GUARINI, Alfonso
Nacque a Ferrara intorno al 1487 da Battista, figlio del celebre umanista Guarino. Ebbe sei sorelle e due fratelli; il fratello maggiore Alessandro fu segretario nella corte estense e letterato.
Grazie alla tradizione culturale che l'aveva sempre distinta, la famiglia Guarini era ben inserita nella corte estense: Battista e Alessandro vi ricoprirono ruoli di prestigio e accanto a loro anche il G. trovò una sistemazione. Sotto Alfonso I ed Ercole II ricoprì vari incarichi, la cui natura resta però imprecisabile. La sua figura rimase infatti costantemente nell'ombra delle glorie familiari e il suo nome venne trascurato pressoché da tutti gli eruditi locali fino al XIX secolo, o confuso con omonimi.
Cresciuto nel culto della cultura umanistica, il G. coltivò un iniziale interesse per la poesia latina: i versi che compose in giovinezza, conservati manoscritti per lo più nella Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, ebbero una certa risonanza, ma rimasero confinati negli esordi della sua carriera. Tra questi esercizi figurano anche due orazioni, una dedicata alla Vergine e un'altra a s. Lucia. La fama del G. è legata piuttosto al teatro: una passione incoraggiata dal padre, che egli coltivò con assiduità e che diede i primi frutti probabilmente già nella giovinezza. Una commedia in latino intitolata Milesia, rimasta manoscritta, è conservata nella Biblioteca Estense di Modena, mentre due commedie in volgare Losponsalitio e Il pratico, in endecasillabi sdruccioli, composte tra il 1524 e il 1534, furono pubblicate, quasi certamente postume, dopo il 1560 in due stampe rarissime prive di indicazioni tipografiche (ed. anast. a cura di M. Calore, Sala Bolognese 1977).
La successione delle tre opere è ricavata solitamente da elementi interni, che concorrono a ipotizzare un percorso letterario dall'esercitazione erudita (Milesia) alla sperimentazione sempre più indipendente da schemi e modelli (Lo sponsalitio e infine Il pratico). La commedia latina, in cinque atti e in trimetri giambici, testimonia chiaramente la matrice umanistica della cultura del Guarini. L'intreccio, tipicamente plautino, ha per protagonisti un gruppo di fratelli e sorelle separati e poi riuniti dalla sorte dopo una serie di peripezie. La Milesia, di cui si persero le tracce per lungo tempo, riveste un particolare ruolo nel teatro coevo, essendo l'unica commedia umanistica composta a Ferrara nell'epoca aurea del teatro in volgare. Ad accomunare i due testi volgari è invece una notevole apertura alle novità teatrali apportate da Ariosto: chiaro appare l'intento, quanto alla materia, di moderare l'imitazione dei classici a vantaggio di una rappresentazione moderna e attuale, in sintonia con le indicazioni suggerite dal gusto di corte (non è accertata, ma comunque probabile, la rappresentazione delle due commedie durante il carnevale o altri trattenimenti cortigiani). La comicità è giocata sull'equilibrio tra rigoglio dell'intreccio e riflessione sul significato nascosto nelle azioni umane, che ricorda movenze del teatro di Terenzio, anche se la commedia d'ambiente si apre a esiti novellistici tipicamente cinquecenteschi. Dai prologhi affiora la volontà dell'autore di presentarsi come poeta originale, impegnato nella difficile impresa di inventare caratteri e situazioni inedite, in grado di gareggiare con i modelli classici che, sebbene ancora autorevoli, appaiono usurati.
Lo sponsalitio, di ambientazione napoletana, inscena le ansie patrimoniali del mercante Vesufilo, ossessionato dalla preoccupazione di trovare marito a Issiphile, figlio in realtà maschio che la moglie del mercante ha spacciato per femmina pur di evitarne la forzata partenza per Cordova, imposta da Vesufilo a tutti i figli affinché imparino l'arte del commercio presso lo zio trapiantato in Spagna a far fortuna. Solo al momento di maritare la presunta figlia, Vesufilo verrà a scoprire con sollievo la verità, che lo affrancherà, proprio nel momento fatidico, dall'incombenza di trovare un marito adeguato alle aspettative sociali e soprattutto patrimoniali di cui egli è vittima.
