ALBUQUERQUE, Alfonso di
Nacque nel 1453 ad Alhandra, piccolo paese sulle rive del Tago, a N. di Lisbona; morì nel 1513. Imparentato con la famiglia reale portoghese (come discendente da un figlio naturale del re Dionigi), trascorse l'infanzia e l'adolescenza nel palazzo del re Alfonso V, dove si educò ascoltando le relazioni dei grandi viaggi oceanici e della scoperta e conquista delle coste occidentali dell'Africa. A 28 anni prese parte alla spedizione organizzata contro i Turchi, che l'anno precedente avevano preso e quasi distrutto il porto di Otranto. Poi, morto Alfonso V, fu alla scuola delle armi in Arcilla (Marocco), indi nuovamente alla corte, scudiere di Giovanni II. Nel 1486, con Bartolomeo Diaz, fu incaricato dal re di giungere all'estremo limite australe del continente africano, girarlo e proseguire verso NE., ritenendosi ormai prossimo il raggiungimento della costa orientale africana, del Mar Rosso, del golfo Persico, dell'India e delle tanto bramate Isole delle spezie. L'A. si rese conto senza dubbio, allora, dei concetti di Angiolo Poliziano, il quale, nella lettera che da Firenze indirizzò a Giovanni II, ringraziò, a nome dell'Europa, il re portoghese per avere ricostituito, con le sue imprese marittime, l'integrità del mondo abitabile, unificandolo nel cristianesimo e nel vivere civile. Undici anni più tardi la grande impresa aveva compimento per opera di Vasco de Gama, che nel 1497, avutone incarico dal re don Manuel il Fortunato, oltrepassò il termine raggiunto dal Diaz e giunse effettivamente prima a Mozambico, a Mombasa, a Malindi sulla costa orientale dell'Africa, indi, attraverso l'Oceano Indiano, fino a Calicut, il grande emporio del commercio arabo in India. L'A. udì le relazioni dallo stesso Gama, quando nel 1499 questi, rientrato trionfalmente a Lisbona, descrisse le favolose ricchezze del commercio orientale, che gli Arabi avevano monopolizzate per l'Europa, estendendo la loro azione anche alle lontane terre di Ceylon, Bengala, Pegù e Sumatra, dove dappertutto avevano grandi aziende di commercio che esportavano mercanzie diverse attraverso Ormuz e il golfo Persico.
L'A. si rese conto che, per impadronirsi di questo fiorente mondo mercantile, era necessario lottare con gli Arabi, disputando loro il dominio dei mari e stabilendo, nei punti che essi già possedevano o in altri meglio scelti, delle fattorie fortificate, che fossero in grado di resistere a tutti gli attacchi. Con grande interesse egli seguì anche la spedizione in India di Pedro Alvarez Cabral nel 1500 e, contro chi consigliava di abbandonare l'impresa di fronte alle difficoltà incontrate, egli incitò a perseverare. Finalmente, nel 1503, l'A., allora cinquantenne, ottenne dal re di far parte della nuova spedizione organizzata per proseguire quella di Cabral. In questa occasione, aiutò il rajah di Cochin, a S. di Calicut, a consolidarsi sul trono e, in cambio, ottenne di costruire un forte portoghese nei dominî di costui.
