitamente polemico nei confronti dei giovani poeti che in quegli anni si riconoscevano nella cerchia di Anceschi, in un celebre articolo uscito su Officina, definì quelle traduzioni «stupende». Con la fondazione della rivista il verri, nell’autunno del 1956, la collaborazione con Anceschi, che la ideò e la diresse, risultò ulteriormente arricchita: Giuliani fece il suo ingresso nella redazione, in qualità di responsabile della sezione dedicata alla poesia, che inaugurò con una recensione alla Bufera, raccolta di poesie di Eugenio Montale. Alcune delle recensioni e dei saggi pubblicati nel verri uscirono successivamente nel volume Immagini e maniere (Milano 1965, poi Napoli 1996).
Intanto, proprio intorno al verri si andava costituendo il nucleo di giovani poeti che diedero vita, nel 1961, all’antologia I Novissimi: poesie per gli anni '60, per l’editore Rusconi e Paolazzi nella collana Le Poetiche, che faceva capo direttamente alla rivista. Giuliani si occupò di selezionare, introdurre e commentare le poesie dei suoi compagni e, nelle successive edizioni Einaudi (Torino 1965 e 2003), aggiunse due Prefazioni che tenevano conto della controversa ricezione della nuova poesia. Vennero espressi qui i tre principi cardine della Nuova avanguardia italiana: la riduzione dell’io, la visione «schizomorfa» della realtà e la proposta di una versificazione atonale fondata sull’intonazione dei nuclei semantici che sostituisse la tradizionale metrica sillabica. Il volume fu presentato, con gli autori, da Giuseppe Ungaretti, nella libreria Einaudi di via Veneto in Roma.
A cavallo fra i due decenni, Giuliani, che nel 1960 aveva pubblicato per Bompiani Sulla poesia e sui poeti, traduzione italiana di Essay on poetry and poets (1957) di Thomas Stearns Eliot, frequentava intanto, con l’amico Giorgio Manganelli, l’anglista Salvatore Rosati grazie al quale entrò in contatto con scrittori e poeti inglesi, americani e irlandesi. Si dedicò, nel frattempo, alla poesia visiva e cominciò a frequentare la libreria Ferro di Cavallo di Agnese De Donato in via di Ripetta, nel cui retrobottega espose i primi collages ottenuti da materiali prelevati da giornali e settimanali e passati per le mani del pittore Franco Nonnis. Le opere furono esposte nella mostra Cronogrammi allestita insieme con Nanni Balestrini e con catalogo curato da Gillo Dorfles. Le Poesie di teatro, comprese nella raccolta Povera Juliet e altre poesie edita da Feltrinelli (Milano 1965), nacquero dagli esperimenti condotti a partire da questo materiale, composto per lo più da dialoghi assurdi e stranianti, in cui la produzione universale di significati da parte di voci anonime raccolte dalla chiacchiera quotidiana prende il posto dei personaggi. Povera Juliet, che fu presentata anch’essa da Ungaretti nella libreria Feltrinelli di via del Babuino a Roma il 16 giugno, era già stata messa in scena a Palermo da Ken Dewey nell’autunno del 1963. Il 3 ottobre di quell’anno, infatti, il gruppo di scrittori e critici che si radunava attorno al verri, ad Anceschi e ai Novissimi fu invitato da Francesco Agnello a Solanto, presso l’hotel Zagarella, dove da un paio d’anni si teneva la Settimana internazionale della nuova musica. Qui, a partire da un’idea di Luigi Nono, che aveva avuto modo di assistere in Germania ai dibattiti animati dalle letture del Gruppo 47, si costituì il Gruppo 63.
La nascita del Gruppo 63 e le critiche anche feroci che la accompagnarono sancirono una rottura definitiva tra la nuova generazione di scrittori che si era formata nel verri e le generazioni di scrittori, poeti e critici che l’avevano preceduta, come si chiarì a metà del 1964 quando uscì per Feltrinelli, a cura di Giuliani e Balestrini e con la copertina disegnata da Gastone Novelli, Gruppo 63. La nuova letteratura, il volume che raccoglieva alcuni dei testi presentati a Palermo. Nel clima culturale generato da quel primo incontro palermitano, Giuliani fondò e diresse con Giorgio Manganelli, Gastone Novelli e Achille Perilli la rivista Grammatica. Al primo convegno del Gruppo seguirono, poi, un secondo convegno a Reggio nell'Emilia dal 1° al 3 novembre dell’anno successivo, del quale Giuliani si dichiarò in seguito molto insoddisfatto (Gruppo 63, in Malebolge, II (1965), 2, p. 77) e un terzo, assai più significativo, che si tenne nuovamente a Palermo dal 3 al 6 settembre del 1965, dedicato interamente al romanzo sperimentale. Qui Giuliani si espresse contro l’ipotesi, avanzata da Sanguineti, che la specificità del romanzo consistesse nella struttura narrativa che lo sostiene e affermò, al contrario, che le origini del genere romanzesco italiano andavano rintracciate nel trattato, nell’enciclopedia, nella cronaca-favola, in una struttura mista e aperta, cioè, modellata sul Tesoretto di Brunetto Latini.