Nel Pratico l'ingenuo e un po' sprovveduto Delirifo è andato sposo alla giovanissima Fedra, ma si risolve a prendere tempo prima di congiungersi con lei e se ne va per il mondo, con l'intenzione di ritornare solo una volta divenuto "pratico", ossia esperto e saggio. In sua assenza Fedra, assecondando l'impulso erotico sopraggiuntole con l'età adulta, si unisce a un giovane. Al ritorno Delirifo la trova gravida, ma si lascia persuadere che ciò sia avvenuto a opera di un'immagine che la giovane sposa gli fa credere sia venuta nottetempo a visitarla; sarà poi un servo a svelargli la verità. L'effetto comico scaturisce così dalla delusione di Delirifo, che credeva di diventare saggio conoscendo il mondo e finisce per essere beffato dalla sua stessa moglie.
Deciso a non sposarsi, il 15 genn. 1538 il G. riconobbe legalmente un primo figlio naturale, Francesco, natogli nel 1512. Da Francesco sarebbe nato Battista, l'autore del Pastor fido. Quanto al figlio minore, Gaspare, avuto da una certa Eleonora Aldigeri, è possibile ipotizzare la sua legittimazione ma su di lui si ha la sola menzione del nome nel testamento paterno. I rapporti tra il G. e il figlio Francesco si deteriorarono intorno agli anni Cinquanta, dando avvio a una lunga sequela di contenziosi familiari proseguiti nelle generazioni successive, per i quali tutta la famiglia Guarini sarebbe rimasta celebre.
Il G. ritenne il figlio responsabile di maldicenze ai suoi danni, architettate con l'intento di attirargli addosso l'odio del fratello Alessandro. Francesco, inoltre, a dire del G., aveva sperperato il patrimonio e aveva sposato in seconde nozze una parente, senza informare il padre, ricorrendo per giunta alla dispensa papale. Tale fu il risentimento nei confronti del figlio che il G. decise di diseredarlo, di fatto nel testamento del 1556 e poi formalmente in un codicillo del 31 marzo 1557. A fruire dell'eredità sarebbe stato il nipote Battista, il quale, tuttavia, fu a propria volta escluso dal lascito in un secondo tempo.
Quando il contenzioso giunse al Consiglio di giustizia, il G., prossimo alla morte, si pentì della sua risoluzione e chiese al duca Ercole II di stabilire una spartizione più equilibrata tra i due eredi. Il 31 luglio 1559 a Battista vennero così assegnati i due terzi dell'eredità, un terzo toccò invece a Francesco; delle proprietà immobiliari Gaspare ereditò un casale acquistato nel 1553, mentre la casa di Ferrara, in via degli Angeli, rimase a Francesco e a Battista, che l'avrebbero però dovuta abitare separatamente.
Destituita di fondamento già da Cittadella la notizia che il G. fosse morto a Ferrara all'età di circa cento anni nel 1587, come anno della morte è accolto il 1559; il corpo fu sepolto nella chiesa delle monache di S. Guglielmo.
Fonti e Bibl.: Rime scelte de' poeti ferraresi antichi, e moderni…, Ferrara 1713, pp. 97, 564; A. Libanori, Ferrara d'oro imbrunito, parte III, Ferrara 1665, p. 23; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrara 1735, p. 362; T.G. Farsetti, Catalogo di commedie italiane, Venezia 1776, p. 122; L. Barotti, Memorie istoriche di letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, p. 79; L. Ughi, Diz. stor. degli uomini illustri ferraresi, I, Ferrara 1804, p. 30; F. Conti, Illustrazioni delle più cospicue e nobili famiglie ferraresi, Ferrara 1852, p. 348; L. Cittadella, I Guarini, famiglia nobile ferrarese oriunda di Verona…, Bologna 1870, pp. 61-65, 91, 93; V. Rossi, Battista Guarini e il Pastor fido, Torino 1886, pp. 6 s.; M. Calore, Il teatro ferrarese tra Ariosto e Giraldi: commedie di A. di Battista Guarino, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, cl. di scienze morali, lettere ed arti, CXXXVIII (1979-80), parte I, pp. 65-80; parte II, pp. 147-160.