Di ritorno in patria, gli fu affidata nel 1506, dal re Manuel, una squadra di cinque navi, nella flotta che, con Tristan da Cunha, salpava per l'India. Nel viaggio, dopo varî fortunati attacchi alle città arabe dell'Africa orientale, a Socotra, ai porti dell'‛Omān, l'A. con le navi sue giunse dinanzi all'isola di Ormuz, il 25 settembre 1507, e dopo un breve assalto l'occupò senza però poterla conservare. L'anno seguente giunse alla costa del Malabar con ordine dal re di sostituire nel comando Francisco de Almeida. Ma questi rifiutò di riconoscerlo e lo fece prigioniero nella piccola azienda di Cananor, a N. di Calicut, donde lo liberò solo dopo tre mesi al giungere di una gran flotta portoghese, il capo della quale, Ferdinando Coutinho, confermò i diritti dell'A. Assunto il governo, in un primo tentativo di prendere Calicut, fu sconfitto; egli allora modificò i suoi piani proponendosi d'impadronirsi dell'eccellente porto naturale di Goa, più a NO., nel quale, 50 anni prima, si erano stabiliti gli Arabi, e dal quale ora il potente ‛Adil Khān disturbava i Portoghesi nei mari dell'India. Riuscì nell'intento, e il 4 marzo del 1510 ricevette le chiavi della fortezza. Gli Indostani, oppressi dagli Arabi, vennero a rendergli grazie. Poco dopo, ‛Adil Khān riuscì a riprendergli a forza la città; ma l'A. la ricuperò il 25 novembre, la fortificò, concesse terre a Portoghesi che sposassero donne indigene, confiscò proprietà di meschite musulmane e di templi indostani, attribuendole alla chiesa cattolica di S. Caterina. Fondò anche una zecca e coniò moneta, con la croce dell'ordine di Gesù Cristo su una faccia (egli si considerava crociato) e, nell'altra, la sfera che il re Manuel aveva ideata per rappresentare la crescente ampiezza dei suoi vasti dominî. Indostani e Musulmani finirono per riconoscere il suo potere, e Goa divenne la cittadella del commercio della costa di Malabar.
Nel 1511, a 58 anni, l'A. intraprese la conquista di Malacca. Chiesta invano al sultano musulmano, che la dominava, la liberazione dei Portoghesi prigionieri e la restituzione delle proprietà delle quali erano stati spogliati, prese d'assalto e saccheggiò la città; catturò centinaia di cannoni, eresse una fortezza, stabilì una zecca e costruì una chiesa, dedicata alla Vergine. Ottenne con questo la soggezione degli staterelli vicini della penisola e dell'arcipelago, e il predominio del Portogallo in Oriente, malgrado i ripetuti sforzi degli Arabi per scacciarlo. La notizia delle sue gesta e delle conquiste che stava compiendo per la cristianità originarono grandiose processioni a Roma, dove fu inviata un'ambasciata portoghese, con a capo Tristan da Cunha, la quale offerse alla Santa Sede doni in oro, gioie, pietre preziose e ricchi tessuti. In quella occasione, sfilarono cavalli persiani, sontuosamente bardati, leopardi, una pantera e un elefante gigantesco che, per tre volte, si prosternò davanti al sommo pontefice. L'A., intanto, si occupava di spazzare dai mari d'Oriente Arabi e Rumi. Una burrasca fu sul punto di inghiottirlo, nel 1812, quando il suo vascello Flor de la Mar, carico di tesori rapiti ai nemici, andò a picco, dinnanzi alle coste dell'India. Infaticabile, con grandi speranze e sogni nell'animo, salpò da Goa nel 1513, e, dopo un vano assalto ad Aden, cercò di penetrare nel Mar Rosso: e fu la prima flotta europea che compiesse un simile tentativo. Voleva allearsi col re cristiano d'Abissinia; stabilirsi, in grazia di questa alleanza, nell'Alto Nilo; innalzare dighe colossali per deviare il gran fiume nel Mar Rosso e, convertendo l'Egitto in un deserto, dare un colpo mortale ai Musulmani, ai quali poi avrebbe tolto la tomba di Maometto, fino a che, per riscattarla, essi non avessero ceduto i luoghi santi di Gerusalemme. Una croce di fuoco veduta alta nel cielo sulla costa africana, l'incuorò all'impresa, ripromettendosi tuttavia egli di ritornare prima a Goa, per meglio prepararsi. Riuscì intanto ad impossessarsi del porto di Ormuz, conquistando, per tal mezzo, al suo paese, il commercio dall'India alla Persia, e dalla Persia, attraverso la Mesopotamia, fino al Mediterraneo, come già aveva acquistato, da Goa e Malacca, la supremazia sulla costa del Malabar, su Ceylon e le isole della Sonda, all'altro lato dell'immenso dominio che per suo merito era divenuto portoghese.