Gli ultimi due convegni del Gruppo (La Spezia, 10-12 giugno 1966; Fano, 26-28 maggio 1967) sancirono l’impossibilità di stabilire una poetica comune che riassumesse le ricerche individuali degli scrittori che a vario titolo facevano parte della Nuova avanguardia. D’altra parte, alcune delle idee proposte da Giuliani e dai suoi sodali (dal ripensamento dell’io poetico alla funzione critica inserita nel processo di scrittura, alla totale apertura nei confronti dei linguaggi extraletterari) cominciavano a farsi strada in una società avviata a un processo di profondo rinnovamento e rischiavano così di perdere la loro originale carica eversiva. Lo stesso contesto politico ed economico stava rapidamente mutando e alcune fra le istanze rivoluzionarie che avevano animato le scelte culturali della Nuova avanguardia cominciarono a esplodere anche nella società.
Fu in questo clima che nacque Quindici, la rivista che Giuliani e alcuni degli altri compagni di strada del Gruppo 63 fondarono nel giugno del 1967 e che venne finanziata esclusivamente dai redattori al prezzo di una certa povertà tipografica, rivendicata però come garanzia di indipendenza. Rispetto alle esperienze precedenti del Gruppo, Quindici si propose di raggiungere un pubblico più ampio della ristretta cerchia dei letterati e si aprì così anche all’ambito extraletterario. Ciò garantì fin da subito un più ampio successo di pubblico che consentì alla rivista di raggiungere una tiratura di ben 20.000 copie e di attestarsi quale punto di riferimento politico-culturale della contestazione studentesca. D’altra parte, un’apertura così esplicita alle istanze del movimento si rivelò presto quale motivo di una profonda spaccatura nella direzione fra coloro che intendevano sostenere le ragioni della contestazione e coloro che, come Giuliani, avrebbero voluto proseguire su una strada teorica e critica più strettamente letteraria. Su queste basi, nel numero di marzo del 1969, il sedicesimo, Giuliani abbandonò la direzione con un articolo intitolato Perché lascio la direzione di Quindici, anticipando la chiusura definitiva della rivista, che sarebbe avvenuta in agosto, con il numero 19.
Nel 1968, intanto, Giuliani aveva curato per Einaudi, insieme con Jacqueline Risset, un’antologia dei poeti francesi che ruotavano attorno alla rivista Tel Quel diretta da Philippe Sollers e, nel settembre dell’anno successivo, pubblicò con Feltrinelli Il tautofono: 1966-1969 (Milano 1969), la raccolta che porta a compimento il suo percorso di ricerca nella Nuova avanguardia.
Tecnicamente il tautofono è un test psicologico simile alle macchie di Rorschach che alle immagini sostituisce frasi e suoni che somigliano o alludono a sequenze di parole prive, però, di significato. L’opera di Giuliani si presentò dunque come un marchingegno linguistico in cui l’accumulo di materiali narrativi eterogenei consentiva ai registri più disparati di sovrapporsi l’uno sull’altro fino a sfidare i limiti del senso. Dall’altra parte Giuliani avviò in questi anni un’opera di divulgazione dei classici della letteratura italiana leggendo e commentando, per le trasmissioni radiofoniche della RAI, la Gerusalemme liberata e cominciando una Antologia della poesia italiana che si fermò però ai due volumi Dalle origini al Trecento che, come recitava la quarta di copertina, furono «concepiti per avvicinare alla poesia dei classici i lettori comuni, fuori da ogni obbligo scolastico».
Dopo Il tautofono, la ricerca poetica di Giuliani, se non per uscite occasionali, sembrò concedersi un momento di riflessione e alle «poesie senza versi» del Giovane Max (Milano 1972), pensate ancora nel clima sperimentale della Nuova avanguardia e all’incrocio tra poesia, narrazione e diario, seguirono l’auto-antologia Chi l’avrebbe detto (Torino 1973), il canovaccio Nostro padre Ubu: scenario in onore di Alfred Jarry (Roma 1977) e la raccolta Anima asola malsana (Modena 1981). Giuliani si impegnò maggiormente in questi anni sul fronte critico e accademico, insegnando letteratura italiana moderna e contemporanea a partire dal 1971 presso il corso di laurea Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo (DAMS) di Bologna, e dal 1980 fino al 1995 come professore ordinario di storia della letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Chieti. Continuò senza interruzioni la sua attività di critico militante su riviste e quotidiani, brevemente su Il Messaggero e, fin dalla sua fondazione, su la Repubblica. La sua collaborazione con il giornale di Eugenio Scalfari cominciò il 24 gennaio 1976, con una recensione a un vecchio romanzo di Clotilde Scanabissi (Nyta Jasmar) e si concluse, a pochi mesi dalla morte, con una recensione ai racconti di Gian Carlo Fusco, il 1° aprile 2006. Molti di quegli articoli furono poi riuniti in Le droghe di Marsiglia (Milano 1977) e, successivamente, in Autunno del Novecento: cronache di letteratura (Milano 1984).
