ARIOSTO, Alfonso
Nacque a Ferrara verso il 1475, da Bonifacio, figlio di Aldobrandino, che era fratello di Rinaldo, nonno del poeta Ludovico. Legato per tradizione familiare alla corte estense, come tutti gli Ariosto, entrò assai giovane al servizio del duca Alfonso, di cui divenne uno dei gentiluomini più fidi.
Nel 1496-98 fu a Milano per perfezionare la propria educazione cavareresca, forse presso gli Sforza, dove pare probabile che abbia avuto inizio la sua lunga amicizia con B. Castiglione. Fin da questo periodo egli fu in relazione con la corte di Mantova, e in particolare con la marchesa Isabella Gonzaga. Ad essa sono indirizzate le sue lettere da Milano dei 7 ag. 1496 e del 24 genn. 1498, inizi d'una copiosa corrispondenza durata circa un trentennio.
Tornato alla corte estense nel 1498, l'A. ebbe modo di conoscere alcuni dei principali rappresentanti della cultura rinascimentale: che ivi convenivano, tra i quali P. Bembo, che soggiornò a Ferrara nel 1498-99 e nel. 1502-03. Nel 1504-05 l'A. trasmetteva la corrispondenza del Bembo (allora occupato alla stesura degli Asolani) a Lucrezia Borgia, alla quale fu raccomandato nella lettera del 22 Sett. 1504; né mai fu interrotta la familiarità con il letterato veneziano, che nel 1524 lo invitava, assieme a Francesco Maria Molza, a soggiornare nella propria villa nel Padovano.
Al servizio del duca Alfonso, l'A. svolse parecchi incarichi politici, dal tempo della lega di Cambrai (1508) a tutto il decennio successivo, sempre fedele alla politica filofrancese degli Estensi. Nell'ottobre 1509 fu inviato con il cugino in secondo g-ado, il poeta Ludovico, a Roma, per giustificare diplomaticamente davanti a Giulio II, staccatosi dalla lega di Cambrai dopo la vittoria di Agnadello (maggio 1509), la politica filofrancese che la corte di Ferrara intendeva seguire, senza tuttavia voler staccarsi da Roma. Il 22 dicembre l'A. si trovò assai probabilmente, con i cugini Carlo e Alessandro Ariosto, presente alla battaglia della Polesella, nella quale i Veneziani furono sconfitti.
In questo periodo l'A. appartenne alla famiglia del cardinale Ippolito, e fu da lui stipendiato, come risulta dai libri di conti. Durante il soggiorno tedesco del cardinale, fu incaricato nell'ottobre 1512 di una missione: di fiducia presso la marchesa Isabella di Mantova; e altre missioni a Mantova egli eseguì, per incarico del cardinale, nel 1513 e nel 1516. Nell'aprile 1513, dopo l'elezione al pontificato di Leone X, ottenuta la sospensione delle censure emesse da Giulio Il contro gli Estensi per la loro politica filofrancese, l'A. accompagnò il cardinale Ippolito a Ronia, per assistere all'incoronazione papale, e rientrò a Ferrara il 29 aprile. Fino al 1517 egli si fregiò del titolo di familiare del cardinale, con il quale pare aver intrattenuto sempre migliori. rapporti che non il cugino Ludovico; anzi fu proprio per la sua abile intercessione che Ludovico nel 1514 poté ottenere un aumento dello stipendio.
Rimasto in Italia al servizio del duca Alfonso dopo la partenza del cardinale per l'Ungheria, l'A. continuò a svolgere missioni politiche di fiducia per gli Estensi, come riporta il Guicciardini nelle sue lettere al tempo della sua legazione in Emilia (1517-1520).
Della sua figura di colto e compiuto cortigiano rinascimentale rese testimonianza B. Castiglione, che gli dedicò il Cortegiano e, nel primo proemio inedito, scritto verso il 1515, affermò di essere stato indotto alla composizione dell'opera dalle istanze del duca Francesco d'Angoulème (Francesco I re di Francia dal gennaio 1515), comunicategli da Alfonso Ariosto. Nel 1520 inoltre il Castiglione, dopo aver sottoposto il manoscritto dell'opera al Bembo e al Sadoleto, lo diede in lettura anche all'Ariosto.
L'A. morì il 29 giugno 1525.
Lasciò i suoi beni per metà a Ludovico e ai suoi fratelli; ma si trattava di un patrimonio esiguo, gravato da vari processi, di cui si dovette occupare Gabriele Ariosto. Benché l'A. avesse ricevuto in donazione dal duca Alfonso alcuni poderi presso Lugo e avesse ereditato da quattro zii e dai due fratelli Folco e Giacomo, le sue sostanze si erano assottigliate per i continui viaggi cui lo costrinsero le missioni compiute per la casa estense. Pare che la satira perduta, che Ludovico scrisse dopo il giugno 1525, dedicandola al Castiglione, dovesse trattare dell'immatura scomparsa dell'A., cui era legato da grande amicizia.
Bibl.: P. Litta, Fam. cel. ital., IX, Ariosto di Bologna, tav. II;B. Castiglione, Il Cortegiano, a cura di V. Cian, Firenze1929, pp. 504 ss .; M. Catalano, Vita di Lodovico Ariosto, I e II, Genève 1930-31, passim.