Con ciò, estesa la sua azione fino al di là di Sumatra e di Giava pareva che l'Oceano Indiano fosse per convertirsi in un gigantesco lago portoghese. Ad Albuquerque venivano i re del Siam, del Pegù, di Giava, per chiedere la sua alleanza. Rispettato e temuto dai vicini, grazie alla sua stretta disciplina militare; amato dai sudditi per l'umanità della quale spesse volte aveva dato prova (anche se, in rare occasioni, lampi di passione l'avevano oscurata), egli fu vittima della calunnia, che, gelosa del suo immenso prestigio, giunse al punto di accusarlo di slealtà verso il suo sovrano. Quando ovunque era chiamato il "Grande", il "Marte", il "Cesare portoghese", e universalmente si riconosceva che egli aveva fondato la potenza portoghese in India; quando egli si preparava, dopo la presa di Ormuz, a ritentare la conquista di Aden col fine di chiudere gli stretti e proseguire le sue imprese, lo raggiunse un dispaccio del re Manuel (mentre, gravemente colpito da dissenteria, stava per rientrare a Goa), che gli ordinava di consegnare il vicereame al suo nemico personale, Lope de Soarez. Profondamente addolorato, non resse al colpo: morì a 62 anni, il 16 dicembre 1515, sul suo stesso vascello, di fronte a Goa, dopo aver consegnato al figlio una breve lettera per il re, a difesa della sua condotta. Fu sepolto a Goa, nella chiesa di Nostra Signora; alla sua tomba, per molti anni, si recarono Musulmani e Indostani a chiedere protezione contro le ingiustizie dei suoi successori. Nel testamento egli aveva espresso il desiderio che i suoi resti fossero trasportati in Portogallo, ma i vicini di Goa vi si opposero, sentendosi sicuri solo con lui; e dovette trascorrere mezzo secolo, prima che si compisse il suo ultimo desiderio e si trasportassero a Lisbona le sue spoglie mortali. Di mezzana statura e di aspetto piacevole, conferiva a lui singolare gravità la folta barba che gli scendeva fino al petto. Possedeva una cultura non comune; benché universalmente temuto, egli era pure amato perché giudice equo, nemico d'ogni menzogna, fedele alla parola data, liberale sino alla prodigalità. Suo figlio, che cambiò il suo nome di Braz in quello del padre e fu colmato di onori dal re, troppo tardi pentito, raccolse le lettere e altri documenti ufficiali del gran fondatore della potenza portoghese in Oriente, che furono stampati a Lisbona, 42 anni più tardi, nei Commentarios do grande Alfonso d'Alboquerque e tradotti in accuratissima edizione a cura di W. de Gray Birch e pubblicati dalla Hakluyt Society di Londra (1875-1884, 4 voll.). L'accademia di Lisbona, inoltre, pubblicò nel 1884 le lettere del famoso conquistatore, il cui primo dominio, quello di Goa, è tuttora, dopo 400 anni, sotto la dipendenza del Portogallo, mentre moltissimi altri degli acquisti portoghesi sono andati perduti.
Bibl.: J. De Barros, Asia, Decada secunda da India, Lisbona 1553; Blas o Alfonso de Albuquerque, Commentarios de Affonso Dalboquerque, capitão general e governador da India, Lisbona 1557; Breve tratado o epilogo de todos os vizorreys que tem hauido no Estado da India... feito por P. Barreto de Rezende... no anno de 1635 (ms. in-4 alla Bibl. naz. di Parigi); Cartas de Affonso de Albuquerque, pubbl. dall'Accademia di Lisbona, Lisbona 1884; N. Stephens, Albuquerque and the early Portuguese settlements in India, Londra 1892; id., Albuquerque, Oxford 1905; v. anche lo studio, O antigo imperialismo portuguez, ecc., in Boletim della Società geografica di Lisbona, nn. dal gennaio al giugno 1902, e Keller, Colonization, Boston 1908.