Dopo la pubblicazione di Versi e nonversi (Milano 1986), che raccoglie la maggior parte delle poesie edite e inedite scritte dal 1950 al 1984, Giuliani tornò finalmente alla ricerca poetica, ma, senza rinunciare alla complessità metrica e stilistica dei suoi lavori precedenti, sembrò mettere da parte la sperimentazione degli anni della Nuova avanguardia. Ebbrezza di placamenti (introd. di R. Luperini, Lecce 1993) e Poetrix Bazaar (introd. di R. Barilli, Napoli 2003) sembrarono infatti seguire una linea più personale giocata sul filo della riflessione autoironica e del frammento emblematico. Nel 2004, accompagnata da un saggio di Ugo Perolino, da un breve scritto autobiografico e da una bibliografia essenziale della critica, comparve a Verona l’ultima antologia delle poesie di Giuliani, Furia serena: opere scelte, cui seguì Dal diario di Max (Valenzano 2006), un aggiornamento e un compimento dell’opera scritta trentaquattro anni prima, arricchito dai disegni di Achille Perilli.
Alfredo Giuliani morì a Roma il 20 agosto del 2007.
La sua ricchissima biblioteca (circa 12.000 volumi, spesso provvisti di annotazioni, postille e dediche autografe) fu acquisita nel 2009 dal Centro manoscritti dell’Università di Pavia per il tramite della Fondazione Maria Corti ed è in corso di catalogazione.
La recensione di P.P. Pasolini a Cuore zoppo, intitolata Il neo-sperimentalismo, apparve in Officina, II (1956), 5, pp. 169-182; ora da ultimo si legge in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti - S. De Laude, II, Milano 1999, pp. 1221 s. Un profilo biografico di G. fu redatto da G. Ferroni, in Letteratura italiana. I contemporanei, VI, Milano 1974, pp. 1683-1708. Si segnala, inoltre, l’intervista a G. nel volume di R. Minore, La promessa della notte. Conversazione con i poeti italiani, Roma 2011, pp.81-88.
Per notizie generali, ma molto precise relative agli eventi che segnano la storia della Nuova avanguardia italiana dal verri alla fine di Quindici si rimanda a F. Gambaro, Invito a conoscere la neoavanguardia, Milano 1993. Il volume curato da C. Bologna - P. Montefoschi - M. Vetta, Chi l’avrebbe detto. Arte, poesia e letteratura per A. G. (Milano 1994) raccoglie contributi di amici, colleghi e sodali di G.; il quale fornisce importanti informazioni relative alla sua vita e alla sua formazione in La poesia è una cosa in più, breve scritto autobiografico contenuto in Furia serena: opere scelte, Verona 2004, ov'è presente una ricca Bibliografia della critica curata da L. Vetri. Altre notizie provenienti dalla viva voce dei protagonisti della Nuova avanguardia sono reperibili in Il Gruppo 63 quarant’anni dopo, Atti del convegno, Bologna 8-11 maggio 2003, Bologna 2005. Un’intervista a G. dal titolo La difficilissima gioia della ricerca si trova in appendice ad A. Schiavulli, L’avventura dentro i segni. La poesia novissima di A. G., Bologna 2008. Si segnala, inoltre, il Dossier A. G., curato da L. Archibugi, per il Caffè illustrato, XI (2009), 59/60, pp. 30-59 (con contributi di: A. Cortellessa, S. Gallerani, J. Risset, S. Sgavicchia, e una biografia ricca di fotografie curata dallo stesso Archibugi). La posizione di G. sul romanzo si legge oggi in Gruppo 63. Il romanzo sperimentale, a cura di N. Balestrini, seguito da Col senno di poi, a cura di A. Cortellessa, Roma 2013 (già Milano 1966). In rete materiali interessanti si possono reperire nei siti http://alfredogiuliani.blogspot.com e http://videorlab.blogspot.it/, entrambi curati da Orazio Converso. In particolare, alla videorivista Videor, diretta da Elio Pagliarani, Giuliani contribuì dal 1983 in audio, e dal 1985 in video, con letture e commenti critici visibili oggi sul canale Youtube (https://www.youtube.com/playlist?list=PLE1E11A737881A1C4) a essa dedicato.